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The Mule – Il Corriere –

Clint Eastwood a 88 anni è ancora in gran forma e interpreta e dirige un film scritto da Nick Schenk spirato alla storia reale di un ottantenne che per necessità diventa corriere, dapprima inconsapevolmente, di un cartello messicano che movimenta grossi quantitativi di droga. Nella storia, una volta comprese le problematiche familiari del protagonista, non c’è nulla di nuovo – ma il buono, anzi l’eccellente, viene dalla qualità della scrittura che arricchisce di dettagli non banali l’intera vicenda e il protagonista: un vecchio di buon cuore ma sanamente politicamente scorretto che ancora chiama negri i neri e mangiafagioli i messicani, non perché sia razzista ma perché esponente di un’altra epoca. Il film acquista ovviamente spessore per la presenza di Clint come protagonista e regista che si prende e ci prende in giro, complice col suo sceneggiatore, quando qualcuno gli dice che somiglia a Jimmy Stewart (star del cinema in bianco e nero hollywoodiano), cosa che gli è successa nella vita reale, e lui manda sommessamente affanculo.

Il film non ha candidature, né ai Golden Globe né agli Oscar. Oltre al pluri premiato Clint Eastwood il cast schiera altri nome di peso fra i quali Bradley Cooper che quest’anno è candidato agli Oscar come Miglior Protagonista per “A Star is Born” che è anche candidato come miglior film e per la cui regia dice, in un’intervista, di essere stato ispirato dal clima amichevole e rilassato che Clint Eastwood crea sui suoi set. Ma ci sono anche Dianne Wiest (due Oscar all’attivo) Laurence Fishburne, Andy Garcia, Michael Peña, Ignacio Serricchio, Taissa Farmiga e sua figlia Alison Eastwood nel ruolo di sua figlia. Decisamente un film da mettere in agenda anche perché, data la veneranda età di Clint, non si sa quanti ce ne potremo ancora godere.

Green Book, vincente per forza

“Green Book” ha già vinto il Golden Globe nella sezione Miglior Film Commedia e Miglior Attore non protagonista per Mahershala Ali; è candidato all’Oscar come Miglior Film, Miglior Attore Protagonista e Non Protagonista, Miglior Montaggio e Miglior Sceneggiatura al regista Peter Farrelly che l’ha scritta a sei mani con Brian Hayes e Nick Vallelonga che è il figlio del Tony di cui il film racconta la storia “ispirata a vicende reali”. Ricordiamo qui che Peter Farrelly in coppia col fratello Bobby ha firmato grandi successi come “Tutti pazzi per Mary”.

La vicenda cui si ispira è quella del pianista nero Don Shirley, colto azzimato e nero, che per la sua tournée nel profondo sud degli States si affida all’italo-americano Tony Vallelonga, ignorante rozzo e bianco. La vicenda è complicata perché siamo nel 1962, nel sud vige ancora la segregazione razziale e l’eccezionale pianista è accolto da strette di mano e applaudito solo finché si esibisce ma poi non può condividere ristoranti e bagni coi bianchi che lo hanno ingaggiato e osannato. Il Green Book del titolo è una guida di viaggio per negri, per aiutarli a trovare i posti dove possono alloggiare e mangiare più tutte le altre regole della segregazione, come quella della restrizione notturna agli spostamenti.

Fondamentalmente è un film del filone “strana coppia” dove i due, quanto mai diversissimi, finiranno con l’apprezzarsi e col condividere esperienze e culture: nulla di nuovo. Vince l’ambientazione, appunto, e la coppia del cast che schiera due nomi di prim’ordine già pluri premiati: Viggo Mortensen e Mahersala Ali che sembrano divertirsi molto, in libera uscita dai ruoli impegnativi che li hanno premiati in passato, e divertono la platea. Ai Golden Globe ha vinto solo Mahersala Ali come Non Protagonista ed entrambi sono candidati all’Oscar sempre come protagonista Viggo Mortensen e non protagonista Mahershala Ali che di fatto è protagonista tanto quanto: vedremo presto come andrà anche se a mio avviso il film, gradevolissimo, è però molto sopravvalutato. Nel cast la palpitante Linda Cardellini come moglie di Viggo e lo stesso co-sceneggiatore figlio del vero protagonista Nick Vallelonga.

Ma la pecca più grossa del film è il suo doppiaggio italiano che lo riduce a un film di macchiette col suo insentibile “sicilianese” (termine gergale per addetti ai lavori per definire un siciliano inventato e assai sgradevole) che ha il suo peccato originale nell’adattamento dei dialoghi dove sentiamo addirittura un “chissi cosi” che non esiste in nessuno dei dialetti dell’Isola: come rovinare un film in corsa per gli Oscar. Dato il peso specifico artistico di Mortensen ho immaginato che il suo lavoro sulla lingua italo-inglese dovesse essere più raffinato e me ne sono accertato cercando sul web il trailer in lingua originale…