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Muscular Remakes: Ben-Hur e I Magnifici Sette

Questa stagione cinematografica si apre coi remake di due grandi film che rimangono nella storia del cinema: il “Ben-Hur” del 1959 di William Wyler che con i suoi 11 Oscar ha mantenuto il primato fino a che non è stato affondato dal “Titanic” e “I Magnifici Sette” di John Sturges ispirato al magnifico “I Sette Samurai” di Akira Kurosawa.

Diciamo subito che il “Ben-Hur” 2016 è una scorreggetta. Regge il confronto la scena della corsa delle quadrighe, momento clou di entrambi i film, ma mentre nel ’59 era una cosa mai vista – sbagliarla oggi, con tutti gli effetti speciali a disposizione, sarebbe stato gravissimo. Per il resto è un piatto rifacimento con gli ovvi “distinguo” della sceneggiatura, necessariamente più moderna e aggiornata, ma non sempre con scelte convincenti: da un lato il ridicolo incidente della tegola che cade sul console e che scatena l’ira dei Romani viene giustamente rivista come un più credibile attentato contro l’usurpatore, dall’altro il linguaggio si fa addirittura troppo moderno mettendo in bocca a Messala una parola come progressista; inoltre: laddove il Cristo veniva sempre mostrato di schiena, come a mantenere le distanze data la grandezza della sua figura, qui viene ampiamente mostrato col volto emaciato e vagamente fastidioso di quel Rodrigo Santoro che in “300” ha giganteggiato come il cattivissimo macho-trans fashion-sadomaso Serse. Ma è incredibile il cast: accantonando il sempre ottimo Morgan Freeman che qui è uno sceicco che prende il posto del favolistico Magio Baldassarre del ’59, spendiamo qualche parola sui protagonisti: a sostituire l’ingombrante Charlton Heston è stato chiamato Jack Huston, un interessante e bravo attore inglese nobile per parte di madre e nipote d’arte per parte di padre: il regista John Huston era suo nonno e Anjelica Huston è sua zia. Ma che ci fa un bravo attore con carriera di qualità, faccia da bravo ragazzo e fisico mingherlino – prima a remare in una galera romana e poi a correre su una quadriga? non ci crede nessuno. Nel ruolo dell’amico-nemico Messala c’è un altro inglese di belle speranze ma già più credibile nel ruolo: Toby Kebbell. Dirige la baracca, anzi il baraccone, Timur Bekmambetov. Ovviamente in questa versione i due protagonisti tornano di nuovo amici e tutti vissero felici e contenti.

Meglio, “I Magnifici Sette” diretto da Antoine Fuqua. Nel ’60 non ci sono stati Oscar con cui fare oggi i conti oggi, e anche qui ci sono le star a sostituire le star dell’epoca: Yul Brynner a capo dei sette e Eli Wallach come il cattivissimo, e scusate se è poco. Oggi il cattivo è Peter Sarsgaard, ottimo attore con un bel faccino non nuovo a ruoli di cattivo. A capo della banda di eroi-malgrado-loro oggi c’è il nero Denzel Washington in un contesto storico in cui un nero non avrebbe mai potuto ricoprire quel ruolo, e poiché siamo nel politically correct più spinto di un Paese che deve sempre fare i conti con le sue belligeranti tribù, oggi i magnifici sette sono di tutti i colori: c’è l’ispanico (ma c’era già) e c’è pure il cinese ma – e qui John Wayne si rivolterebbe nella tomba – alla fine si aggiunge anche il pellerossa Comanche. L’insalata è gradevole perché dove c’è diversità c’è sempre più gusto, e l’azione è condita con quel pizzico di ironia che non guasta mai e aggiunge pepe alla polvere da sparo. Denzel passa sullo schermo inespressivo perché già il fatto di essere il nero fa spettacolo. Ethan Hawke tratteggia bene il suo magnifico tormentato e Chris Pratt fa bene la sua canaglia. Vincent D’Onofrio, interessantissimo attore che ricordiamo giovane recluta “palla di lardo” in “Full Metal Jacket” di Stanley Kubrick; essendo stato per anni protagonista della serie tv “Law & Order”, le sue uscite sul grande schermo sono sempre all’insegna della ricerca di personaggi in cui possa indossare pelli diverse e qui è praticamente irriconoscibile come villico barbuto e definitivamente grasso. Manuel Garcia-Rulfo è l’ispanico, Lee Byung-hun il giallo, Martin Sensmeier il rosso. Con l’impavida Haley Bennett i magnifici sette fanno sette e mezzo e completano il cast: Luke Grimes, Cam Gigandet e Matt Bomer che all’inizio del film sembra il protagonista ma muore nei primi cinque minuti: ruolo cameo per un attore, acclamato protagonista della serie tv “White Collar” che avendo dichiarato la sua omosessualità adesso paga lo scotto di una Hollywood dove tutto si fa ma nulla si dice: don’t ask don’t tell, purissima ipocrisia di un paese che si è inventato il politically correct perché profondamente sessuofobo, razzista e classista. E questo non è un altro discorso, perché questo discorso si rispecchia nelle produzioni cinematografiche per il grande pubblico dove si devono accontentare tutti e non offendere nessuno. In questo caso ci sono riusciti con un prodotto coinvolgente e a divertente.

Apes Revolution, il Pianeta delle Scimmie

Il Pianeta delle Scimmie, 1968
Il Pianeta delle Scimmie, 1968

Prima di perdermi in tecnicismi e divagazioni dico subito che il film mi è piaciuto molto e che se dovessi dargli un voto gli darei un bel sette, anzi sette e mezzo va’. Dura due ore abbondanti, 130 minuti per l’esattezza, e non cala mai la tensione su questo racconto fantascientifico in cui ritorna la paura degli uomini che i loro cugini più prossimi e meno evoluti, le scimmie, possano un giorno superarli in intelligenza e potenza. E’ figlio di quel PIANETA DELLE SCIMMIE del 1968 con Charlton Heston tratto dal romanzo del francese Pierre Boulle e che generò ben quattro sequel: L’ALTRA FACCIA DEL PIANETA DELLE SCIMMIE del 1970, FUGA DAL PIANETA DELLE SCIMMIE del 1971, 1999 CONQUISTA DELLA TERRA del 1972 e ANNO 2670 ULTIMO ATTO del 1973. Come si vede dalle date un film dietro l’altro ogni anno a tambur battente. E per spremere il limone fino alla fine ci furono anche una serie tv del 1974 e un’altra animata del 1975.

Planet of the Apes, 2001
Planet of the Apes, 2001

Una decina di anni dopo, e siamo alla metà degli anni ottanta, da più parti fu ripresa l’idea di un remake o di altri sequel e si ebbero vari progetti con differenti sceneggiature e diverse ipotesi di regia, non ultima quella dell’allora sconosciuto Peter Jackson che sarà l’autore della grandiosa saga de IL SIGNORE DEGLI ANELLI e che lancerà nello star system Andy Serkis, acclamato interprete della motion capture su cui tornerò più avanti. Dobbiamo arrivare al 2001 perché Tim Burton si presti a fare un suo remake con Mark Wahlberg, Tim Roth e Helena Bonham-Carter che però non ha avuto il successo auspicato.

Passano altri dieci anni e nel 2011 esce il cosiddetto “reboot” che consiste nel fare piazza pulita dei precedenti film per ricominciare dall’inizio: L’ALBA DEL PIANETA DELLE SCIMMIE che scrive il prequel e racconta come tutto ebbe inizio: un farmaco sperimentale studiato per curare l’Alzheimer e testato sui primati, a causa di un incidente viene inalato da un tecnico di laboratorio sul quale ha però effetti letali e che sarà il “paziente zero” di un’epidemia che, come i grafici raccontano nei titoli di coda, infetterà l’intero pianeta.

L'Alba del Pianeta delle Scimmie, 2011
L’Alba del Pianeta delle Scimmie, 2011

Contemporaneamente all’uscita in sala di APES REVOLUTION Sky lo ha rimesso tempestivamente in onda fornendo un servizio, eccellente e non dovuto, ai suoi abbonati: l’ho dunque rivisto per rinfrescarmi la memoria. Diretto da Rupert Wyatt è protagonista James Franco che interpreta il ricercatore farmaceutico e che testa il prototipo del farmaco sperimentale sul padre affetto d’Alzheimer (John Lithgow) mentre si prende cura di un neonato scimpanzé per sottrarlo all’abbattimento dopo che tutti i test sono stati cancellati a causa dell’incidente in cui è morta sua madre, la quale gli ha però passato gli effetti del farmaco del quale era cavia: una straordinaria intelligenza. Il piccolo cresce amorevolmente accudito nella famiglia cui si è unita la fidanzata del ricercatore (Freida Pinto) imparando il linguaggio dei segni e molte altre cose… ma ben presto è evidente che il mondo degli umani non è fatto per lui e lo scontro con la conseguente fuga è inevitabile, proprio mentre comincia a diffondersi il virus fra gli umani e Cesare (nome che proviene dai sequel degli anni settanta) pronuncia la sua prima parola: No.

The Hobbit: An Unexpected Journey - Portraits
Andy Serkis

Tre anni dopo esce, dunque, la seconda parte di RISE OF THE PLANET OF THE APES col titolo DOWN OF THE PLANET OF THE APES contrapponendo all’alba il tramonto, che però la Fox ha cambiato per il mercato italiano in “Apes revolution”… misteri della distribuzione. E se Andy Serkis lì era citato solo alla fine dei titoli ancorché nobilitato da un “con” qui si accaparra addirittura il primo nome. E direi meritatamente. La sua strana carriera cinematografica comincia quando Peter Jackson cercava un attore-mimo per mettergli addosso e sulla faccia dei sensori che trasferissero alla computer grafica i suoi movimenti e le sue espressioni, per rendere umano e credibile il personaggio che si andava a creare: il Gollum/Smeagol del quale Serkis diventò via via interprete-creatore assoluto dandogli anche la voce sullo schermo. Il personaggio creato con questo nuovo sistema, il “motion capture”, fu talmente straordinario e impossibile da disgiungere dall’interpretazione dell’attore-mimo che ci fu una campagna trasversale, fatta di fans e addetti ai lavori e critici cinematografici, affinché Andy Serkis potesse essere nominato agli Oscar… ma la cosa non avvenne in quanto la faccia non era la sua, benché costruita sulla sua interpretazione. In seguito Jackson si avvalse di Serkis anche per dare vita al suo remake di “King Kong” dove premiò l’attore affidandogli anche un ruolo secondario in cui potesse recitare coi suoi connotati. Dell’attore Andy Serkis c’è da dire che purtroppo la sua faccia non corrisponde al suo talento: capace di spaziare dal brillante al drammatico, dal buono al cattivo in tutte le sfumature, ha però una faccia che lo inchioda al carattere brillante e neanche tanto simpatico, e su questo versante si possono contare le sue interpretazioni cinematografiche “dal vero”.

Apes Revolution, 2014
Apes Revolution, 2014

APES REVOLUTION si apre e si chiude con un primissimo piano degli occhi di Cesare ed è chiaro che ci sarà un altro seguito. Sono passati dieci anni dal capitolo precedente e la Terra, annientata dal virus scatenato dieci anni prima, è uno scenario post-apocalittico in cui gli umani sopravvivono a stento nei fortini ricavati dalla macerie delle città mentre le scimmie prosperano libere in natura, intelligenti forti e bene organizzate. Causa una spedizione umana in cerca di soluzioni energetiche le due popolazioni entrano di nuovo in contatto ma Cesare, kaiser della comunità quadrumane, non ha dimenticato di essere stato cresciuto da un uomo buono ed ora è un capo equilibrato ancorché attento e severo: rintuzza i tentativi e le tentazioni di scendere in guerra con gli umani ma, come dimostrano i fatti, non ci sono umani cattivi e scimmie buone, bensì buoni e cattivi da entrambe le parti e lo scontro diventa inevitabile in un film affascinante per gli effetti speciali e la trama ricca di tensioni drammatiche e anche intimistiche.

Fatto fuori dalla produzione il regista Rupert Wyatt che aveva da ridire sulla sceneggiatura, si chiama fuori anche James Franco che qui compare solo come cartolina memoria. Chiamato alla regia Matt Reeves la superproduzione fa fuori anche ogni altra ipotesi di star dato che questo genere di film si regge da sé sull’evento che crea. Tolta l’intensa partecipazione di Gary Oldman nel ruolo secondario del capo della comunità umana – e spendo poche parole per elogiare la sua interpretazione: quando chiamato a fare un discorso alla sua gente per sostenerla e incoraggiarla lo fa con parole inevitabilmente retoriche che lui riesce però a far filtrare attraverso la sua personale angoscia e il suo sperdimento: in questo sta la grandezza di un interprete, quando trova la via per emozioni che nel copione non erano previste. Un altro sarebbe stato solo tronfio e banale. A fronteggiare il Cesare di Andy Serkis stavolta c’è il semisconosciuto ancorché bravo attore australiano Jason Clarke, uno di quei volti che dici: dove l’ho visto? dato che si è visto in ruoli secondari in decine di film ma anche come protagonista di serie televisive. Dalla televisione provengono anche la sua compagna, Keri Russell che in tv è stata recentemente protagonista di “The Americans”, Kirk Acevedo che interpreta il violento perché stupido ed Enrique Murciano che qui quasi neanche parla. La regola data è dunque chiara: non c’è spazio per divi sul pianeta delle scimmie.

E per finire una breve carrellata sui veri volti degli altri interpreti che hanno prestato il loro talento al motion capture per creare le altre creature coprotagoniste del film.

Toby Kebbell / Koba
Toby Kebbell / Koba
Nick Thurston / Occhi Blu
Nick Thurston / Occhi Blu
Karin Konoval / Maurice
Karin Konoval / Maurice
Judy Greer / Cornelia
Judy Greer / Cornelia