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Omaggio a Donald Sutherland

L’attore riceve la statuetta da Jennifer Lawrence

Donald Sutherland se n’è andato 88enne il 20 giugno scorso: un attore enorme che ha ricevuto solo un Oscar alla carriera nel 2017, premio per il quale non è mai stato neanche nominato nonostante abbia lavorato in film rimasti nella storia del cinema con interpretazioni oggi ancora memorabili.

Terzo da destra

Donald McNichol Sutherland, canadese di origini scozzesi, sul piano medico da bambino non si fece mancare nulla: soffrì di febbre reumatica, epatite e poliomielite; ma secondo l’adagio “quello che non ti uccide ti rafforza” superò brillantemente le malattie. Si hanno notizie di lui che al liceo aveva intrapreso l’arte della marionettistica, e poi ancora 14enne fu anche corrispondente esterno di una radio locale. 19enne andò per quattro mesi in Finlandia con uno scambio studentesco e quando tornò in patria ottenne una doppia laurea – “dual degree”, che da noi non esiste come programma formativo – in ingegneria e drammaturgia. Durante gli anni dell’università si legò alla studentessa Lois Hardwick, sua futura prima moglie.

Ma prima di laurearsi si era coinvolto in una compagnia di comici di Toronto, la UC Follies, e finalmente e totalmente preso dal fuoco dell’arte recitativa, decise che non sarebbe mai stato un ingegnere e partì per Londra dove si iscrisse alla London Academy of Music and Dramatic Art (LAMDA) e tornò a casa solo per prendersi i pezzi di carta. A Londra mosse i primi passi sui palcoscenici del West End e poi si avviò verso la Scozia, terra originaria dei suoi avi, dove per un anno e mezzo lavorò al Perth Repertory Theatre. Nei primi anni ’60 ottenne piccoli ruoli nella tivù britannica e finalmente recitò a teatro in una produzione di primo livello, “Antologia di Spoon River” dal poema di Edgar Lee Masters con la regia di Lindsay Anderson che al cinema sarà uno degli esponenti della nuova cinematografia inglese.

In quella produzione dove il non ancora trentenne attore recitava come gli altri più ruoli, fu notato da un suo coetaneo americano che voleva fare il produttore, Paul Maslansky, il quale stava mettendo su il suo primo progetto a bassissimo costo ma non per questo poco ambizioso, uno di quegli horror di serie B tanto in voga: “Il castello dei morti vivi” per il quale stava cercando di convincere la star Christopher Lee a farsi scritturare per pochi spiccioli. Per quanto riguardava Donald gli vennero offerti 40 dollari a settimana per recitare in tre diversi ruoli: la parte principale era un militare napoleonico (era l’epoca di ambientazione del film) ma debitamente truccato sarebbe stato anche un vecchio e una strega! Per dormire si sarebbe dovuto accontentare del divano del regista Warren Kiefer e per mangiare ci si arrangiava tutti insieme, ma ci si arrangiava bene dato che il film si girava a Cinecittà dove Donald Sutherland venne per la prima volta in Italia.

Ci sarebbe tornato protagonista nel 1970 per un film di Paul Mazurski, “Il mondo di Alex” dove era un regista che veniva in Italia a incontrare il suo mito, Federico Fellini che all’epoca si concesse in un cameo; tornò nel 1973 con “A Venezia… un dicembre rosso shocking” coproduzione italo-americana diretta da Nicolas Roeg e poi ancora nel 1976 girò uno di seguito all’altro “Novecento” di Bernardo Bertolucci e “Il Casanova di Federico Fellini”. Sarebbe tornato anziano nel 2003 per girare “Piazza delle Cinque Lune” di Renzo Martinelli e poi di nuovo dieci anni dopo per “La migliore offerta” di Giuseppe Tornatore. Nel 2017 gira il film americano ma di coproduzione italo-francese “Ella & John – The Leisure Seeker” diretto da Paolo Virzì e conclude le sue frequentazioni italiane nel 2019 nella coproduzione italo-inglese “La tela dell’inganno” diretto da Giuseppe Capotondi. Il suo ultimo film è del 2022, la produzione Netflix da un racconto horror di Stephen King, “Mr. Harrigan’s Phone” diretto da John Lee Hancock. La sua ultima volta su un set è nella serie tv western “Lawnmen – La Storia di Bass Reeves” dove interpreta il ruolo secondario di un giudice.

Fra i registi con cui ha lavorato ne ha voluto onorare qualcuno in modo speciale. Usa nel mondo anglosassone dare come primo nome i cognomi, per onorare persone care o inserire il cognome materno come primo nome. Da Warren Kiefer, regista del suo horror di debutto e sul cui divano soggiornò, viene il nome del suo primo figlio maschio: Kiefer, gemello di Rachel, nati dal suo secondo matrimonio con l’attrice e attivista Shirley Douglas.

Shirley Douglas con i suoi gemelli Kiefer e Rachel

Allorquando ebbe altri tre maschi da un terzo matrimonio con l’attrice Francine Racette, li chiamò Roeg dal regista Nicolas Roeg, Rossif dal regista documentarista francese Frédéric Rossif del quale fu amico, mentre il terzo e ultimo figlio lo chiamò banalmente Angus riservandogli il cognome illustre che aveva pensato, troppo riconoscibile come cognome, come secondo nome: Redford per omaggiare Robert Redford che lo aveva diretto nel suo debutto come regista “Gente Comune”, 1980.


Angus Redford con la fidanzata, Roeg, Donald con la sua stella da inserire sulla Walk of Fame, Rachel e Rossif.

Dei cinque figli gli unici a non recitare sono Rachel che è produttrice televisiva, e Roeg che lavora nel settore finanza di un’agenzia di talenti sportivi. Nel ricevere la sua stella, come nella foto in cui posa con quattro dei suoi cinque figli (Kiefer era impegnato a teatro a Broadway) Donald ha dichiarato commosso: “Ho fatto 160 film e li sto vedendo tutti in questa pietra. Una sensazione fantastica: le persone si ergevano come ologrammi nella mia mente. Richard Marquand (“La cruna dell’ago” 1981) si è levato. Federico Fellini si è tolto il suo cappello: Oh cavolo, l’ho amato così tanto. Bob Aldrich (“Quella sporca dozzina” 1967) era seduto lì, Bernardo era lì sulla sua sedia a rotelle. E io ero paralizzato… è stato emozionante.”

Fra gli altri impegni artistici ma anche sociali e politici, va ricordato che Donald Sutherland è stato un attivo antimilitarista che nei primi anni ’70 – l’epoca del Vietnam – ha fondato insieme ad altre celebrità – Jane Fonda, con la quale ebbe un affair, Elliot Gould, Peter Boyle, Mike Nichols, Nina Simone – il “Free Theatre Associates” noto anche come “Free The Army” che organizzava esibizioni per raccogliere fondi e per promuovere la libertà di parola all’interno delle forze armate statunitensi, finanziando e sostenendo giornali e caffetterie indipendenti, sostenendo economicamente la difesa e i diritti legali dei soldati.

Bob Hope

L’associazione è nata direttamente come risposta al Bob Hope Pro-War Tour, col quale l’anziano comico organizzava spettacoli d’intrattenimento per le truppe, che però risultarono agli stessi giovani militari come banali nella migliore delle ipotesi e offensive nella peggiore, con battute reazionarie sessiste e razziste: durante uno spettacolo ha scherzato tristemente dicendo che il bombardamento del Vietnam è stato “il miglior progetto di bonifica delle baraccopoli che ci sia mai stato” insultando sia l’umanità dei vietnamiti che le minoranze americane che ancora vivevano nelle cosiddette baraccopoli.

Per i suoi impegni sinistrorsi degli anni ’70 è stato un sorvegliato speciale della CIA. Ovviamente nel 2003 levò la sua voce anche in opposizione alla guerra in Iraq, e nel 2008 si inventò blogger per “The Huffington Post” in sostegno della campagna elettorale di Barak Obama. Ma è rimasto orgogliosamente canadese decorato con la medaglia dell’Order of Canada (Ordre du Canada). Nel 2010 è stato portatore della bandiera alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi Invernali di Vancouver oltre a dare la sua voce come narratore, ricevendo scroscianti e grati applausi.

Personalmente posso dire che è uno di quegli attori che ha accompagnato e stimolato la mia giovinezza col suo camaleontico talento e rassicurato la mia maturità – con la sua sempre camaleontica bianca età.