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Macbeth, e che nebbia sia!

“Il dramma scozzese” lo chiamano gli inglese, perché pare che il solo nominarlo porti male, da quelle parti. Ma loro toccano legno e noi ferro, fanno gli scongiuri per il 13 e noi per il 17 e guai se un gatto bianco attraversa la loro strada. Curiosità scaramantiche a parte, per noi il Macbeth è un gran bel drammone per prova maschia d’attore e di attrice tenebrosa e sulfurea. Giuseppe Verdi ne ha fatto un’opera lirica e ogni tanto prende vita al cinema: dobbiamo dunque ricordare almeno le versioni di Orson Welles di stampo espressionista e quello di Roman Polanski, che a mio avviso è uno dei film meno affascinanti del regista. Vale una nota anche la versione giapponese di Akira Kurosava: “Il Trono di Sangue”.

Diretto dall’australiano pressoché sconosciuto Justin Kurzel qust’ennesimo Macbeth non è dunque un film d’autore, o di regista, ma di attori, dato che schiera le punte di diamante Michael Fassbender, che il trailer dice che è nato per questo ruolo, e sembra vero, dato che Fassbender è fra gli attori della sua generazione quello più virilmente prestante, e dotato di un raro magnetismo cinematografico che pienamente infonde a questo suo Macbeth ricco di tutte le sfaccettature che il personaggio richiede: tutte le sfumature che vanno dalla possanza fisica alla debolezza morale.

Lo affianca Marion Cotillard, la francese premio Oscar per la sua interpretazione di Edith Piaf in “La Vie en Rose” che l’ha lanciata nel firmamento hollywoodiano: che il trailer dice magnetica. Dice, non so se sapendo di mentire. Marion Cotillard è bella, più luminosa che tenebrosa, più rassicurante che magnetica. Per cui risulta debole anche il contratto di sangue fra coniugi dove la sulfurea Lady Macbeth instilla nel vacillante marito il dèmone dell’avidità per il potere.

Come debole è tutto il film: bello da vedere ma già di maniera secondo l’uso modernissimo ma già visto e vecchio dell’effetto “ralenti” durante le battaglie, dell’aspra brughiera scozzese ammorbidita da quintali di nebbia e, last but not least, la recitazione sommessa e sottotono, spesso bisbigliata, che fa tanto moderno il linguaggio poetico e spesso roboante di Shakespeare, col risultato del già visto, già sentito e andante noioso senza brio. Diciamocelo: pulire la recitazione da vecchi stilemi è sempre sano ma il Dramma Scozzese richiede d’imperio pomposità e soluzioni da Grand Guignol.

Ciò non toglie che il film sia molto bello da vedere con inquadrature e paesaggi sempre affascinanti ma sempre cartoline, e costumi e dettagli d’arredo che sono il vero punto di forza di questa produzione, assieme all’interpretazione di Michael Fassbender che rende credibile ogni passaggio della cupa storia. Ma la noia, come la nebbia, pervade ogni cosa.