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Terminator – Destino Oscuro

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Errare è umano ma perseverare è diabolico. Siamo al sesto film della saga, il quarto di James Cameron nelle vesti di produttore e sceneggiatore dopo le erratiche peripezie di tutto il franchising, e il terzo che si propone come sia come reboot che come inizio di una trilogia: nei due precedenti tentativi non c’è stato seguito e anche stavolta, temo, finirà alla stesso modo, dato l’ennesimo insuccesso. Ma non è detto. La stessa Linda Himilton – che stavolta è il primo nome, anche davanti a Schwarzenegger – ha dichiarato: “Forse apprezzerei una versione più piccola, in cui non ci siano in ballo milioni di dollari. Il pubblico di oggi è così imprevedibile. Non dovrebbe mai essere un rischio economico così grande, ma io sarei ben felice di non ritornare mai più. Non ho speranze per il futuro perché vorrei davvero aver chiuso col franchise.” Vorrebbe aver chiuso, ma non è detto, perché probabilmente ci sono clausole contrattuali da rispettare: non si mette su un progetto di 280 milioni di dollari senza prevedere nelle clausole anche la caduta del capello. Nel primo weekend di programmazione nelle sale statunitensi, il film si piazza al primo posto ma poi cede il passo, perché evidentemente ha deluso il pubblico, e secondo un’analisi finanziaria molto accurata potrebbe generare perdite di oltre 100 milioni di dollari. Il film è uscito nel 2019, è già in tv nel 2020 e i prossimi guadagni dovrebbero venire dall’home video che come già sappiamo sarà reso più appetibile con un director’s cut, contenuti speciali, interviste, eccetera.

Risultato immagine per t-1000 robert patrick

Detto questo il film non è male, sicuramente meglio del precedente “Terminator Genisys”, anche se per metà film la sensazione è sempre quella del dejà vu: fulmini che portano nel presente narrativo figure dal futuro, cyborg che si rigenerano in pochi secondi, grande e lunga scena di autoscontro, l’ennesima giovane donna da salvare perché sarà madre del messia… ah sì, c’è questa novità: nell’antefatto vediamo un flashback sul passato e andiamo nel 1998 (ma le date ormai contano poco in una saga che ha fatto del tempo e della logica una gomma da masticare), andiamo a quattro anni dopo che è stato sconfitto il T-1000, quello di metallo liquido interpretato da Robert Patrick in “Terminator 2, il Giorno del Giudizio”, la cui distruzione nell’acciaio fuso ha evitato l’ascesa dell’intelligenza artificiale Skynet – e che aveva egregiamente concluso l’avventura cinematografica di Terminator, prima che altri cominciassero a spremere la vacca. 

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Jude Collie controfigura di Edward Furlong

In quel 1998 l’adolescente John Connor – che in tutti i sequel abbiamo visto adulto e combattente – viene ucciso da un T-800 inviato dal futuro prima della cancellazione di Skynet, sotto gli occhi della madre Sarah Connor. I tre interpreti, Arnold Schwarzenegger, Linda Hamilton e Edward Furlong sono stati ringiovaniti in CGI. E veniamo al nuovo presente narrativo che coincide col nostro, il 2020. Dal futuro arriva l’umana potenziata Grace, interpretata dalla canadese Mackenzie Davis già attiva in cinema e tv con ruoli da caratterista e che dopo questo film si avvia a una carriera da protagonista; il suo compito è quello di proteggere Dani Ramos, interpretata dalla colombiana Natalia Reyes, qui al suo terzo film e primo in America; dal futuro arriva anche il nuovo modello cyborg Rev-9, interpretato dall’americano con origini messicane Gabriel Luna, curriculum di caratterista con molta tv e qualche film. Nel frattempo resta ucciso Diego, il fratello di Dani, interpretato dal cantant’attore messicano Diego Boneta. Tutta questa ispanicità perché l’azione si svolge a Città del Messico e perché, ma non è dichiarato, gli ispanici, che sia autodefiniscono anche latinos, sono il 18% della popolazione e lo spagnolo è la prima lingua più parlata dopo l’inglese (l’italiano è al 12° posto): non stupisce quindi che un franchise in cerca di rinnovato successo si rivolga a una classe emergente in cerca di riscatto e visibilità: nel primo quarto d’ora del film si parla quasi esclusivamente spagnolo.

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Il Rev-9 – Gabriel Luna – e il suo doppio endoscheletro

Dobbiamo aspettare metà film per rivedere l’iconico Arnold Schwarzenegger, vecchio T-800 con barba incolta che nel frattempo in Texas ha messo su famiglia occupandosi platonicamente di una madre con figlio, ispanici ovviamente; ha anche messo su un’attività di tappezziere e discetta di stoffe e fantasie adeguate per le stanze dei bambini: il tentativo è quello di ritrovare l’antica vena ironica che nei vari sequel si era persa, ma dà una sensazione di tristezza anzichenò. L’ironia era riecheggiata allorché l’invecchiata Sarah Connor dice il famoso Tornerò! quando ha appena finito di dare una mano, molto bene armata, alle due nuove protagoniste, e Dani esclama: Ma questa chi è? Dani e Grace si uniscono a Sarah Connor in fuga dal nuovo Rev-9, che di nuovo ha che il suo metallo liquido è nero come la pece, e soprattutto può sdoppiarsi producendo un endoscheletro autonomo. Un muscolare terzetto femminile segno, anche questo, di un’attenzione al nuovo immaginario cinematografico che anticipa la realtà attribuendo alle donne ruoli che nella realtà non hanno ancora. A metà film, oltre a ritrovare l’invecchiato T-800 che stavolta dirà un mesto Non tornerò!, e non indossa più i suoi immancabili occhiali scuri, arriva la sorpresa narrativa: Dani deve essere salvata non perché sarà la nuova madre del nuovo salvatore, ma perché lei stessa sarà la salvatrice dell’umanità: più femminista di così non si può. Ma evidentemente strizzare l’occhiolino ad ispanici e donne non è bastato a rilanciare il marchio che, ancora una volta, potrebbe non generare i due sequel previsti, e chiudere mestamente la vita cinematografica del cyborg più famoso del mondo.

James Cameron produce e co-scrive soggetto e sceneggiatura, ma lascia la regia a Tim Miller, che si è fatto le ossa nelle officine degli effetti speciali e che ha debuttato come regista due film fa dirigendo “Deadpool”, di cui non ha diretto il sequel “Deadpool 2” per divergenze col protagonista Ryan Reynolds. In questo “Destino Oscuro” il T-800 di Arnold Schwarzenegger muore definitivamente, muore anche la viaggiatrice del futuro Grace, anche il nuovo cattivo sistema di intelligenza artificiale Legion viene sconfitto e nel lieto fine l’inedita coppia formata dall’anziana Sarah Connor e della giovane futura leader dell’umanità Dani Ramos, prendono con sé la bambina Grace – quella che tornando dal futuro adulta e potenziata si è sacrificata per loro – e con l’intento di evitarne la futura morte si preparano a un nuovo futuro di battaglie fra il genere umano e le macchine assassine generate dall’ennesima intelligenza artificiale, o forse no? Come nel titolo, il destino è oscuro, incerto, e dato non che ci sarà più Scwarzy col suo obsoleto T-800, non avrebbe neanche senso continuare a chiamare questo brand Terminator. Avremo forse uno spin-off? Errare è umano ma perseverare è diabolico. Intanto James Cameron, lockdown permettendo, è pronto a tirare fuori dal suo cilindro i quattro – dico bene: quattro! – attesissimi sequel di “Avatar”. Dopo che gli hanno sfilato di mano i sequel del suo terminator, ora si è portato avanti col lavoro, e annuncia anche la preparazione di un quinto Avatar. La prima data prevista è il dicembre 2021 e con i successivi sequel si arriva abbondantemente al 2030. Staremo a vedere, se avremo ancora qualcosa da vedere e, soprattutto, se saremo ancora qui per vedere.

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Terminator Genisys – James Cameron is back

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2015, siamo al numero 5, che in realtà è il 3° di James Cameron, il papà del cyborg più famoso del mondo. Sono passati 24 anni dal suo secondo terminator, una generazione intera è cresciuta con altri miti cinematografici, gli X-Men, gli Avengers, e le pallide repliche di un fenomeno che ha avuto senso solo nella sua epoca, veicolato da una star del culturismo che nel frattempo ha lasciato il cinema per darsi alla politica, diventando governatore della California; un fenomeno che ha imposto nella cinematografia il nome di James Cameron che si farà onore con clamorosi blockbusters.

Come spesso accade, la casa di produzione che deteneva i diritti di Terminator, fallì, e finalmente Cameron, dopo i soliti svariati passaggi di mano, riesce a riprendersi il suo terminator e si arriva a questa nuova produzione di cui però l’autore non sarà produttore né sceneggiatore e neanche regista, benché tutto proceda col suo beneplacito e controllo del pacchetto. “Terminator Genesys” asfalta i due precedenti capitoli e torna al secondo di cui si propone come reboot: sono uguali l’epoca, le circostanze e i personaggi, ma complica la trama di ulteriori viaggi temporali e realtà parallele che mettono a dura prova l’attenzione dello spettatore. I vecchi fan sono delusi e i nuovi fan… beh non ci sono nuovi fan. Il film, anch’esso come i precedenti immaginato come il primo di una trilogia, non avrà un seguito perché al botteghino è andato malissimo, oltre a essere stato stroncato dalla critica. Così la stampa: “Terminator Genisys cerca di spremere il sangue da un cadavere, viene fuori come il peggiore di tutti i risultati”; “Spende metà del suo tempo a mostrare dei personaggi cyborg impossibili da uccidere che vengono colpiti per poi guarire prontamente e l’altra metà nel cercare di spiegare una trama che riscrive l’intera serie.” e “Sono solo affari, e affari smorti”.

Dirige Alan Taylor, molto attivo in tv, il cui film precedente è il successo “Thor: the Dark World” ma che dopo questo terminator non ha diretto altri film. Arnold Schwarzenegger, che nel frattempo ha concluso la sua esperienza politica, torna a riprendersi il suo ruolo e lo vediamo in tutte le salse: invecchiato (dato che la pelle umana che ricopre il cyborg naturalmente invecchia, gran bella trovata per allungare la vita cinematografica di Schwarzy-Terminator), ringiovanito con la computer grafica e addirittura in lotta con se stesso, ovvero due terminator che indossano la sua faccia: un film a servizio della star che ha contribuito a creare il fenomeno.

Terminator: Genisys Split - H 2015
Arnold Schwarzenegger giovane ricostruito sulla controfigura Brett Azar
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Scwarzy-Terminator invecchiato come è lui nella realtà

Sarah Connor è stavolta interpretata da Emilia Clarke – star di “Il Trono di Spade” dove è Daenerys Targaryen la Khaleesi Madre dei Draghi – che subito, all’insuccesso del film, ha dichiarato che non avrebbe partecipato ai sequel. Condivide il film, da protagonista, con Jai Courtney – diventato famoso come il gladiatore Varro nella serie tv “Spartacus” – qui nell’ambito ruolo di Kyle Reese. John Connor, che spedisce nel passato Kyle affinché diventi suo padre, è interpretato da Jason Clarke (nessuna parentela con Emilia Clarke) arrivato alla fama con la serie tv “Brotherood – Legami di Sangue” e il cui personaggio subisce un profondo restyling, facendolo diventare il cattivo, perché infettato con il nano-terminator T-3000 da Skynet, che in questo film vediamo in sembianze umane, interpretato da Matt Smith, star del televisivo “Doctor Who”. Il sudcoreano Lee Byung-hun è l’immancabile T-1000 e in ruoli secondari ci sono J. K. Simmons e Courtney B. Vance.

Mi rimane da dire che il film mi sembra un peccato di orgoglio. Lo stesso James Cameroon aveva dichiarato che il ciclo naturale del terminator si era concluso coi suoi primi due film, e questo tardivo fallimentare ritorno su un personaggio caro, e vincente, equivale a un riappropriarsi della creatura. Una creatura che aveva dato il meglio di sé già tanti anni prima e che non andava resuscitata. Ma errare è umano e perseverare è demoniaco: ci sarà un altro Terminator, Destino Oscuro: un sottotitolo che è già un programma?

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Terminator Salvation

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Quarto capitolo della saga Terminator ma stavolta senza numero progressivo perché si stacca dai primi tre, perché non c’è più un terminator e non c’è più Arnold Schwarzenegger che ora sta facendo il governatore della California, soprannominato governator da terminator. Non ci sono più neanche i produttori Vajna e Kassar che avevano acquisito tutti i diritti del franchising, sfilandoli al creatore James Cameron, e ora li avevano venduti a The Halcyion Company. Il film è del 2009 a sei anni di distanza dal precedente di cui avrebbe dovuto continuare il plot, ma ancora una volta passa di mano in mano, cambiano le visioni produttive e viene più volte riscritta la sceneggiatura, che alla fine, nonostante il contributo di diversi, porta solo la firma di John Brancato e Michael Ferris, autori del 3°.

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«Ero un muratore, costruivo case. Non ho mai voluto recitare. Quando avevo diciannove anni mi sono messo con una ragazza che doveva fare un’audizione per la Premier Drama School. Ho fatto il provino con lei per farle da supporto morale, per tirarla un po’ su. Io venni preso, lei no… non è grandioso l’amore? Mi ha lasciato una settimana dopo!» Nella copertina di GQ che lo ha proclamato Man of the Year nel 2009.

Il progetto finale si stacca dalla trilogia precedente e si propone come l’inizio di una nuova trilogia che riscrive lo scenario e i personaggi. Mentre i film precedenti si basavano sui viaggi temporali del terminator e del suo rivale, questo nuovo progetto si basa su un’unica linea temporale, collocata nell’immediato futuro, l’anno 2018 (che per noi, oggi, è già il passato) e su un inedito punto di vista: quello dei combattenti in un futuro da cui finora avevamo solo visto arrivare amici e nemici. Si apre con un antefatto collocato nel 2003 in cui a un condannato a morte viene offerta la possibilità di donare il suo corpo alla scienza, nello specifico alla Cyberdyne Systems, di cui sappiamo che sta progettando lo Skynet col quale le macchine prenderanno il sopravvento. Il condannato è Marcus Wright, interpretato da Sam Worthington, un attore australiano semi sconosciuto che però ha appena finito di girare da protagonista “Avatar” di James Cameron, che uscirà lo stesso anno e che, sono parole sue, “gli ha cambiato la vita”. Prima di “Avatar” era arrivato a essere un senzatetto che viveva in un’automobile acquistata per duemila dollari, tutto quello che aveva ricavato vendendo i suoi beni. Fu lo stesso Cameron a parlarne al nuovo regista, McG, quando questi volle incontrare il vero autore del terminator per chiedergli suggerimenti e consigli.

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Helena Bonham Carter e Tim Burton

Nell’antefatto la dottoressa che gli propone l’affare è interpretata da Helena Bonham Carter, che accetta di girare il cameo solo per far piacere al suo compagno, il regista Tim Burton, che era un fan di Terminator. Nel film, l’anno dopo in cui l’ergastolano dona il suo corpo alla sperimentazione, Skynet viene attivato e il sistema, riconoscendo negli esseri umani un nemico, scatena il conflitto nucleare che porta al presente narrativo, il 2018. Il film si inquadra così nel genere post-apocalittico e survivalistico. Marcus Wright si risveglia, redivivo, in un mondo che non riconosce e senza neanche avere coscienza di cosa gli è successo, perché evidentemente non era stato ancora attivato, però si dimostra subito un forte e impavido distruttore di macchine. Nel suo vagare fra le rovine di Los Angeles incontra un giovane esperto in sopravvivenza, Kyle Reese. Su un altro piano narrativo John Connor, militarmente inquadrato nell’esercito combattente, si porta dietro l’aura della leggenda che si è sparsa sul suo conto ma deve ancora obbedire agli ordini dei suoi più alti in grado; ha una moglie visibilmente incinta, e dunque si suppone che la sua prole avrà un ruolo nei due sequel programmati, e ora, dopo che ha saputo che le macchine vogliono uccidere lui ma anche uno sconosciuto ragazzo di nome Kyle Reese, si mette sulla sua ricerca.

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In un film dove non è più protagonista il T-800 di Arnold Scwarzenegger è tutto uno spettacolare susseguirsi di diverse macchine stermina umani: vediamo all’azione gli obsoleti T-600 con scheletro esposto e i T-700 con pelle di gomma, e in volo una versione più piccola degli Hunter-Killer dei film precedenti, gli Aerostati, capaci di inviare un segnale radio agli Harvester, umanoidi di 18 metri, che essendo però molto lenti, hanno in dotazione incastonati nelle gambe dei Moto-Terminator che corrono a catturare gli umani; ma la vera chicca è l’Hydrobot, sorta di robot che si muove nell’acqua come un’anguilla assassina. Insomma, le macchine dominano tre elementi, terra aria e acqua, e non temono neanche l’ultimo, il fuoco. Ma gli umani scoprono che il loro punto debole è proprio il segnale radio attraverso il quale comunicano fra loro e ricevono ordini dal sistema centrale: basta spegnerlo per metterli al tappeto.

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Roland Kickinger

In questo affollarsi di macchine rivediamo in una movimentata sequenza il volto di Schwarzy – non accreditato – ricostruito con la computer grafica sul culturista, austriaco anche lui, Roland Kickinger; e altrettanto non accreditata c’è la voce di Linda Hamilton-Sarah Connor che il figlio John ascolta da audiocassette. John Connor è Chistian Bale, star con la più interessante carriera di ex attore bambino, e il suo coinvolgimento nel progetto è stato determinante, grazie anche al regista McG che non temeva di lavorare in collegialità. Egli aveva per primo cercato di coivolgere Bale – al momento impegnato sul set del secondo capitolo del Batman di Christopher Nolan, “Il Cavaliere Oscuro” – offrendogli il ruolo di Marcus Wright; ma l’attore, che prima di firmare ha rifiutato per tre volte, era più interessato al ruolo di John Connor, così il ruolo ebbe uno sviluppo più ampio nella sceneggiatura. Bale, pur essendo un fan di Terminator, fu convinto ad accettare solo quando il regista gli assicurò che la storia si sarebbe sviluppata sui personaggi e non sugli effetti speciali: e così è, in un film pur assai spettacolare sul piano effettistico, i personaggi sono molto ben delineati e il loro lato umano ed emozionale sono parte essenziale del racconto. Christian Bale, insieme al regista e all’altro interprete Sam Worthington, lavorarono d’amore e d’accordo sulla sceneggiatura, e poi passò insieme a lui intere giornate lavorative in sala montaggio per contribuire al prodotto finito.

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Nel ruolo del giovane Kyle Reese c’è Anton Yelchin, nato a Leningrado da una coppia di pattinatori russi che hanno richiesto asilo politico agli Stati Uniti lo stesso anno della sua nascita. Anche per lui, come per Sam Worthington è un momento di svolta: già premiato con il Young Artist Award, è ora scritturato in due film importanti con ruoli importanti, e insieme a questo Terminator interpreta anche Pavel Chekov in “Star Trek” e si avvierà a una carriera importante, tragicamente interrotta nel 2016: è stato ritrovato morto, col corpo incastrato tra la sua automobile e una cassetta della posta in mattoni, all’esterno della sua villa, la cui strada è in forte pendenza, e al momento del ritrovamento il motore dell’auto era ancora acceso e il cambio, che evidentemente ha ceduto, in folle.

Bryce Dallas Howard e Moon Boodgood

Ma il cast di primordine non finisce qui. Bryce Dallas Howard interpreta la moglie di John Connor; come pilota della Resistenza e momento romantico per Marcus Wright, c’è Moon Bloodgood, in quegli anni inserita dalla rivista Maxim fra le donne più sexy e poi, inanellando ruoli più da comprimaria che da protagonista, porterà avanti una bella carriera fra cinema e tv; il rapper spirituale Common che si è dato brillantemente anche al cinema come caratterista, interpreta il braccio destro di John Connor; altri caratteristi di lusso: Michael Ironside che è il generale al comando della resistenza, e Jane Alexander come anziana leader di un gruppo di sopravvissuti. Alla regia c’è Joseph McGinty Nichol, che abbreviato in McG sembra una di quelle sigle dietro cui palpita il cuore di un cyborg; ha cominciato come produttore e regista di videoclip musicali ed è anche regista di pubblicità di successo; il suo primo film è “Charlie’s Angels” cui seguirà “Charlie’s Angels, più che mai”, film di azione poco graditi alla critica ma molto apprezzati dal pubblico. Anche questo suo “Terminator Salvation” non piace ai critici: “Un tizio muore, si ritrova resuscitato, incontra altri, combatte. Ciò prosegue per quasi due ore”, è anche definito “prevedibile” e con “elementi drammatici che si appiattiscono”, l’interpretazione di Bale è “unidimensionale” ma i suoi co-protagonisti fanno di meglio, con Worthington che aveva “un’intensità silenziosa guastata solo quando urla ‘Nooooo!’ per tre volte in circa 10 minuti”; e ancora: “Il desiderio di Bale di interpretare John Connor è stato probabilmente il colpo più fatale al film, ha completamente distorto la forma della storia così com’è esistita.” ma c’è anche chi scrive: “la storia di Terminator si ricarica con una scossa di energia post-apocalittica. Frenetico e pieno di benvenuti legami col passato, apre anche nuove strade a proposito.” Arnold Schwarzenegger, protagonista dei precedenti tre film della serie, inizialmente fu generoso e definì “Terminator Salvation” “un grande film”, salvo poi ribaltare questa posizione e dire che era “orribile” e “un’occasione persa”. James Cameron lo considerò un “film interessante” che “non ho odiato tanto quanto avrei pensato”, e lodando l’interpretazione del suo pupillo Sam Worthington, disse anche che i suoi due film erano migliori di entrambi i successivi. Linda Hamilton, aveva augurato al film “il meglio” ma disse pure che la serie “era perfetta con due film. Era un cerchio completo, ed era abbastanza di per sé. Ma ci saranno sempre quelli che cercheranno di mungere la mucca”. Come sappiamo, il film non generò i due sequel previsti e rimane come un esperimento unico in tutta la serie, e non è da buttar via, a mio avviso.

Come curiosità c’è da riferire che durante le riprese, Christian Bale si arrabbiò con il direttore della fotografia per avere camminato sul set mentre giravano una scena; imprecò e urlò e si arrabbiò talmente che minacciò pure di lasciare il film. L’audio della filippica di Bale trapelò al pubblico e divenne virale. Bale si scusò poi pubblicamente. Ma la frittata era fatta Il compositore Lucian Piane creò un remix dance satirico dall’audio dell’incidente intitolato “Bale Out”. Per sorridere un po’.

Warning! James Cameron will be back!

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Terminator 2, il Giorno del Giudizio

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1991. Sono passati ben 7 anni dal primo “Terminator”, che è un’eternità nell’industria cinematografica, ma sono 7 anni ben spiegati. Terminator è stato la scommessa produttiva di un regista che non aveva nulla da perdere, che veniva dal fallimento di “Piraña paura” e che poteva contare solo sulla sua passione per la fantascienza e le capacità tecniche acquisite nel gruppo di lavoro di Roger Corman; dunque non era previsto un sequel, già riuscire a realizzare il film era la sospirata meta.

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Ovviamente dato il clamoroso successo se ne parlò, ma Cameron decise di attendere perché sapeva che da lì a poco gli sviluppi degli effetti speciali avrebbero subito una poderosa accelerazione: già nel creare il primo Terminator si era ipotizzato di farlo di metallo liquido ma l’opzione fu accantonata perché non esistevano gli effetti adeguati, e si dovette ancora ricorrere sia al passo uno che alle ricostruzioni meccaniche in lattice del volto danneggiato del cyborg. Nel frattempo il regista aveva diretto “Aliens, Scontro Finale” (1986) e “The Abyss” (1989), entrambi grossi successi: era ormai un regista assurto nell’olimpo dei grandi e potenzialmente ora poteva fare quello che voleva. Nel frattempo ha anche divorziato dalla produttrice Gale Anne Hurd che da innamorata aveva creduto in lui e rischiato insieme a lui, ma sono rimasti in buoni rapporti, tanto che lei è ancora fra i produttori di questo secondo capitolo; James Cameron ha sposato la regista Kathryn Bigelow, che in quello stesso anno, il 1991, raccoglie il successo di “Point Break” prodotto proprio dal suo marito: si piazza al 26° posto del box office mentre “Terminator 2” si piazza al primo. E qui di seguito una breve carrellata sui successi di quell’anno che sono rimasti impressi nella memoria collettiva: “Il Silenzio degli Innocenti” è al 4° posto, “Balla coi Lupi” al 6°, “La Carica dei 101” al 17°, “Thelma e Louise” al 25°, “Il Padrino, parte III” al 31°.

In apertura il film ripropone le sequenze iniziali del primo film, rivedute e aggiornate. Arnold Schwarzenegger è lo stesso cyborg, il T-800 che, come scopriremo, è stato catturato dai combattenti umani del 2029 e riconvertito alla loro causa, mandato nel passato, che stavolta è il 1995 (quattro anni avanti al tempo reale) a proteggere il giovane John, il futuro capo della resistenza concepito alla fine del primo film da Sarah Connor con il combattente venuto dal futuro Kyle Reese. Il ragazzo è un teppistello decenne dato in affido perché sua madre, che vaneggia di viaggiatori dal futuro, terminator e guerre nucleari, è rinchiusa in un manicomio criminale, ma nei primi anni di vita del ragazzo lo ha addestrato al combattimento e alla sopravvivenza, consapevole di quale sarebbe stato il suo futuro. Lei stessa si è trasformata da imbelle cameriera in un dura combattente e presto lo dimostrerà evadendo dal manicomio. Insieme al T-800 arriva dal futuro il nuovo cattivo, il nuovo modello T-1000 fatto di metallo liquido, che può assumere qualsiasi forma e quindi molto spettacolare e molto molto pericoloso, perché alla potenza militare aggiunge la capacità di inganno e trasformazione.

Il film spinge su spettacolari scene catastrofiche collocandosi di diritto nel genere apocalittico, mantenendo la sua originaria vena ironica che riesce a rimanere in sottotraccia, senza farsi troppo preponderante come ormai accade in tanti film di azione, che se spingono troppo in commedia diventano, a mio avviso, giocattoloni per adolescenti di tutte le età. Ma è anche un film drammatico che indaga i sentimenti dei personaggi, primo fra tutti la tormentata Sarah Connor, portatrice di dolore materno, tragica consapevolezza degli eventi, e fragilità emotiva mista a muscolare determinatezza: un equilibrio di spunti magistralmente elaborati da Cameron insieme al co-sceneggiatore Bill Wisher, e molto ben resi da Linda Hamilton, dalle scene in manicomio alle battaglie, passando per uno spettacolare incubo in cui vede Los Angeles distrutta da un fungo atomico.

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Le due gemelle Hamilton

Sull’attrice c’è da dire che soffre di disturbo bipolare e proprio in quegli anni rese pubblico il suo disagio per sensibilizzare l’opinione pubblica e incrementare la ricerca scientifica; resta anche da dire che ha una gemella identica utilizzata come sua controfigura nei due film che ha interpretato. Nel 1997, in ritardo sui tempi di lavorazione dei film, sposerà James Cameron (che nel frattempo ha divorziato anche da Kathryn Bigelow) e due anni dopo chiederà il divorzio perché lui non si sa tenere i pantaloni abbottonati e sul set di “Titanic” ha avuto una relazione con Suzy Amis, ex modella, oggi anche ex attrice, e al momento ancora moglie del nostro eroe, grande autore cinematografico e intrepido tombeur de femmes.

Risultato immagine per robert patrick t-1000

Per interpretare il sofisticato T-1000, Cameron voleva trovare un attore che creasse un buon contrasto con Schwarzy: “Se la serie 800 era una sorta di Panzer umano, allora la serie 1000 doveva essere una Porsche.” Lo trovò in Robert Patrick, che come lui veniva dalla scuderia di Roger Corman, un attore dallo sguardo azzurro gelido e dal fisico ben tornito ma leggero. L’attore aveva all’attivo solo tre film di serie B prodotti da Corman e questo fu e rimarrà il suo ruolo più celebre in una carriera lunga e proficua di caratterista in cinema e tv; proprio in tv avrà un altro ruolo di rilievo quando sarà protagonista di due stagioni di “X-Files” in sostituzione di David Duchovny che non voleva più partecipare alla serie.

Edward Furlong sul set del film e poi da adulto in un’aula di tribunale

Il giovane John Connor è il debuttante tredicenne Edward Furlong (che nel film ha solo dieci anni) e verrà premiato con il Saturn Award e l’MTV Movie Award. Il ragazzo intraprende subito una brillante carriera con ruoli importanti, scegliendo produzioni indipendenti nelle quali si trova più a suo agio per crescere artisticamente, e crescendo si conferma con una faccia da teppista che caratterizzerà i suoi personaggi futuri; purtroppo farà anche abuso di alcol e droga, e questo gli creerà problemi personali e giudiziari che rallenteranno il resto della sua carriera. Firmerà per riprendere il suo personaggio nel successivo Terminator ma proprio a causa dei suoi problemi di tossicodipendenza la produzione rescisse il contratto.

Con questo secondo Terminator, James Cameron ha messo d’accordo pubblico e critica e porta a casa quattro Oscar nelle categorie tecniche: Miglior Trucco, Miglior Sonoro, Miglior Montaggio Sonoro e Migliori Effetti Speciali; ai Saturn Award ottiene i premi come Miglior Film di Fantascienza, Miglior Regia, Migliore Attrice Protagonista, Miglior Attore Emergente, Migliori Effetti Speciali, e le candidature non andate a segno per Sceneggiatura, Trucco, Robert Patrick come Non Protagonista e Arnold Schwarzenegger come Protagonista; Schwarzy ha però vinto agli MTV Movie Award insieme a Linda Hamilton e Edward Furlong, più il premio Miglior Sequenza d’Azione. In conclusione, sette anni di attesa per un sequel sono stati sette anni di felice gestazione per un film che ha superato di gran lunga il primo, e con il quale dovranno fare i conti tutti i successivi della serie. I’ll be back!

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Terminator – siamo tutti cyborg

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Negli anni ’80 a Hollywood ci davano per spacciati nel giro di 40-50 anni e il futuro post-apocalittico, post-atomico, veniva collocato sul finire degli anni 2020: nel 2027 in “Robocop” e nel 2029 il “Terminator”. Che dire? siamo agli inizi di questo decennio allora prefigurato come apocalittico e già andiamo tutti in giro con delle mascherine, con limitazioni di movimento e coprifuoco a macchia di leopardo, evitando di abbracciare anche gli amici più cari perché chiunque di loro potrebbe essere il nostro inconsapevole assassino: forse non sarà uno spettacolare cataclisma atomico a far finire il mondo come lo conosciamo, ma qualcosa più infinitesimale e silente, assai poco spettacolare, assai più inquietante: a riscrivere la fine del mondo non saranno più i muscolari sceneggiatori americani ma gli anemici esistenzialisti europei, una fine del mondo alla Michelangelo Antonioni o alla François Truffaut.

“Tornio e telaio” di Fortunato Depero, 1949

Sin dall’uscita del film si creò una confusione sui termini: il terminator fu definito cyborg assassino, ma più correttamente esso è un androide, ovvero un robot con sembianze umane ma nulla di umano al suo interno; mentre il cyborg, quello di “Robocop”, è un essere umano con parti non umane. L’idea di un uomo-macchina è stata lanciata all’inizio del Novecento dai teorici del Futurismo in Italia, prima avanguardia culturale europea. Poi, il concetto di cyborg, termine che contrae cybernetic organism, è nato in ambienti medici e bionici negli anni ’60, ipotizzando un essere umano potenziato con protesi meccaniche ed elettroniche per sopravvivere in ambienti alieni, poiché allora la ricerca spaziale era prioritaria, e si teorizzava la colonizzazione di mondi extraterrestri da parte di esseri umani che necessitavano di essere connessi alla tecnologia per sopravvivere in ambienti ostili. L’uso militare non era ancora previsto. Poi, nella realtà odierna, meno visibile, i cyborg sono già fra noi: sono coloro che portano un pace-maker o dei by-pass o delle estensioni metalliche nello scheletro. Detto questo tutti quanti noi siamo dei fyborg, termine meno noto che sta per functional cyborg, ovvero individui potenziati con estensioni non innestate nel corpo: parliamo di semplici orologi da polso ma anche di lenti a contatto e occhiali da sole, auricolari e tutta la tecnologia smart; anche stando alla guida di un’auto o impugnando un’arma siamo dei fyborg.

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James Cameron, i cui due ultimi film “Titanic” (1997) e “Avatar” (2009) fino allo scorso anno erano in testa nella lista dei film con maggiore incasso nella storia del cinema (sono stati scalzati da “Avengers: Endgame” che è balzato al primo posto) era all’epoca un trentenne appassionato di sci-fi con poche prospettive di successo. Aveva interrotto il corso di laurea in fisica per dedicarsi al cinema dopo che era stato folgorato da “Guerre Stellari”. Nel 1978 firma il cortometraggio “Xenogenesis” che già contiene gli elementi che caratterizzeranno il suo cinema: il futuro, la tecnologia, la guerra uomo-macchina. Si fa le ossa lavorando come tecnico di effetti speciali nell’equipe di Roger Corman e poi nel 1981 debutta come regista del sequel di “Piraña” di Joe Dante; il film, “Piraña paura”, come si usava all’epoca per i sequel di film a basso costo, venne girato in Italia per abbattere i costi e fu un disastro su tutti i fronti: ignorato da pubblico e stampa, porta la firma di James Cameron nonostante egli sia stato licenziato a metà lavorazione per l’evidente scarsa esperienza al momento di girare le difficili scene in acqua, e relegato nel ruolo di aiuto-regia dal produttore che completò il film come regista. Deve essergli bruciato molto, visto che poi nel 1989 si prenderà una clamorosa rivincita sull’elemento acqua scrivendo e dirigendo con successo “The Abyss”, prima di cimentarsi con il “Titanic”.

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Alla fine di questa disastrosa avventura, che sicuramente gli ha abbassato le difese immunitarie, finisce in ospedale per un’intossicazione alimentare, e fa un sogno, anzi un incubo: sogna un torso metallico che si trascinava fuori da un’esplosione mentre tiene in mano dei coltelli da cucina. Germina l’idea del terminator. All’epoca frequentava una certa Gale Anne Hurd (che avrebbe sposato alla fine del film), anche lei nello staff di Roger Corman come segretario esecutivo, e alla quale piacque il progetto; così, sognando in grande, i due piccioncini strinsero un accordo: lui le vendette i diritti del suo terminator per un dollaro e lei si impegnò a lanciarsi come produttrice del loro primo film; gli suggerì anche alcune modifiche allo script e d’amore e d’accordo fu accreditata come sceneggiatrice; solo in seguito, ad amore e collaborazione conclusi, lui dichiarò che effettivamente lei non aveva scritto nulla: al capitolo amori e disamori.

Il soggetto si definì come oggi lo conosciamo: dal futuro 2029 con la terra cosparsa di teschi e in cui sopravvivono un manipolo di umani che combattono contro le distruttrici macchine padrone del mondo, arrivano nel presente narrativo, il 1984, il cyborg che deve uccidere Sarah Connor, futura madre del leader della resistenza John Connor che condurrà gli umani alla vittoria, e il combattente Kyle Reese inviato da Connor per proteggere la donna. Al momento di definire il cast, James Cameron voleva, come cyborg, il suo amico Lance Henriksen che aveva diretto in “Piraña paura”, e per convincere i produttori si presentò all’incontro con l’attore già in costume da terminator. La produzione voleva anche una star, per favorire il successo economico, e propose per il ruolo del buono Kyle Reese, il culturista austriaco Arnold Scwarzenegger che aveva sfondato al botteghino con “Conan il Barbaro” e stava girando il sequel “Conan il Distruttore”, ma Cameron non era convinto perché Scwarzy era troppo grosso e il suo amico Lance al confronto sarebbe risultato troppo mingherlino; allora i produttori rilanciarono proponendo come terminator Sylvester Stallone e Mel Gibson, ma entrambi rifiutarono; fu fatto anche il nome del nero O. J. Simpson ma Cameron non riusciva a immaginarlo nel ruolo dell’assassino: sarebbero dovuti passare altri dieci anni perché la realtà superasse la finzione, quando a O. J. Simpson, nonostante la controversa assoluzione giuridica, rimarrà incollata per sempre l’immagine di duplice assassino, della moglie e dell’amante.

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Tuttavia, James Cameron accettò con molte riserve di incontrare Arnold Schwarzenegger per parlare del ruolo del buono, ma il culturista lo sorprese parlandogli di come immaginava l’interpretazione del cattivo e il resto è storia: il caro amico Lance Henriksen dovette farsi da parte e accettare un ruolo secondario, (sarà un androide per la regia di Cameron nel secondo capitolo di “Alien”) e Schwarzy firmò per essere il terminator nonostante i suoi palesi dubbi: sul set del secondo Conan dichiarò a un giornalista “E’ un film di merda che sto facendo, mi prenderà un paio di settimane”. Pensava che interpretare un robot in contemporanea al barbaro Conan sarebbe stato un interessante cambio di passo artistico, e anche qualora fosse stato un flop non avrebbe danneggiato la sua carriera. Al contrario, invece, la consolidò e fece di lui una vera star. All’epoca Scwarzy aveva ancora un forte accento tedesco e questo caratterizzò il suo terminator senza necessità di effetti sonori aggiuntivi: in tutto pronuncia 18 battute e meno di 100 parole; poiché non riusciva a pronunciare la frase I’ll be back cercò di far cambiare la forma contratta in quella completa I will be back spiegando che riteneva che il suo personaggio robotico doveva usare un linguaggio dichiarativo privo di contrazioni colloquiali; Cameron s’impuntò e alla fine l’austriaco pronunciò la frase meglio che poteva, creando inconsapevolmente una frase-icona che poi ripeterà in tanti altri film. Nello sconsiderato doppiaggio italiano I’ll be back diventa un aspetto fuori che non si lega con l’azione, quando il terminator torna sfondando l’ingresso con l’automobile.

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Michael Biehn interpreta l’altro protagonista, il combattente venuto dal futuro a salvare la madre del salvatore. “Terminator” fu il suo primo film di successo e con Cameron girerà anche il secondo “Alien” e “The Abyss”, poi la sua carriera procederà in film secondari o con ruoli secondari. Forse le aspettative create dal suo primo clamoroso successo hanno fuorviato le sue scelte future, perché è rimbalzato fra ruoli inspiegabilmente rifiutati e altri che non è riuscito ad agguantare arrivando sempre secondo. Anche Linda Hamilton, la protagonista femminile, è rimasta in qualche modo bruciata da “Terminator” e non ha più interpretato film o ruoli degni di particolare nota; solo il suo personaggio ha avuto più lunga vita nella serie tv “Terminator: The Sarah Connor Chronicles” interpretata però da Lena Headey. Tornerà in “Terminator 2 – Il Giorno del Giudizio” e nel sesto della serie “Terminator – Destino Oscuro” che è il sequel diretto del secondo ignorando tutti gli altri film che si sono succeduti. Staremo a vedere cosa succede…