Archivio mensile:aprile 2019

Tulipani: love, honour and a bicycle

Visto al Film Fest Gold Elephant World 2019 dove era in concorso e dove ha vinto come Miglior Film Europeo è davvero una piacevolissima sorpresa, diretto dall’olandese Mike van Diem già premio Oscar con “Character” come Miglior Film in lingua straniera nel già lontano 1997. Quel film non è mai stato distribuito in Italia e quindi non conoscevo neanche il regista che qui trova coproduttori italiani per una storia che parte dall’Olanda per approdare nella Puglia degli anni ’80. Una storia bizzarra con toni da commedia grottesca che, grazie a una felicissima scrittura, si incastrano felicemente in un contesto da favola per adulti dove non manca nulla, dal sogno come spinta di vita alla beffa finale al cattivo di turno, passando per un’indagine su un omicidio che forse omicidio non è.

Ksenia Solo arriva dal Canada in Puglia per spargere le ceneri della madre che di quella terra era originaria e qui comincia l’avventura, il racconto nel racconto, che partendo dalla sua disavventura recente nella quale si è letteralmente bruciata le chiappe, scopriamo tutto il mondo che c’era e che c’è: il suo padre sconosciuto, Gijs Naber, che scappando dalla sua terra alluvionata in Olanda si mette in bicicletta e in soli 5 giorni – ma la memoria che racconta reinventa, e questo è un altro punto forte dell’intelligente sceneggiatura – raggiunge la Puglia dove il caso gli fa scegliere la terra dove piantare i bulbi di tulipano che si è portato dietro. Da qui prende l’avvio una serie di eventi perfettamente incastrati in cui dei personaggi ben disegnati animano felicemente la trama di un allegro thriller che non perde mai un colpo narrativo e giunge alla conclusione in cui tutto torna, adeguata alla bella favola che è.

Felicissimo anche il cast diretto con mano sicura dal regista olandese in un film in cui si parla, oltre all’olandese, l’inglese e l’italiano, con ampie porzioni di pugliese. Come punto centrale dell’intricata vicenda primeggia una Lidia Vitale mai abbastanza valutata dal nostro cinema, vista di recente del cast della serie comedy Sky “Romolo+Giuly” e qui davvero al meglio della sua espressività artistica. Michele Venitucci, altro nome da tenere in considerazione e con un curriculum di tutto rispetto, è suo figlio Vito interpretato da bambino da Gianni Pezzolla. Il più noto Giorgio Pasotti in libera uscita dal Mulino Bianco, nei panni di un fabbro amico dell’olandese è qui forse al suo primo ruolo non borghese e se la cava egregiamente benché come fabbro che batte sull’incudine avrei visto meglio un fisico più massiccio. Donatella Finocchiaro è sua moglie, in un ruolo un po’ in ombra ma decisivo ai fini del racconto. Anneke Sluiters è il grande amore dell’olandese e Totò Onnis, pugliese doc, ha qui la sua bella occasione come mafioso in completo bianco e panama, un po’ macchietta, come è dovuto in una favola, ma abbastanza minaccioso da essere sempre credibile come l’intero cast, in una recitazione che armoniosamente passa dal naturalismo al grottesco grazie a una sceneggiatura di ferro e una regia superba. Chiude il cast Giancarlo Giannini in uno di questi suoi ruoli da terza età dove si diverte a tratteggiare dei cameo che con la sua interpretazione acquistano un altro status.

E’ prevista l’uscita estiva dato che quest’anno il cinema è “aperto per ferie” e raccomando assolutamente la visione di questo film intelligente e leggero ma con tanti significati nascosti.

Dumbo, di Tim Burton o della Disney?

La domanda, si dice, sorge spontanea: come verrà ricordato questo Dumbo fra 10-20 anni? sarà un film di Tim Burton o l’ennesima produzione Disney di cui non sarà ricordato neanche il regista? dicendo del film precedente che ha avuto ben sei registi oggi sconosciuti.

Intanto cominciamo col dire che è l’ulteriore salto in avanti della tecnica dei cartoni animati. Il Dumbo originale era del 1941 e i cartoni animati erano quelli che ci hanno accompagnato fino alla fine del secolo scorso, piatti e senza prospettiva. Solo negli ultimi decenni si erano avvalsi del disegno computerizzato che sostituendo quello fatto a mano arricchiva di dettagli i prodotti. Poi, con un salto tecnico in avanti, il cartoon ha acquistato profondità rotondità e prospettiva, e in qualche caso tridimensionalità, e tutto sembrava più vero. Ora siamo arrivati al Live Action, una tecnica straordinaria che fa sembrare le creazioni computerizzate così vere e vive da potere essere tranquillamente mischiate agli attori in carne e ossa senza vederne la differenza. Personalmente, attendendo il remake in live action di “Che fine ha fatto Roger Rabbit?”, mi chiedo quale sarà lo sviluppo successivo, tenendo presente che il 3D non ha del tutto conquistato il mercato. Con il live action un paio di anni fa la Disney ha rifatto, e molto ben fatto, “Il libro della giungla” il cui precedente era del 1967 e sono in uscita un Aladino e un Re Leone. In pratica è la stessa tecnica che crea mostri e navicelle spaziali e scenari immaginifici nei film di fantascienza e forse davvero, se sarà economicamente vincente, un giorno potremo veder rivivere in digitale le star del passato.

Tornando a Dumbo, del film del ’41 rimane ben poco oltre il protagonista dagli immancabili occhioni blu: solo la citazione degli elefanti rosa fatti con le bolle di sapone. Per il resto, avendo a disposizione attori veri, si è creata una trama avvincente facendo sfoggio di star per adulti per invogliare i genitori a portare al cinema i pargoletti a cui è veramente rivolto il film che, sono sincero, ho trovato abbastanza stucchevole. E qui torniamo inevitabilmente a Tim Burton dato che nel cast non c’è nessuno dei suoi soliti attori, neanche un’ombra delle sue atmosfere dark e nonostante siamo in un circo nessuno dei suoi freak. Solo Danny De Vito, il proprietario del circo, col suo metro e 47 di altezza potrebbe considerarsi un freak e, ovviamente, Dumbo con le sue grandi orecchie lo è. Tutto qui. Al contrario il film è molto rassicurante ed è giusto che lo sia trattandosi di un prodotto per bambini… ma allora che c’è andato a fare Tim Burton? In qualche modo è tornato a casa perché si è fatto le ossa proprio alla Disney ma poi se n’era andato perché a lui piacevano gli scheletri e le regole della casa gli stavano strette. Ma devo dirlo: è tornato a casa senza lasciare una traccia di sé e questo “Dumbo” live action è un altro prodotto Disney che avrebbe potuto dirigere chiunque.

In questo circo Colin Farrell, eroe mutilo della Grande Guerra, siamo nel 1920, è il padre dei due bambini che scoprono il talento dell’elefantino, Nico Parker e Finley Hobbins; Michael Keaton fa il cattivo col parrucchino di traverso quando le cose non andranno per il suo verso e il vegliardo Alan Arkin, star del cinema indipendente degli anni ’70, qui è il banchiere più cattivo del cattivo; Eva Green è la trapezista dal passato oscuro ma dal cuore d’oro; Sharon Rooney è la sirena cicciona che insieme a Joseph Gatt che fa da guardia del corpo del cattivo, possono essere ascritti fra i freak per la ciccia dell’una e la calvizie da alopecia dell’altro… ma proprio a voler cercare il freak a tutti i costi.

La parte migliore del film per me sono le scene e i costumi: le prime ispirate alla visionarietà futurista dello stile decò dell’epoca e i secondi che vestono e caratterizzano con ricchezza ogni personaggio in questa favola dove anche i poveri sono abbigliati con stile. Solo qui, in questo “dietro le quinte” c’è il tocco di Tim Burton che dal suo mondo si è portato dietro lo scenografo Rick Heinrichs e la costumista Colleen Atwood che hanno avuto l’Oscar per il burtoniano “Il Mistero di Sleepy Hollow”.

Dunque, restando in attesa delle meraviglie dei prossimi Live Action resto anche in attesa dei prossimi scheletri del Tim Burton doc di cui ho amato alla follia “La Sposa Cadavere” e “Nightmare Before Christmas” realizzati con la tecnica antica dell Stop Motion. Preistoria.