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Joker, o della follia come ancora di salvezza

Ce n’è da dire!

Joker, come personaggio dei fumetti, ha la stessa età di Batman: sono dei giovanotti del 1940. E’ apparso come antagonista dell’Uomo Pipistrello nel primo numero della serie e, attraversando molteplici vicende e fortune, è sempre tornato a sfidare la sua nemesi fino a rubargli la scena in “Il Cavaliere Oscuro” di Christopher Nolan, secondo capitolo di un trittico con il quale è stato ridisegnato Batman, interpretato da Christian Bale: poiché Batman è un super eroe senza super poteri ma solo tanti soldi da spendere in gadget e marchingegni, se ne è riscritta la sua umanità rendendolo un personaggio più realistico, un uomo tormentato, con un suo lato oscuro, che alla fine della saga sacrifica la sua immagine pubblica di eroe mascherato per non macchiare quella dell’eroe di Gotham City, il tutore dell’ordine Harvey Dent che era divenuto il folle Due Facce: Batman si fa carico dei suoi crimini e sparisce come eroe caduto da dimenticare.

Nel secondo film sul nuovo Batman di Nolan finalmente entra in scena il Joker, e che Joker! Tutti abbiamo ancora nel cuore e nella mente l’interpretazione di Jack Nicholson, che col suo ghigno naturale (vedi “Shining” di Kubrick) è sempre stato un po’ Joker. Il film era “Batman” diretto da Tim Burton, con Michael Keaton nel ruolo del protagonista. Dicono le cronache che Nicholson volle che venisse riscritto il suo personaggio, pretese un tempo limitato per le sue riprese e un contratto da 6 milioni di dollari che diventeranno 60 grazie alla percentuale sugli incassi che aveva chiesto e ottenuto: un brand a parte all’interno del film.

Anche il Joker di Nolan, come Batman, fa un bagno di realismo: è un criminale sociopatico che verrà interpretato dalla giovane star in ascesa Heath Ledger che si è lasciato ispirare, oltre che dai fumetti, ovviamente, dal “vizioso” Sid Vicious, batterista punk dei Sex Pistols con la passione per le droghe, tanto da morirne, e da Alex DeLarge, il personaggio protagonista di “Arancia Meccanica” di Stanley Kubrick, i cui interessi principali sono “lo stupro, l’ultraviolenza e Beethoven”: dal romanzo di Anthony Burgess. L’interpretazione di Heath Ledger è magistrale e gli varrà un Oscar postumo dato che alla fine delle riprese l’attore muore, anche lui di overdose, ma di farmaci regolarmente (e con molta leggerezza?) prescritti; il referto medico dichiara: “Mr Heath Ledger è morto per un’intossicazione acuta provocata dagli effetti combinati di ossicodone, idrocodone, diazepam, temazepam, alprazolam e doxilamina”, un cocktail letale di sonniferi, ansiolitici e analgesici: che l’ispirazione fosse diventata troppo realistica?

Va annotato anche il commento ingeneroso di Jack Nicholson all’uscita del film che definì l’interpretazione di Heath Ledger “senza spirito” e criticò la produzione per non aver chiesto il suo parere: evidentemente con i suoi 60 milioni di dollari si riteneva l’unico tenutario del marchio Joker. Chissà cosa avrà detto oggi?

Nasce in quegli anni e da quelle esperienze il Joker odierno. in contemporanea alla riscrittura realistica di Nolan anche gli autori dei fumetti lavorano su un’identica linea realistica creando “The Joker”, protagonista del fumetto sganciato da Batman. Un’idea che il regista Todd Phillips fa sua riscrivendo ex novo il background del personaggio per sganciarlo ancor più dai fumetti della DC Comics e dagli altri film, e ne fa un film potente sul male di vivere. Questo Joker è Arthur Fleck, un comico senza talento che si guadagna da vivere facendo il pagliaccio per un’agenzia che lo manda in giro come uomo-cartello pubblicitario o animatore per bambini. Soffre, oltre che di depressione, di un grave disturbo neuro-psichiatrico, un’incontinenza emotiva che nei momenti di rabbia e stress gli fa scattare una risata involontaria e tragica, angosciante. Scopriremo, insieme a lui, che il disturbo è causa di un trauma di cui è rimasto vittima nella prima infanzia. Inoltre le cure che riceve dal dispensario pubblico vengono interrotte per la sospensione dei fondi e Arthur imparerà a fare i conti con la sua diversità: accoglierà nella sua coscienza questa sua “follia”, indotta per trauma, e non più curata per il disinteresse della gestione della sanità pubblica: ne farà la sua dirompente personalità finalmente libera da costrizioni mediche e fraintendimenti pseudo morali: nasce il Joker.

Ma non mancano i riferimenti al mondo DC Comics: la città è sempre Gotham, l’ospedale è sempre l’Arkham Asylum e il magnate che amministra la città, che fa mancare i fondi alla sanità, e che si presenta alla carica di sindaco è Thomas Wayne, il padre del piccolo Bruce che diverrà Batman quando un delinquente assassinerà davanti a lui i suoi genitori per derubarli. Ma il Thomas Wayne che altrove è sempre stato un magnate buono e generoso, qui rivela un lato oscuro più in linea con una realtà dove i magnati non sono mai angeli. Todd Phillips recupera anche uno dei vari passati del Joker che i fumetti hanno variamente raccontato: è di nuovo un clown fallito. Qui è anche ammiratore del comico Murray Franklin che ha un suo programma tv nel quale sogna di esibirsi: per questo personaggio autore e interprete, Robert De Niro, si sono dichiaratamente ispirati a “Re per una notte” di Martin Scorsese dove De Niro ammirava fino al delirio la sua star tv lì interpretata da Jerry Lewis. Ancora, la cronaca ci dice delle frizioni fra De Niro e Phoenix a causa del differente approccio al copione e alle prove: classico e metodico il primo, irrituale il secondo.

C’è di nuovo che il Joker ha una mamma, una vecchia signora che passa le sue giornate fra depressione e nostalgie, fra divano e letto, sempre davanti alla tv accesa, tenutaria di segreti che si riveleranno diversi da come lei li racconta, o li tace: perché si sa che la memoria inganna, e certi inganni possono anche rivelarsi letali. C’è di nuovo che il disagio del Joker, amplificato da un’imboscata tv, viene inteso dai derelitti della città come una chiamata alle armi della riscossa, uguale a una di quelle che hanno fatto la nostra storia civile: il popolo che si ribella a chi li governa con troppi bastoni e poche carote. Qui però indossano maschere da clown e inneggiano al folle che ha indicato la via della follia come salvezza dalle miserie quotidiane.

Il film ha vinto il Leone d’Oro a Venezia e, a mio avviso, Joaquin Phoenix si sarebbe meritato il premio come Miglior Attore che è andato, invece, a Luca Marinelli protagonista di “Martin Eden” che, per carità, se lo è meritato, ma qui siamo davvero su un altro pianeta: Phoenix ha perso 24 chili e ha definito la sua risata studiando persone affette da quel disturbo; per approcciarsi alla personalità del Joker ha studiato le biografie di famosi attentatori alla vita di altri famosi. Aveva definito il progetto come “unico, un mondo a parte”, “la cosa più spaventosa” su cui dedicare il suo lavoro di attore, e non ci resta che inchinarci a questa sua interpretazione che, finalmente dovrebbe portargli quell’Oscar che gli è già sfuggito tre volte per “Il Gladiatore”, “The Master” e la biografia di Johnny Cash “Quando l’amore brucia l’anima”.

Accanto a Joaquin Phoenix e Robert De Niro c’è Frances Conroy nel ruolo della madre, attrice rivelatasi al grande pubblico tv come matriarca della serie dark “Six Feet Under” e poi star ricorrente nell’antologia horror “American Horror Story”. Zazie Beetz è la donna dei sogni di Arthur/Joker e Brett Cullen è Thomas Wayne mentre Glenn Fleshler è il collega clown finto amico che, come tutti in questo film tranne il protagonista, hanno sempre un pensiero diverso da quello che invece dichiarano: tutti mentono, tranne il folle che, come i bambini, dice sempre la verità.

Contrariamente a quello che ha dichiarato il regista, che dice che questo film non è l’inizio di una nuova saga, io, da spettatore, mi auguro il contrario. Nota a margine sul mondo del Joker: è on line una serie web liberamente ispirata ai personaggi della DC Comics che, avviata come un divertissement fra amici, è via via cresciuta fino ad aggiudicarsi premi internazionali, fra cui quello al miglior regista (che è anche interprete e autore) a Bruno Mirabella: “Like me, like a Joker” per non perdere nulla sull’affascinante mondo dei folli.

Deadpool 2, un irriverente di successo

“Deadpool 2” continua il successo del 2016 con protagonista un supereroe chiacchierone sporco e sporcaccione, che dice sempre cazzo, fuck nell’originale, in tutte le più fantasiose declinazioni; ma la più immaginifica è in bocca al cattivo: “Ti sciolgo e ti trasformo in un piercing per il mio cazzo!” (cock nell’originale). Brillantemente interpretato da Ryan Reynolds, che qui mette mano anche alla sceneggiatura, Deadpool è divertente proprio perché è irriverente verso tutti e tutto, infrangendo la quarta parete,  rivolgendosi non solo al pubblico ma anche commentando lo stesso film e criticando la sceneggiatura in un cortocircuito fra personaggio creato e momento creativo che potrebbe risultare un pasticcio ma che invece è brillantemente risolto. Qualcosa sfugge alla comprensione, data l’elevata presenza di riferimenti, sempre irrituali, ad altri film e personaggi della Mattel, alla cultura pop americana, allo star-system e addirittura alla stessa carriera di Ryan Reynolds: in uno dei finali multipli tipici della saga, per correggere gli errori temporali il personaggio uccide l’attore nel momento in cui decise nel 2011 di interpretare il “Green Lantern” della concorrente DC Comics e che fu un fiasco. Considerata la divertita ed esibita scurrilità il film ha come target dichiarato gli adolescenti e non è quindi un caso se un adolescente sovrappeso e frustrato è il coprotagonista Russell “Firefist” interpretato da Julian Dennison. Del primo film ritroviamo la fidanzata – Morena Baccarin, l’amico coglione – T.J. Miller, la vecchia amica cieca – Leslie Uggams, e Testata Mutante che è Brianna Hildebrand, oltre a Colosso che è solo visual effect, cui si aggiungono un energico Cable che non ha superpoteri ma solo supertecnologia dato che viene dal futuro,  interpretato da un divertito Josh Brolin;  c’è poi Domino che è Zazie Beetz e Eddie Marsan nel ruolo del cattivo preside, torturatore di poveri fanciulli coi superpoteri, trasfigurazione di quegli integralisti religiosi che vorrebbero debellare qualsiasi diversità sessuale e identitaria nel mondo reale. E non a caso Testata Mutante qui ha una fidanzata – interpretata da Karan Soni – e Deadpool, come stagista degli X-Men si rivolge a loro con un politicamente corretto X-People, non prima di aver provato a fondare una propria squadra come X-Force dato che X-Men gli sembra sessuofobo. E per finire le curiosità: Ryan Reynolds nell’originale dà la voce a Fenomeno creato in CGI e ci sono rapidissimi cammei di Hugh Jackman, James McAvoy, Evan Peters, Nicholas Hoult e Tye Sheridan come X-Men; Matt Damon e Alan Tudyk compaiono come due contadini e Brad Pitt è lo Svanitore della X-Force creata da Deadpool e subito risibilmente annientata da un vento troppo impetuoso. Se non si è allergici alle parolacce e si ha molto senso dell’umorismo il film è assai divertente e promette sequel a iosa.