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Povere creature! – Leone d’Oro e Oscar 2024

Ovvero quando in Italia proprio non ci azzeccano coi titoli. Dietro questo film c’è un romanzo, “Poor Things!” appunto, che l’eclettico artista scozzese Alasdair Gray diede alle stampe nel 1992 e che da noi Marcos y Marcos tradusse come “Poveracci!” che se uno lo comprava senza sapere cosa, poteva pensare che si trattasse di un romanzo inedito di Pier Paolo Pasolini sulle sue periferie romane; ma la casa editrice milanese dovette subito rendersi conto della figuraccia tant’è che lo stesso anno uscì con un’altra edizione reintitolata “Vita e misteri della prima donna medico d’Inghilterra” facendo pensare stavolta a un saggio storico su Elizabeth Blackwell che fu la prima donna a laurearsi in medicina nel 1849; doveva essere molto faticoso alla Marcos y Marcos – che orgogliosamente si sono dedicati esclusivamente alla traduzione e diffusione di letteratura straniera – pensare a un titolo più rispettoso dell’originale, magari lasciandolo così com’è dato che ormai tutti comprendiamo due parole come poor things. Risultato: le vendite non decollarono e il geniale – in patria – autore scozzese restò da noi misconosciuto. Ma con eccezionale tempismo da standing ovation (su cui indagherò) la piccola casa editrice Safarà (anch’essa con vocazione straniera dedicata alla pubblicazione di opere lontane nello spazio e nel tempo, come si legge sul sito) con sede in Pordenone, dunque periferia geografia e periferia editoriale, fa il colpaccio acquisendo per tempo i diritti ed esce in contemporanea col film al Festival di Venezia, entrambi i lavori, libro e film stavolta intitolati “Povere Creature!”: film e libro di successo.

Alasdair Gray

Il progetto del film non è cosa recente. Nel 2009 l’autore greco Yorgos Lanthimos arrivato proprio in quell’anno alla ribalta con “Dogtooth”, suo terzo lungometraggio tutto greco (il titolo originale era “Kynodontas”) incoronato miglior film al Festival di Cannes nella categoria Un Certain Regard cui seguirono le candidature al British Film Awards e all’Oscar, forte della recentissima fama acquisita in ambito internazionale, andò fino in Scozia per chiedere ad Alasdair Gray, scrittore drammaturgo e artista visivo, di concedergli i diritti del romanzo in questione, e quando arrivò a casa dello scrittore fu sorpreso dall’accoglienza: lo scozzese aveva visto e apprezzato molto il suo film e il greco lo ricambiò esprimendogli la sua ammirazione per quel romanzo che nessuno aveva mai pensato di trasporre per il cinema, fino a ispirarsene: l’inizio di “Dogtooth” e l’inizio del romanzo hanno un aspetto identico: in entrambe le narrazioni i genitori tengono i figli chiusi in casa senza nessun contatto col mondo esterno, reale. Nel film poi le cose procedono in maniera assai più inquietante che nel romanzo, il quale attraverso una narrazione pastiche rimane una favola morale con evidentissimi rimandi al Frankenstein di Mary Shelley e con richiami anche ai mondi narrativi di Arthur Conan Doyle e Lewis Carroll: il romanzo gotico fine ‘800. Da buoni nuovi amici il 75enne scozzese portò il 36enne greco in giro per Glasgow a mostrargli i luoghi reali che aveva inserito nella storia, storia che però era quanto mai irreale, lontana dagli altri suoi romanzi in cui raccontava una città più realistica con indagini sul sociale.

Alasdair Gray a una sua mostra

Le “povere cose” del romanzo, in cui l’autore inserisce anche delle tavole illustrate di propria mano firmate però con lo pseudonimo di William Strang, si muovono in una fantasiosa epoca vittoriana raccontata come iperbole per continuare a parlare dei temi cari: le disuguaglianze sociali, l’ambiguità delle relazioni interpersonali e la ricerca dell’identità – temi cari anche all’autore greco che di suo aggiunge un gusto assai noir ellenicamente intriso di eros e thanatos: il progetto prese il via restando però come lungo work in progress data la difficoltà dell’impresa.

Una delle illustrazioni di Gray: è evidente che lo stile è stato ripreso nelle scenografie del film.

I film successivi di Lanthimos si aprono alle coproduzioni internazionali e vengono girati in lingua inglese, ma restano ancora nell’ambito delle produzioni indipendenti, però con l’arrivo sui set dei primi divi: Colin Farrell, Rachel Weisz e in un ruolo secondario l’apprezzata ma non ancora nota Olivia Colman per “The Lobster” (2015) Premio della Giuria a Cannes, candidatura all’Oscar per la sceneggiatura e al Golden Globe per Colin Farrell che ha rilanciato la sua carriera che s’era avviata in fase discendente; Farrell torna nel successivo film affiancato da Nicole Kidman in “Il Sacrificio del Cervo Sacro” (2017) con la sceneggiatura premiata a Cannes più molte altre candidature in altri premi – ma sono film ancora a basso costo che trattano le tematiche noir e grottesche tipiche dell’autore. Il 2019 è l’anno della consacrazione (anche se ancora gli sfugge l’Oscar personale) col triangolo lesbico nei palazzi reali inglesi del 1700 in “La Favorita” dove per la prima volta l’autore lavora su una sceneggiatura non sua, e per il ruolo della protagonista restò fermo su Olivia Colman che vincerà Oscar e Golden Globe divenendo una delle attrici più richieste; mentre per l’altra protagonista, dopo che Kate Winslet ha lasciato il progetto, offrì il ruolo a Cate Blanchett che però ringraziando declinò; a quel punto Lanthimos ripescò Rachel Weisz che non si fece problemi nell’essere una terza scelta e anzi si disse molto stimolata considerando il ruolo come “il più succoso” della sua carriera, paragonando la sceneggiatura a “Eva contro Eva” ma più divertente perché mossa dalla passione e dal sesso.

Protagonista e regista sul set

Emma Stone si autocandidò: aveva chiesto al suo agente di metterla in contatto col regista, che dopo averla incontrata le chiese di prendersi un insegnante per acquisire l’accento british, e la Stone s’impegnò così tanto che fra i due scoccò una scintilla professionale, tanto che Lanthimos le anticipò il suo progetto su “Poor Things”.

“Dopo il relativo successo di ‘La Favorita’ – ha dichiarato il regista – dove in realtà ho realizzato un film leggermente più costoso che ha avuto successo, le persone erano più propense a permettermi di fare qualunque cosa volessi, quindi sono tornato al libro di Gray e ho detto: ‘Questo è quello che voglio fare.’ È stato un processo lungo, ma il libro era sempre nella mia mente.” Processo talmente lungo che nel 2019 Alasdair Gray se ne andò 85enne senza aver potuto vedere il film tratto dal suo romanzo: il progetto fu ufficialmente annunciato nel 2021, in piena pandemia Covid, con Emma Stone che fece il grande salto da attrice scritturata a co-produttrice: “È stato molto interessante essere coinvolta nel modo in cui il film veniva messo insieme, dal cast ai capi dipartimento a ciò che è stato messo insieme. Alla fine, Yorgos è stato colui che ha preso quelle decisioni, ma io sono stato molta coinvolta nel processo, che è iniziato durante la pandemia; stavamo contattando le persone, facendo il casting e tutto il resto durante quel periodo, perché non potevamo andare da nessuna parte.” Mentre era chiusa in casa, pensando al personaggio sperimentò di farsi una tintura che accidentalmente risultò nera corvina, cosa che non era nelle sue aspettative; ma quel look che contrastava con la sua carnagione chiara piacque al regista e decisero di mantenerlo. Nel costruire il personaggio di Bella Baxter, l’attrice era attratta dall’idea di ritrarre una donna rinata con una mentalità libera dalle pressioni sociali: “Chiaramente, questo non può realmente accadere, ma l’idea che tu possa ricominciare daccapo come donna, con un corpo già formato, e vedere tutto per la prima volta e provare a capire la natura della sessualità, o del potere, o del denaro o della scelta, la capacità di fare delle scelte e di vivere secondo le proprie regole e non quelle della società: ho pensato che fosse un mondo davvero affascinante in cui compenetrarmi. Era il personaggio più gioioso al mondo da interpretare, perché non ha vergogna di nulla. E’ nuova, sai? Non ho mai dovuto costruire un personaggio prima che non avesse cose che gli erano accadute o che non gli erano state imposte dalla società per tutta la vita. È stata un’esperienza estremamente liberatoria essere lei.”

Si proseguì con la composizione del cast e per i ruoli maschili firmarono il veterano Willem Dafoe nel ruolo del frankensteiniano creatore di Bella che ogni giorno si è sottoposto a sei ore di trucco e parrucco, e il cinematograficamente poco noto ma già premiato comico americano di origine egiziana Ramy Youssef come suo aiutante e promesso sposo della creatura: entrambi, per prepararsi ai ruoli, hanno frequentato una scuola per becchini. Mark Ruffalo prese il ruolo del fascinoso manipolatore avvocato che introduce Bella nel mondo reale pensando di poterla usare come oggetto di piacere e al contempo controllare, non immaginando che la voglia di vita di lei avrebbe preso il sopravvento scompaginando tutte le regole vittoriane sulle quali l’uomo basava ogni sua convinzione: interpretazione molto autoironica e divertente. Nel ruolo del sadico marito della prima vita della protagonista l’emergente Christopher Abbott.

Si aggiungono Margareth Qualley (figlia di Andie McDowell) come nuova creatura in sostituzione della transfuga Bella, e nel ruolo della tenutaria del bordello Kathryn Hunter nata in America da genitori greci come Aikaterini Hadjipateras e poi naturalizzata britannica: forte caratterista che per la sua fisicità viene spesso chiamata sui set di film in costume; la nera francese Suzy Bemba, vista come protagonista della serie tv francese sul balletto “L’Opéra”, è una delle prostitute; e come crocieristi sul transatlantico il filosofo nero Jerrod Carmichael che principalmente è un altro comico televisivo e la rediviva 80enne Hanna Schygulla, indimenticata star di tutti gli anni ’70 fino alla metà degli ’80, nel divertito ruolo di una vecchia ricca signora dallo spirito assai innovativo rispetto a quell’Ottocento.

Oscar anche ai costumi di Holly Waddington che ha lavorato a stretto contatto con l’autore per rendere attraverso il guardaroba la crescita e lo sviluppo di Bella, dall’infanzia con abiti gonfi al corsetto che la fascia alla fine del film; anche l’attrice produttrice ci ha messo del suo pensando che nella sua infanzia Bella si veste in modo più tradizionale (si fa per dire, visti i costumi) mentre via via che cresce sceglie di vestirsi in modo più bizzarro – in un contesto surreale e grottesco dove qualsiasi cosa è plausibile.

E Oscar anche alla scenografia firmata dagli inglesi James Price e Shona Heath a cui in un secondo tempo si è aggiunto l’ungherese Zsuzsa Mihalek per i set interamente costruiti in studio in Ungheria, con i fondali dipinti in stile vecchia Hollywood secondo la visione del regista, e partendo dalle illustrazioni che Gray aveva realizzato per illustrare il suo romanzo, Lanthimos ha invitato gli scenografi a liberare tutta la loro follia: sono stati così realizzati, oltre alle versioni in miniatura per i campi lunghi, quattro enormi set in stile Escher, con versioni distorte e vertiginose delle capitali europee in cui Bella viaggia, come visioni nate dalla fantasia del personaggio ancora bambina.

Distorsioni visive accentuata anche dalla visione registica che col direttore della fotografia Robbie Rayan (candidato) hanno usato spessissimo le lenti deformanti come il grandangolo e il fish-eye. Un altro compiacimento autorale è l’uso del bianco e nero in molte sequenze all’inizio del film, che è generalmente gradevole pur senza essere compreso appieno, e qui arrivano le dotte spiegazioni: Lanthimos parte dal fatto che secondo eminenti studi i neonati cominciano a vedere il mondo in bianco e nero e solo dopo, lentamente, cominciano a riconoscere i colori: dunque il b/n del film è lo stato mentale della rinata Bella. Inoltre il b/n, sempre nelle intenzioni del regista, rimanda ai primi film horror con Frankenstein. Io da solo come spettatore medio non c’ero arrivato.

Oscar anche a trucco e acconciature di Nadia Stacey, Mark Coulier Josh Weston. Non premiato con l’Oscar come Miglior Film, categoria che invece è stata premiata ai Golden Globe insieme alla protagonista, e con il Leone d’Oro al Festival di Venezia. Solo candidatura per la sceneggiatura firmata dall’australiano Tony McNamara (di nuovo l’autore si è fatto da parte come sceneggiatore) e per i non protagonisti Willem Dafoe e Mark Ruffalo; solo nomination anche per il musicista Jerskin Fendrix qui debuttante come compositore di colonna sonora.

Ariane Lebed

E poiché Yorgos Lanthimos non se ne sta con le mani in mano, fra un film e l’altro ha realizzato due cortometraggi che è il caso di definire d’autore: nel 2019 con Matt Dillon ha realizzato “Nimic” e nel 2022 durante la lavorazione di “Poor Things” con Emma Stone ha girato “Bleat”, cortometraggi che sarebbe interessante andare a vedere. E al momento sta già ultimando il prossimo film “Kind of Kindness” di cui pochissimo si sa, se non che è stato girato a New Orleans e che dovrebbe uscire la prossima estate; nel cast di nuovo la Stone con Willem Dafoe e Margareth Qualley, ma stavolta è tornato a scrivere lui la sua sceneggiatura col suo amico di sempre Efthimis Filippou; e ricordiamoci, ora che è diventato una star hollywoodiana, che deve ancora piazzare anche la moglie attrice francese Ariane Labed per la quale, oltre a un ruolo di cameriera in “Lobster” non ha ancora trovato una parte succosa; intanto lei è l’altra protagonista della serie francese “L’Opéra” insieme a Suzy Bemba: si suppone che il colore della pelle nelle grandi produzioni sia determinante per l’assegnazione delle quote etniche.

Già si parla del prossimo film sempre con la Stone, perché squadra vincente non si cambia (a meno che un pettegolezzo dell’ultim’ora non ci sveli una loro relazione anche amorosa) che dovrebbe essere il remake della commedia fantasy sud-coreana “Save the green planet”: staremo a vedere cosa accadrà sui grandi schermi e sui grandi rotocalchi. Loro intanto, regista e attrice, interrogati dalla stampa, scherzano: “Facciamo schifo, e lo sappiamo. Perciò ci continuiamo a provare!”

Da qui in poi non si parla più del film ma di finanza ed editoria.

Gennaio 2016. La Elgo Holding con sede a Londra che è proprietaria di oltre 25 aziende sparse nel mondo, ha investito nell’assetto societario dell’azienda pordenonese dmyzero srl che si occupa di comunicazione aziendale ed editoria avendo creato un’innovativa sintesi fra i due settori: due marchi che hanno unito le loro storie per creare una realtà unica e condivisa, capace di evolvere insieme nel tempo: la D’Orsi Studio che opera nell’ambito della comunicazione visiva ai più diversi livelli e la Safarà Editore, una casa editrice che si dedica alla pubblicazione di letteratura e saggistica internazionale e che è tra le 58 case editrici europee vincitrici del bando Europa Creativa, un programma che premia la traduzione e promozione di opere letterarie di qualità firmate da autori provenienti dai più diversi paesi dell’Unione Europea. Elgo, scegliendo D’Orsi Studio per sviluppare la comunicazione delle oltre 25 aziende del gruppo, ha acquisito anche la casa editrice con l’intento di sviluppare importanti progetti editoriali di levatura mondiale. Da qui la dritta della più o meno imminente realizzazione del film dal romanzo già malamente edito in Italia. Marcos y Marcos che ne deteneva i diritti per l’Italia è stata ben lieta di sbarazzarsene e Safarà, che nasconde la longa manus di Elgo, ha fatto il colpaccio. Se è vero che bisogna trovarsi al posto giusto nel momento giusto, è anche vero quello che diceva mia nonna: i soldi fanno i soldi e i pidocchi fanno i pidocchi.