Durante il primo lockdown c’è chi ha messo in pausa la propria vita accettando stoicamente quello che stava accadendo; c’è chi si è lamentato per tutto il tempo e chi ha negato ad oltranza l’evidenza dei fatti; poi c’è stato chi è andato fuori di testa, chi in maniera ironica e spiritosa e chi in modo molto cupo e drammatico; e alla fine, fra tutti, qualcuno è riuscito a vedere in quello stato di innaturale sospensione del tutto un’opportunità per continuare a vivere e fare quello che sapeva fare, creare, per riscrivere quella realtà. Daniele Vicari è un cineasta, e da cineasta e creativo ha continuato a ragionare durante quella prima quarantena, creando un’opportunità da quello che per tutti era un immenso ostacolo.
Dapprima è critico cinematografico, poi realizza i suoi primi cortometraggi finché insieme agli altri registi-sceneggiatori Guido Chiesa, Davide Ferrario, Davide Leotti e Marco Simon Puccioni, realizza il documentario “Partigiani” sulla lotta al nazi-fascismo nel comune di Correggio. Da lì in poi continuerà a realizzare in proprio tutta una serie di altri documentari dedicati al tema del sociale finché debutta nel 2002 come regista del lungometraggio fictional “Velocità massima” per il quale viene premiato come Miglior Regista Esordiente col David di Donatello. Continua a dividersi con successo fra documentari e fiction fra i quali è da ricordare “Diaz – Don’t clean up this blood” sui fatti della violenza della Polizia di Stato sugli inermi manifestanti al termine del G8 di Genova nel 2001.
In apertura dei titoli di testa passano questi cartelli che spiegano l’operazione: “Questo film è stato realizzato durante il lockdown che in Italia si è protratto da marzo a maggio 2020. I membri della troupe hanno lavorato a distanza, senza mai essere sul set, attraverso un metodo di lavoro comune. Gli interpreti hanno fatto le prove, predisposto le scenografie, i costumi, il trucco, l’illuminazione ed effettuato le riprese. Tutte/i abbiamo lavorato per realizzare un sogno che il virus sembrava aver cancellato: pensar e fare cinema nonostante tutto.”
L’autore immagina che un attacco chimico terroristico a Roma costringe tutti a restare chiusi in casa e monta sapientemente annunci radio-televisivi di finzione a spezzoni reali in cui l’allora Presidente del Consiglio Giuseppe Conte raccomandava a tutti di rispettare la quarantena: quella reale da Covid diventa così un espediente narrativo. Nove persone vengono sorprese dal lockdown: chi da solo in casa, chi forzatamente in coppia e trattandosi di quattro coppie c’è necessariamente un terzo incomodo da qualche parte. Fra gli interpreti ci sono perlopiù coppie anche nella vita reale: Francesco Acquaroli e Barbara Esposito che recitano la coppia dei separati in casa messi in ulteriore crisi dalla quarantena; lui esprime il momento recitativamente più intenso di tutto il film, quando vorrebbe dire all’ex moglie convivente forzata che la ama ancora ma è un uomo che non sa usare le parole e interpreta tutta questa sua impotenza, e il dolore, solo con la mimica: da grande attore. Dario Aita ed Elena Gigliotti sono l’altra coppia reale che si mette in discussione artisticamente, interpretando una coppia di attori, già sopra le righe rispetto alla gente comune, che scoppia per divergenze artistiche. i componenti della coppia formata da Vinicio Marchioni e Milena Mancini recitano i ruoli di buoni amici con qualcosa in più, e a farne le spese è il marito fictional di lei interpretato da Giordano De Plano: tutti e tre molto romaneschi. La palermitana Isabella Ragonese e il veronese Matteo Martari sono la coppia artistica che non si è potuta riabbracciare e portano avanti il loro dialogo attraverso le videochiamate. Eccetto il laboratorio del corniciaio-restauratore e l’agriturismo, tutte le location sono le reali abitazioni degli interpreti e davanti a tanta realtà, benché artisticamente organizzata, non c’è scenografia che tenga.
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Milena Mancini, Barbara Esposito, Francesco Acquaroli
Come vedremo dagli spezzoni in coda tutte le riprese sono state fatte con smartphone dagli stessi interpreti, secondo le indicazioni di regia ovviamente, e solo in alcuni casi si notano dei discretissimi movimenti di camera a rilevare che c’era un’altra persona a realizzare il video. Le storie, la narrazione, hanno tutte qualcosa di già visto e sentito ma non dispiace perché è evidente il senso dell’operazione, della sperimentazione: dare un senso a un periodo in cui ogni cosa aveva perso senso, e da questo punto di vista il film è anche commovente per l’adesione totale degli interpreti e di tutto il cast tecnico che non vediamo. Bellissimo il finale in cui il regista ci mostra alcuni scorci della Roma deserta di quei giorni, in cui per strada c’erano solo militari e senzatetto, a dimostrazione del fatto che Daniele Vicari sa guardare con occhio attento la società e la realtà anche quando sta realizzando un film di narrativa, un sogno per professionisti che hanno saputo dare forma a un sogno anche nel momento peggiore della loro, della nostra, vita.
Il film è disponibile su RaiPlay.
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