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Orizzonti di Gloria, omaggio a Kirk Douglas

1957. Kirk Douglas, morto un paio di giorni fa alla bella età di 103 anni, è già una star di prima grandezza con all’attivo decine di film e tre candidature all’Oscar: riceverà la statuetta solo nel 1996 “alla carriera”. Il regista Stanley Kubrick è invece a inizio carriera, è qui al suo quarto film e già al suo secondo di ambiente militare: aveva debuttato nel 1953 con “Paura e Desiderio” e con “Full Metal Jacket” del 1987 chiuderà il suo trittico sui film di critica al militarismo: ché di questo si tratta e la sua rigida posizione sull’argomento è sempre stata chiara quanto discussa.

La sceneggiatura del film nasce dal romanzo omonimo del canadese Humphrey Cobb che realmente aveva combattuto in Francia durante la Prima Guerra Mondiale, e prende spunto da alcuni discutibili eventi accaduti all’interno dell’esercito francese: un generale, in vista di riconoscimenti politici, non esita a mandare al massacro i suoi soldati per espugnare “il formicaio”, una strategica e inespugnabile postazione tedesca. E poiché un terzo del suo esercito si ribella agli ordini e non esce dalle trincee, visto il sanguinoso fallimento dell’azione, il generale non esita a dare l’ordine di sparare con l’artiglieria pesante sui suoi stessi uomini per stanarli dalle trincee.

Già apprezzato dai critici, Kubrick si impose all’attenzione e in seguito questo film verrà considerato il suo primo capolavoro per l’uso che fa dei piani sequenza: i generali che dialogano nella sala rococò del castello non stanno mai fermi e la camera li segue con movimenti avvolgenti mostrando sullo sfondo la ricchezza dell’ambiente; e poi il piano sequenza dentro la trincea (che certo avrà ispirato Sam Mendes per il suo “1917”) e altre acrobatiche sequenze sul campo di battaglia che nulla hanno da invidiare ai film moderni.

Il film però, pur con tutti i distinguo odierni – spirito antimilitarista, grande regista, grandi interpreti – resta un film legato ai modelli dell’epoca in cui i buoni sono buoni e i cattivi sono cattivi, senza quei mezzi toni e i caratteri sfumati della cinematografia più moderna. Il cattivo generale è interpretato da George Macready con gran classe, mentre il buono di Kirk Douglas, il colonnello che gli si oppone rischiando la carriera, oggi ha meno fascino, data anche la recitazione del divo che non era certo fatta di sfumature, complice anche la sua bella faccia che sembrava intagliata nel legno. Ma Kirk Douglas ha un altro merito: la produzione, la United Artists, spingeva per un lieto fine ma la star si è opposta e il film ha mantenuto il suo finale amaro, come nel romanzo: tre uomini presi a caso vengono fucilati – uno dei quali portato addirittura in barella – come esempio di rigore a tutta la truppa. Poi i soldati si rilassano a uno spettacolo di varietà prima di essere mandati di nuovo al macello.

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In tarda età Kirk Douglas si è dedicato, anche tramite un suo blog personale, alla campagna morale che chiedeva agli Stati Uniti d’America di chiedere perdono agli afroamericani per le deportazioni dall’Africa, per la schiavitù subita e per tutte le altre ingiustizie: battaglia vinta nel 2008. Del 2004 è la sua ultima interpretazione, “Illusion”, un film onirico in cui recita il ruolo di un vecchio regista morente che fa i conti con l’arte e con la vita. Del 2003 è “Vizio di Famiglia” in cui recita col figlio Michael e col di lui figlio Cameron, nei ruoli di nonno figlio e nipote.

Ultime curiosità: nel film compare una sola donna, Susanne Christian (nome d’arte di Christiane Harlan), una giovane tedesca che canta nel varietà, e che sarà la terza e ultima moglie di Stanley Kubrick. Il terzo ruolo del film, Adolphe Menjou, che interpreta un altro generale bon vivant e poco critico con l’antimilitarismo del colonnello di Kirk Douglas, quando vide il film montato andò su tutte le furie, dato il suo conservatorismo. Winston Chirchill invece lodò molto il film e sottolineò, avendo preso parte personalmente a quel conflitto, come le trincee francesi fossero assai verosimili (e molto simili alle trincee del recentissimo “1917”). “Orizzonti di Gloria” è un film bellico anomalo perché si svolge tutto all’interno delle fila francesi e non mostra mai il nemico. Le riprese si svolsero in Baviera perché la Francia era molto irritata dal progetto, tanto che il film vi venne distribuito solo dal 1975. Kirk Douglas volle di nuovo Stanley Kubrick a dirigere “Spartacus” dopo aver licenziato il regista Anthony Mann per incompatibilità; ma anche Kubrick non fu a suo agio perché la star era anche produttore e per lui era sempre più chiaro che non avrebbe più lavorato sotto costrizioni contrattuali: finito il film emigrò nel Regno Unito per ridefinirsi come l’autore cinematografico che ha preso il controllo su tutte le fasi di produzione dei suoi film.

1917, sorprendente macchina ad orologeria

All’inizio non ci si fa caso. Ma dopo il primo raccordo, nel rifugio dove il generale dà l’incarico ai due soldati, comincia la corsa claustrofobica dentro la tortuosa trincea ed è subito chiaro che si tratta di un lunghissimo sofisticatissimo piano sequenza che coinvolge centinaia di uomini fra comparse figuranti e attori, senza contare la troupe tecnica che non si vede ma c’è, lì, dietro e intorno la macchina da presa che non si ferma un attimo: un solo errore di uno fra i tanti e bisogna ricominciare tutto daccapo. Fino al prossimo raccordo che è un’esplosione, e così di seguito tutto il film è costruito cucendo insieme lunghi e difficilissimi piani sequenza fitti di azione: corse, scoppi, sparatorie, dialoghi… Il pericolo poteva essere quello di rallentare l’azione ma, al contrario, la esalta, introiettando lo spettatore in un’unica sequenza, un’azione che si svolge in tempo reale (apparentemente). Solo per questo il film vale il prezzo del biglietto.

Da spettatore mi viene in mente solo un altro film girato in un unico piano sequenza, vero, senza raccordi artificiali, di 96 minuti, del 2002: “Arca Russa” di Aleksandr Sokurov. Un film in qualche modo sperimentale, girato dentro quel Palazzo d’Inverno di San Pietroburgo in cui abitavano gli zar e che oggi è un museo; una lunga sequenza onirica in cui un visitatore, che è la soggettiva dello spettatore, vaga per le sale vedendo i fantasmi del passato: sicuramente affascinante ma anche, a dire il vero, soporifero. Sokurov riuscì a girare l’intera sequenza solo al quarto tentativo, proprio per gli errori che capitavano, e Mendes ha provato le sue sequenze per sei mesi prima di girarle, e il risultato si vede.

Bisogna ricordare che il primo a usare all’interno di un film un “piano sequenza” – fra le altre innovazioni – fu un geniale venticinquenne che nel 1941 scrisse produsse diresse e interpretò il suo primo lungometraggio: lui era Orson Welles e il film “Quarto Potere”, un’opera arrogante e geniale che rifondò il cosiddetto “cinema delle origini” e che merita un approfondimento a parte.

Fatte le dovute ricognizioni sulla tecnica e lo stile, veniamo alla storia, al genere del film, che è un film di guerra, ma di una guerra poco rivisitata nei recenti decenni, la Prima Guerra Mondiale: un cardine nello svolgimento delle battaglie, perché è l’ultima guerra combattuta muovendo le armate in campo secondo il metodo ottocentesco, con le trincee in campo aperto e i corpo a corpo, con i fucili innestati di baionetta, armi e da tiro e insieme armi da taglio. E’ anche l’ultima guerra in cui vengono impiegati i cavalli e all’inizio del film ne vediamo un paio di carcasse. Ma è anche la prima guerra moderna per il gran numero di innovazioni tecnologiche: a cominciare dal filo spinato e per finire coi carri armati, sono stati impiegati per la prima volta la mitragliatrice leggera e il lanciafiamme, le maschere antigas e i primi aerei bombardieri: un nuovo genere di battaglia che ha portato il conflitto nei centri abitati coinvolgendo, per la prima volta massicciamente, i civili, e lasciando sul campo, insieme ai morti, una impressionante quantità di feriti, mutilati e sfregiati: sono di quel primo dopo guerra le fondazioni, nelle nostre città, delle “case del mutilato”, oggi archeologia architettonica, a significare di come la nuova guerra abbia cambiato la civiltà a venire.

Tutti i film di guerra raccontano grandi battaglie o piccoli episodi realmente accaduti. Fra i più recenti ricordiamo il pluripremiato “Dunkirk”, del 2017, anche quello molto interessante per il montaggio ellittico di scene che si svolgono in contemporanea ma da diversi punti di vista; e poi il più lineare “Midway”, dello scorso anno, dove si racconta la riscossa che gli americani si sono presi sull’atollo di Midway dopo l’attacco giapponese subìto a “Pearl Harbor”, altro gran film del 2001. E poi ci sono i film di guerra che raccontano storie private, di persone realmente esistite come anche di personaggi immaginari, letterari, la cui vita viene stravolta dal conflitto. Questo “1917” è un’ambigua sintesi fra i due generi perché, ispirato dai racconti reali del nonno del regista, è una fiction che racconta un evento verosimile in un contesto vero, ed è anche la storia privata di personaggi che vivono e muoiono nella guerra del loro tempo.

I protagonisti sono due ex attori bambini, inglesi come il regista e il resto del cast in una produzione anglo-americana che schiera grandi interpreti in camei di una sola scena. il 28enne George MacKay, che praticamente ha sulle spalle l’intero film, fra i due è quello che ha il curriculum più lungo, e che ha avuto un ruolo da coprotagonista in un altro interessante film bellico, “Defiance – I giorni del coraggio” del 2008. Il 23enne Dean-Charles Chapman, invece, qui è al suo primo ruolo adulto: ha recitato ballato e cantato in teatro in “Billy Elliot the Musical” ed è poi stato un re adolescente della famiglia Baratheon nella saga tv “Il Trono di Spade”; serie da cui proviene anche Richard Madden, lì della famiglia degli Stark, famiglie in sanguinari conflitti, e qui – curiosità per cinefili – fratello maggiore assai somigliante del giovane coprotagonista: fratello da ritrovare alla fine del film un po’ come accade nell’Oscar 1998 “Salvate il soldato Ryan” di Steven Spielberg di cui rimane indimenticabile la sequenza d’apertura con lo sbarco in Normandia.

Gli altri camei nel cast sono di Colin Firth, Benedict Cumberbatch, Mark Strong, Andrew Scott e la francese Claire Duburcq. Di Sam Mendes, il regista co-sceneggiatore, va ricordato che viene dal teatro e ha debuttato in cinema facendo subito centro con “American Beauty”; ha poi fatto a tempo a dirigere, prima di separarsi un paio d’anni dopo, la moglie Kate Winslet in “Revolutionary Road” con Leonardo DiCaprio, rimettendo insieme la mitica coppia cinematografica del “Titanic”. “1917” mi sembra il suo film più personale, oltre a essere quello più rivoluzionario dai tempi del suo debutto cinematografico. Ha già vinto il Golden Globe come miglior film drammatico e miglior regista ma altri premi sono sicuramente in arrivo.