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FILM EROTICI DI EXPLOITATION E COMMEDIE SEXY – 2

QUI LA PRIMA PARTE
L’ARTICOLO CONTIENE FOTO E ARGOMENTI
CHE POTREBBERO URTARE CERTE SENSIBILITÀ

Dicevamo che il sesso al cinema esiste fin dai primordi ma il vero e proprio exploit commerciale avviene negli anni ’60-’70 riflettendo nei film la liberazione-ribellione che già avveniva nella società: erano anni in cui (semplificando molto) si è ridisegnato il modo di stare insieme in società e il modo di esprimere l’individualità anche attraverso la sessualità. Personalmente in quegli anni ’70 ero un adolescente che se da un lato non si rendeva pienamente conto di quello che gli accadeva intorno nella realtà sociale e politica, nell’intimo era però scosso da tempeste ormonali che non potevano restare indifferenti davanti a locandine cinematografiche che nei titoli avevano ammiccanti poliziotte soldatesse e liceali, infermiere e dottoresse, insegnanti e supplenti, zie nonne e matrigne, oltre a tutto l’ambaradan che si rifaceva anche solo a sfioro alla letteratura licenziosa del Tre-Quattrocento del Boccaccio e dell’Aretino.

Avevo la curiosità ma non avevo l’età, anche se in certi cinema di periferia chiudevano entrambi gli occhi; però ero un adolescente già appassionato di cinema che frequentava diversi cineclub arrivando a vedere anche tre film in un solo pomeriggio, cineclub dove si dava il caso che fra corazzate Potëmkin e retrospettive di Ingmar Bergman capitassero certi film d’autore, come il visionario Alejandro Jodorowsky o il cupo Walerian Borowczyk, che filmavano in forma autorale l’altrimenti vietato erotismo, con il secondo che sfiorava anche la pornografia – ma erano leciti film da cineclub, senza censure di stato, e lì compresi che i film erotici erano sperimentazioni d’autore, che occasionalmente potevano usare la chiave del grottesco o del surreale ma sempre concentrati sull’aspetto drammatico e torbido delle vicende: insomma i film erotici erano sempre serissimi, finivano male e il sesso era spesso mortale.

Sotto l’ampio paracadute del cinema erotico d’autore si affollarono tanti altri cineasti che produssero film erotici più seriosi che seri, più commerciali e autocelebrativi che sperimentali com’è il caso della coppia più teatrale che cinematografica Gabriele Lavia con Monica Guerritore; lei era stata avviata al genere da Salvatore Samperi, autore che aveva debuttato con il ribelle “Grazie zia” che suo malgrado divenne capostipite del cinema erotico nel sottogenere famiglia; la Guerritore ebbe dapprima da Samperi un ruolo secondario in “Peccato veniale” del 1974 per poi essere protagonista dieci anni dopo nel decisamente commerciale “Fotografando Patrizia” cui il marito regista Lavia fece subito seguire i propri “Scandalosa Gilda” e “Sensi”, sensi che poi si acquietarono un po’ per tutti perché il genere aveva ormai fatto il suo tempo e l’erotismo si spostava verso la più scanzonata e anche becera commedia sexy all’italiana. Ovviamente quel cinema erotico più o meno d’autore, benché per certi aspetti dirompente sul piano sociale e politico, era comunque specchio del suo tempo, gli anni Settanta, e la figura femminile nonostante le rivendicazioni femministe rimaneva donna-oggetto: oggetto del desiderio e oggetto-soggetto di quella filmografia.

Fra le attrici star di prima grandezza ci fu Laura Antonelli che lavorò con veri autori del genere come Samperi appunto, e poi Pasquale Festa Campanile, Dino Risi, Giuseppe Patroni Griffi e Luchino Visconti, per poi passare alla commedia sexy. E ci fu Lilli Carati che poi si perse nel porno per pagarsi la dipendenza da droga.

Sylvester Stallone sul set di un soft-porn

Ma anche Paola Senatore, Ilona Staller, Moana Pozzi Karin Schubert cominciarono le loro carriere in quei film erotici prima di passare definitivamente al porno, e a tal proposito va ricordata la produttiva pratica dell’epoca di montare due film differenti con lo stesso girato: l’hard e il soft, ovvero il pornografico vero e proprio con i dettagli anatomici che nulla lasciano all’immaginazione, e l’erotico che accende la fantasia senza mostrare la macelleria, che perdendo le istanze creative era ormai solo soft-porn dove i dettagli scabrosi erano tagliati per montare un film che potesse anche passare, con molta faccia tosta, per erotico d’autore. Entrambe queste produzione nostrane hanno sempre avuto grande seguito nei Paesi dell’America Latina. Mentre negli Stati Uniti una star indiscussa come Sylvester Stallone cominciò la carriera fra le lenzuola di queste doppie produzioni.

Negli anni Ottanta esplose la Serena Grandi veicolata dall’indiscusso maestro dell’erotico Tinto Brass che spogliò anche la non più giovanissima Stefania Sandrelli che con “La chiave” rilanciò la sua carriera prima di finire definitivamente nei ruoli di mamma.

Senza però dimenticare che anche Ornella Muti e Florinda Bolkan ebbero i loro ruoli nel cinema erotico.

E si registrarono i debutti erotici della valletta Sabina Ciuffini in “Oh, mia bella matrigna” e della modella africana Zeudy Araya in “La ragazza dalla pelle di luna” oltre alle performance da Lolita di Romina Power prima di darsi alle canzonette.

Ci furono fra le altre Femi Benussi, Agostina Belli, Nadia Cassini e Gloria Guida che altrettanto passarono dai film erotici drammatici non più d’autore alle commedia sexy.

Le star di sesso maschile furono decisamente Lando Buzzanca e il prematuramente scomparso Alessandro Momo; per il resto gli attori erano di passaggio e intercambiabili, spesso stranieri, altrettanto spesso bellocci senza passato né futuro, qualche volta interpreti di rango che venivano dal palcoscenico.

Fra gli autori non va dimenticato Pier Paolo Pasolini che dedicò l’ultima parte della sua produzione cinematografica all’erotismo d’autore cominciando proprio con quel “Decameron” che diede la stura a tutte le altre produzioni più o meno boccaccesche. Altrettanto va ricordato Bernardo Bertolucci che al genere specifico si dedicò con “Ultimo tango a Parigi” “The Dreamers”.

Gianfranco D’Angelo fra le ballerine del televisivo “Drive In” andato in onda su Italia 1 dal 1983 al 1988.

Sul finire degli anni ’70 si affievolì la moda del film erotico, d’autore o meno, e nelle sale cinematografiche arrivò la commedia sexy all’italiana che era nata già dalla fine degli anni ’60 e anch’essa destinata all’asfissia più o meno a metà degli anni ’80. Oltre al riciclo di interpreti del più necroforo cinema erotico ci fu spazio per volti e culi nuovi, stavolta tutto all’insegna della spensieratezza e della comicità, dalla più sottile a quella più grossolana: spensieratezza e grossolanità che furono anche la cifra politica del nuovo che avanzava nella figura di Silvio Berlusconi i cui varietà delle sue televisioni erano intercambiabili con le atmosfere e i cast delle commedie sexy. E trattandosi di comico stavolta i divi furono maschi, quelli che venivano dall’avanspettacolo e dal teatro e dal cabaret, oltre a quelli che pur non avendo nessuna specifica preparazione attoriale recitavano solo con la loro naturale maschera: Alvaro Vitali e Bombolo.

Lando Buzzanca e Aldo Maccione primeggiarono anche per la prestanza fisica, non perfetta ma accettabile perché il principale oggetto da esporre era la donna; e fra gli attori di rango Renzo Montagnani accettò qualsiasi ruolo per poter pagare le cure mediche al figlio gravemente infermo. Un vero e proprio divo del genere fu il cantante Johnny Dorelli che tenne banco per un ventennio e sposò la più giovane collega Gloria Guida che dopo il matrimonio abbandonò lentamente il cinema per darsi alla famiglia, seguita anche da lui che essendo di 18 anni più anziano aveva fatto il suo tempo come attore a tempo pieno da commedia sexy.

Dalla vecchia guardia si riciclarono Carlo Giuffrè e il caratterista di lusso Mario Carotenuto mentre fecero fortuna Gianfranco D’Angelo, Pippo Franco, Lino Banfi e Enzo Cannavale.

Mentre fra gli attori che furono punte di diamante della più castigata commedia all’italiana che occasionalmente si affacciarono nella commedia sexy vanno elencati: Enrico Montesano, Renato Pozzetto, Massimo Boldi, Diego Abatantuono e Teo Teocoli.

Accanto a cotanti comici fra le attrici solo poche mantennero lo status di protagoniste assolute: le riciclate dall’erotico Laura Antonelli, Zeudi Araya, Agostina Belli e Gloria Guida che però se la dovettero vedere con la tedesca già con carriera internazionale Barbara Bouchet; e poi c’è il caso a parte di Carmen Villani che nata cantante è diventata attrice di commedie scollacciate sotto la direzione del marito Mauro Ivaldi che a lei e al genere sexy dedicò la sua intera cinematografia prima della sua prematura scomparsa a 42 anni.

Fra le tette e i culi più esposti nella commedia sexy vanno ricordate: Orchidea De Santis, Lory Del Santo, Silvia Dionisio, Rosa Fumetto, Eva Grimaldi, Daniela Poggi, Pamela Prati, Anna Maria Rizzoli, Carmen Russo, Jenny Tamburi e Marilù Tolo.

Mentre fra le straniere che si accasarono nel sexy italiano ci furono le giovani Ewa Aulin, Annie Belle, Sylvia Kristel e Laura Gemser che se la dovettero vedere con le più mature e agguerrite Maria Baxa, Senta Berger, Sylva Koscina, Dagmar Lassander, Marisa Mell e molte altre.

Ci furono anche delle star internazionali che vennero a esibirsi nella commedia sexy all’italiana: Ursula Andress che restò in Italia, Carroll Baker e Joan Collins.

La commedia all’italiana aveva generato i suoi diversi sottogeneri fra i quali quello che definirei lo storico addomesticato, ovvero film di ambientazione storica con molte libertà narrative che veicolavano la creativa di autori che avevano molto da dire; fra questi film si annoverano: “L’armata Brancaleone” del 1966 di Mario Monicelli, il “Satyricon” del 1969 di Federico Fellini e il “Decameron” del 1971 di Pier Paolo Pasolini. E furono film, ognuno sperimentale e inventivo a suo modo, il cui successo generò scopiazzature e parodie che vanno a comporre il sottogenere decamerotico o boccaccesco della commedia sexy. Ma c’è da dire che lo sfruttamento commerciale del fenomeno coincise all’epoca con le rivoluzioni in atto sul piano sociale, culturale e politico: con quei film avvenne una riappropriazione popolare di quei testi del Trecento e Quattrocento italiano che il retaggio scolastico borghese aveva fin lì tenuto sugli scaffali in alto perché ritenuti troppo licenziosi e dunque temuti come eversivi dai poteri alti, Stato e Chiesa; testi che veicolando un messaggio di libertà sessuale furono gettonatissimi in quegli anni di contestazione: nuovi vangeli senza chiesa e senza stato. Dell’immediato 1972 sono i primi sensazionali film di sottogenere: “Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda” di Mariano Laurenti “Quando le donne si chiamavano madonne” di Aldo Grimaldi e a cascata venne tutto il resto. Gli altri sottogeneri furono le poliziotte, le caserme, le dottoresse e le infermiere, la scuola, la famiglia e tutta la serie di Pierino con Alvaro Vitali che insieme ai matti e ai carabinieri affollano il filone dei film barzelletta. Senza dimenticare che molti di questi film sexy erano a episodi, più o meno scollacciati e più o meno d’autore.

La produzione dei film erotici d’autore pur rallentando è sempre viva in sottotraccia in tutta la cinematografia internazionale, di cui l’ultima sperimentazione è quella del danese Lars Von Trier che essendo recidivo aveva già mostrato il sesso senza censure in “Idioti” del 1998, in “Antichrist” del 2009 e nel soporifero dittico “Nimphomaniac” del 2013, che quell’anno in fatto di scandalo e creatività d’autore restò indietro a “La vita di Adèle” del franco-tunisino Abdellatif Kechiche che con le sue scene di sesso lesbico si aggiudicò ben tre Palma d’Oro al Festival di Cannes: all’autore e alle due protagoniste Adèle Exarchopoulos Léa Seydoux; e vale la pena commentare che benché acclamato da tutta la stampa con l’eccezione del conservatore Le Figaro, è stata criticata la scena di sesso eterosessuale perché si intravede l’erezione di Jérémie Laheurte, paventando addirittura la pornografia: perché permane l’ipocrita voyeurismo dei maschi etero che ben sopportano la visione di due donne che fanno sesso ma che si scandalizzano se davanti agli occhi gli balena un cazzo ancorché per un secondo. Anche il francese Patrice Chéreau con “Intimacy” ha filmato il suo sesso esplicito d’autore nel 2001 vincendo l’Orso d’Oro al Festival di Berlino, e pure l’inglese Michael Winterbottom con “9 songs” nel 2009 ha fatto il suo film erotico senza censure.

Restando sull’argomento cazzi al vento ci sono poi film che pur non inserendosi nel filone erotico improvvisamente sbandierano erezioni d’autore, anzi d’attore, guadagnandosi la collocazione d’ufficio nel genere erotico: Vincent Gallo nel suo “The Brown Bunny” del 2003 si fa fare un estemporaneo pompino da Chloë SevignyElio Germano esibisce la sua serissima erezione nel serissimo “Nessuna qualità agli eroi” del 2007 di Paolo Franchi; mentre nella già anche troppo scanzonata commedia “Libera uscita” del 2011 di Peter Farrelly al protagonista Owen Wilson viene sventolata in faccia l’erezione nera di un figurante.

Il nudo femminile è rassicurante, direi quasi ecumenico, perché se l’attrice è su di giri lo sa solo lei ma per gli attori è un altro discorso: l’erezione al cinema la concepiamo solo nei porno e veder sbandierata l’intimità erotica di attori famosi o meno è il superamento di uno steccato che molti sperimentatori auspicano: far cadere la separazione fra il genere porno e il mainstream che a volte, come dimostrano certi anatemi e certe polemiche, è più ipocrisia che reale difesa del senso del pudore collettivo: siamo adulti e sappiamo distinguere fra pornografia ed erotico d’autore. Così se ogni tanto capita di vedere improvvise erezioni a sorpresa, come uno di quei pupazzi a molla, Jack in the Box, che può divertire o fare paura, be’ non è niente di che: è solo pura evasione. O pura eversione.

Questo articolo è stato pubblicato in xxx film di exploitation e commedie sexy 2 e taggato come abdellatif kechicheadele exarchopoulosagostina bellialdo grimaldialdo maccionealejandro jodorowskyalessandro momoalvaro vitalianna maria rizzoliannie bellearetinobarbara bouchetbernardo bertolucciboccaccescoboccacciobombolocarlo giuffrécarmen russocarmen villanicarroll bakercazzichloe sevignycineclubcinemacinema eroticocinema erotico d’autorecommedia sexy all’italianacommedie sexyculidagmar lassanderdaniela poggidecameroticodiego abatantuonodino risielio germanoenrico montesanoenzo cannavaleerotismoerotismo d’autoreeva grimaldiewa aulinexploitationfederico fellinifemi benussifestival di berlinofestival di cannesFILM A EPISODIfilm barzellettafilm eroticiflorinda bolkangabriele laviagianfranco d’angelogiuseppe patroni griffigloria guidagrottescohardilona stalleringmar bergmanjack in the boxjenny tamburijeremie lahuertejoan collinskarin schubertlando buzzancalars von trierLaura antonellilaura gemserle figarolea seydouxlilli caratilino banfilory del santoluchino viscontimainstreammaria baxamariano laurentimarilù tolomario carotenutomario monicellimarisa mellmassimo boldimauro ivaldimichael winterbottommoana pozzimonica guerritorenadia cassiniorchidea de santisornella mutiorso d’oroowen wilsonpalma d’oropamela pratipaola senatorepaolo franchipasquale festa campanilepatrice chereaupeter farrellypier paolo pasolinipierinopippo francopornografiarenato pozzettorenzo montagnaniromina powerrosa fumettosabina ciuffinisenta bergerserena grandisessosilvia dionisiosilvio berlusconisoftsoft-pornstefania sandrellisurrealesylva koscinasylvia kristelteo teocolitinto brassursula andressvincent gallovoyeurismowalerian borowczykxxx il Modifica

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CHE POTREBBERO URTARE CERTE SENSIBILITÀ

Dicevamo che il sesso al cinema esiste fin dai primordi ma il vero e proprio exploit commerciale avviene negli anni ’60-’70 riflettendo nei film la liberazione-ribellione che già avveniva nella società: erano anni in cui (semplificando molto) si è ridisegnato il modo di stare insieme in società e il modo di esprimere l’individualità anche attraverso la sessualità. Personalmente in quegli anni ’70 ero un adolescente che se da un lato non si rendeva pienamente conto di quello che gli accadeva intorno nella realtà sociale e politica, nell’intimo era però scosso da tempeste ormonali che non potevano restare indifferenti davanti a locandine cinematografiche che nei titoli avevano ammiccanti poliziotte soldatesse e liceali, infermiere e dottoresse, insegnanti e supplenti, zie nonne e matrigne, oltre a tutto l’ambaradan che si rifaceva anche solo a sfioro alla letteratura licenziosa del Tre-Quattrocento del Boccaccio e dell’Aretino.

Avevo la curiosità ma non avevo l’età, anche se in certi cinema di periferia chiudevano entrambi gli occhi; però ero un adolescente già appassionato di cinema che frequentava diversi cineclub arrivando a vedere anche tre film in un solo pomeriggio, cineclub dove si dava il caso che fra corazzate Potëmkin e retrospettive di Ingmar Bergman capitassero certi film d’autore, come il visionario Alejandro Jodorowsky o il cupo Walerian Borowczyk, che filmavano in forma autorale l’altrimenti vietato erotismo, con il secondo che sfiorava anche la pornografia – ma erano leciti film da cineclub, senza censure di stato, e lì compresi che i film erotici erano sperimentazioni d’autore, che occasionalmente potevano usare la chiave del grottesco o del surreale ma sempre concentrati sull’aspetto drammatico e torbido delle vicende: insomma i film erotici erano sempre serissimi, finivano male e il sesso era spesso mortale.

Sotto l’ampio paracadute del cinema erotico d’autore si affollarono tanti altri cineasti che produssero film erotici più seriosi che seri, più commerciali e autocelebrativi che sperimentali com’è il caso della coppia più teatrale che cinematografica Gabriele Lavia con Monica Guerritore; lei era stata avviata al genere da Salvatore Samperi, autore che aveva debuttato con il ribelle “Grazie zia” che suo malgrado divenne capostipite del cinema erotico nel sottogenere famiglia; la Guerritore ebbe dapprima da Samperi un ruolo secondario in “Peccato veniale” del 1974 per poi essere protagonista dieci anni dopo nel decisamente commerciale “Fotografando Patrizia” cui il marito regista Lavia fece subito seguire i propri “Scandalosa Gilda” e “Sensi”, sensi che poi si acquietarono un po’ per tutti perché il genere aveva ormai fatto il suo tempo e l’erotismo si spostava verso la più scanzonata e anche becera commedia sexy all’italiana. Ovviamente quel cinema erotico più o meno d’autore, benché per certi aspetti dirompente sul piano sociale e politico, era comunque specchio del suo tempo, gli anni Settanta, e la figura femminile nonostante le rivendicazioni femministe rimaneva donna-oggetto: oggetto del desiderio e oggetto-soggetto di quella filmografia.

Fra le attrici star di prima grandezza ci fu Laura Antonelli che lavorò con veri autori del genere come Samperi appunto, e poi Pasquale Festa Campanile, Dino Risi, Giuseppe Patroni Griffi e Luchino Visconti, per poi passare alla commedia sexy. E ci fu Lilli Carati che poi si perse nel porno per pagarsi la dipendenza da droga.

Sylvester Stallone sul set di un soft-porn

Ma anche Paola Senatore, Ilona Staller, Moana Pozzi e Karin Schubert cominciarono le loro carriere in quei film erotici prima di passare definitivamente al porno, e a tal proposito va ricordata la produttiva pratica dell’epoca di montare due film differenti con lo stesso girato: l’hard e il soft, ovvero il pornografico vero e proprio con i dettagli anatomici che nulla lasciano all’immaginazione, e l’erotico che accende la fantasia senza mostrare la macelleria, che perdendo le istanze creative era ormai solo soft-porn dove i dettagli scabrosi erano tagliati per montare un film che potesse anche passare, con molta faccia tosta, per erotico d’autore. Entrambe queste produzione nostrane hanno sempre avuto grande seguito nei Paesi dell’America Latina. Mentre negli Stati Uniti una star indiscussa come Sylvester Stallone cominciò la carriera fra le lenzuola di queste doppie produzioni.

Negli anni Ottanta esplose la Serena Grandi veicolata dall’indiscusso maestro dell’erotico Tinto Brass che spogliò anche la non più giovanissima Stefania Sandrelli che con “La chiave” rilanciò la sua carriera prima di finire definitivamente nei ruoli di mamma.

Senza però dimenticare che anche Ornella Muti e Florinda Bolkan ebbero i loro ruoli nel cinema erotico.

E si registrarono i debutti erotici della valletta Sabina Ciuffini in “Oh, mia bella matrigna” e della modella africana Zeudy Araya in “La ragazza dalla pelle di luna” oltre alle performance da Lolita di Romina Power prima di darsi alle canzonette.

Ci furono fra le altre Femi Benussi, Agostina Belli, Nadia Cassini e Gloria Guida che altrettanto passarono dai film erotici drammatici non più d’autore alle commedia sexy.

Le star di sesso maschile furono decisamente Lando Buzzanca e il prematuramente scomparso Alessandro Momo; per il resto gli attori erano di passaggio e intercambiabili, spesso stranieri, altrettanto spesso bellocci senza passato né futuro, qualche volta interpreti di rango che venivano dal palcoscenico.

Fra gli autori non va dimenticato Pier Paolo Pasolini che dedicò l’ultima parte della sua produzione cinematografica all’erotismo d’autore cominciando proprio con quel “Decameron” che diede la stura a tutte le altre produzioni più o meno boccaccesche. Altrettanto va ricordato Bernardo Bertolucci che al genere specifico si dedicò con “Ultimo tango a Parigi” e “The Dreamers”.

Gianfranco D’Angelo fra le ballerine del televisivo “Drive In” andato in onda su Italia 1 dal 1983 al 1988.

Sul finire degli anni ’70 si affievolì la moda del film erotico, d’autore o meno, e nelle sale cinematografiche arrivò la commedia sexy all’italiana che era nata già dalla fine degli anni ’60 e anch’essa destinata all’asfissia più o meno a metà degli anni ’80. Oltre al riciclo di interpreti del più necroforo cinema erotico ci fu spazio per volti e culi nuovi, stavolta tutto all’insegna della spensieratezza e della comicità, dalla più sottile a quella più grossolana: spensieratezza e grossolanità che furono anche la cifra politica del nuovo che avanzava nella figura di Silvio Berlusconi i cui varietà delle sue televisioni erano intercambiabili con le atmosfere e i cast delle commedie sexy. E trattandosi di comico stavolta i divi furono maschi, quelli che venivano dall’avanspettacolo e dal teatro e dal cabaret, oltre a quelli che pur non avendo nessuna specifica preparazione attoriale recitavano solo con la loro naturale maschera: Alvaro Vitali e Bombolo.

Lando Buzzanca e Aldo Maccione primeggiarono anche per la prestanza fisica, non perfetta ma accettabile perché il principale oggetto da esporre era la donna; e fra gli attori di rango Renzo Montagnani accettò qualsiasi ruolo per poter pagare le cure mediche al figlio gravemente infermo. Un vero e proprio divo del genere fu il cantante Johnny Dorelli che tenne banco per un ventennio e sposò la più giovane Gloria Guida che dopo il matrimonio abbandonò lentamente il cinema, seguita da lui che essendo di 18 anni più anziano aveva anche fatto il suo tempo come attore brillante e disimpegnato.

Dalla vecchia guardia si riciclarono Carlo Giuffrè e il caratterista di lusso Mario Carotenuto mentre fecero fortuna Gianfranco D’Angelo, Pippo Franco, Lino Banfi e Enzo Cannavale.

Mentre fra gli attori che furono punte di diamante della più castigata commedia all’italiana che occasionalmente si affacciarono nella commedia sexy vanno elencati: Enrico Montesano, Renato Pozzetto, Massimo Boldi, Diego Abatantuono e Teo Teocoli.

Accanto a cotanti comici fra le attrici solo poche mantennero lo status di protagoniste assolute: le riciclate dall’erotico Laura Antonelli, Zeudi Araya, Agostina Belli e Gloria Guida che però se la dovettero vedere con la tedesca già con carriera internazionale Barbara Bouchet; e poi c’è il caso a parte di Carmen Villani che nata cantante è diventata attrice di commedie scollacciate sotto la direzione del marito Mauro Ivaldi che a lei e al genere sexy dedicò la sua intera cinematografia prima della sua prematura scomparsa a 42 anni.

Fra le tette e i culi più esposti nella commedia sexy vanno ricordate: Orchidea De Santis, Lory Del Santo, Silvia Dionisio, Rosa Fumetto, Eva Grimaldi, Daniela Poggi, Pamela Prati, Anna Maria Rizzoli, Carmen Russo, Jenny Tamburi e Marilù Tolo.

Mentre fra le straniere che si accasarono nel sexy italiano ci furono le giovani Ewa Aulin, Annie Belle, Sylvia Kristel e Laura Gemser che se la dovettero vedere con le più mature e agguerrite Maria Baxa, Senta Berger, Sylva Koscina, Dagmar Lassander, Marisa Mell e molte altre.

Ci furono anche delle star internazionali che vennero a esibirsi nella commedia sexy all’italiana: Ursula Andress che restò in Italia, Carroll Baker e Joan Collins.

La commedia all’italiana aveva generato i suoi diversi sottogeneri fra i quali quello che definirei lo storico addomesticato, ovvero film di ambientazione storica con molte libertà narrative che veicolavano la creativa di autori che avevano molto da dire; fra questi film si annoverano: “L’armata Brancaleone” del 1966 di Mario Monicelli, il “Satyricon” del 1969 di Federico Fellini e il “Decameron” del 1971 di Pier Paolo Pasolini. E furono film, ognuno sperimentale e inventivo a suo modo, il cui successo generò scopiazzature e parodie che vanno a comporre il sottogenere decamerotico o boccaccesco della commedia sexy. Ma c’è da dire che lo sfruttamento commerciale del fenomeno coincise all’epoca con le rivoluzioni in atto sul piano sociale, culturale e politico: con quei film avvenne una riappropriazione popolare di quei testi del Trecento e Quattrocento italiano che il retaggio scolastico borghese aveva fin lì tenuto sugli scaffali in alto perché ritenuti troppo licenziosi e dunque temuti come eversivi dai poteri alti, Stato e Chiesa; testi che veicolando un messaggio di libertà sessuale furono gettonatissimi in quegli anni di contestazione: nuovi vangeli senza chiesa e senza stato. Dell’immediato 1972 sono i primi sensazionali film di sottogenere: “Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda” di Mariano Laurenti “Quando le donne si chiamavano madonne” di Aldo Grimaldi e a cascata venne tutto il resto. Gli altri sottogeneri furono le poliziotte, le caserme, le dottoresse e le infermiere, la scuola, la famiglia e tutta la serie di Pierino con Alvaro Vitali che insieme ai matti e ai carabinieri affollano il filone dei film barzelletta. Senza dimenticare che molti di questi film sexy erano a episodi, più o meno scollacciati e più o meno d’autore.

La produzione dei film erotici d’autore pur rallentando è sempre viva in sottotraccia in tutta la cinematografia internazionale, di cui l’ultima sperimentazione è quella del danese Lars Von Trier che essendo recidivo aveva già mostrato il sesso senza censure in “Idioti” del 1998, in “Antichrist” del 2009 e nel soporifero dittico “Nimphomaniac” del 2013, che quell’anno in fatto di scandalo e creatività d’autore restò indietro a “La vita di Adèle” del franco-tunisino Abdellatif Kechiche che con le sue scene di sesso lesbico si aggiudicò ben tre Palma d’Oro al Festival di Cannes: all’autore e alle due protagoniste Adèle Exarchopoulos e Léa Seydoux; e vale la pena commentare che benché acclamato da tutta la stampa con l’eccezione del conservatore Le Figaro, è stata criticata la scena di sesso eterosessuale perché si intravede l’erezione di Jérémie Laheurte, paventando addirittura la pornografia: perché permane l’ipocrita voyeurismo dei maschi etero che ben sopportano la visione di due donne che fanno sesso ma che si scandalizzano se davanti agli occhi gli balena un cazzo ancorché per un secondo. Anche il francese Patrice Chéreau con “Intimacy” ha filmato il suo sesso esplicito d’autore nel 2001 vincendo l’Orso d’Oro al Festival di Berlino, e pure l’inglese Michael Winterbottom con “9 songs” nel 2009 ha fatto il suo film erotico senza censure.

Restando sull’argomento cazzi al vento ci sono poi film che pur non inserendosi nel filone erotico improvvisamente sbandierano erezioni d’autore, anzi d’attore, guadagnandosi la collocazione d’ufficio nel genere erotico: Vincent Gallo nel suo “The Brown Bunny” del 2003 si fa fare un estemporaneo pompino da Chloë Sevigny; Elio Germano esibisce la sua serissima erezione nel serissimo “Nessuna qualità agli eroi” del 2007 di Paolo Franchi; mentre nella già anche troppo scanzonata commedia “Libera uscita” del 2011 di Peter Farrelly al protagonista Owen Wilson viene sventolata in faccia l’erezione nera di un figurante.

Il nudo femminile è rassicurante, direi quasi ecumenico, perché se l’attrice è su di giri lo sa solo lei ma per gli attori è un altro discorso: l’erezione al cinema la concepiamo solo nei porno e veder sbandierata l’intimità erotica di attori famosi o meno è il superamento di uno steccato che molti sperimentatori auspicano: far cadere la separazione fra il genere porno e il mainstream. Del resto una semplice erezione, non in attività diciamo così, perché dovrebbe essere considerata esclusivamente pornografica? Così se ogni tanto capita di vedere improvvise erezioni a sorpresa, come uno di quei pupazzi a molla, Jack in the Box, che può divertire o fare paura, be’ non è niente di che: è solo pura evasione. O pura eversione.

Il mantenuto – opera prima di Ugo Tognazzi

Il film completo

In questo 2022 cade anche il centenario della nascita di Ugo Tognazzi, di cui avevo precedentemente parlato nel beffardo “Vogliamo i colonnelli” bucando la notizia dell’anniversario, ma eccomi a rimediare con la sua prima regia che, detto con l’ammirazione di sempre, non è un capolavoro. Di passaggio va detto che Tognazzi, Ottavio all’anagrafe, nacque il 23 marzo del 1922 a Cremona dove da adulto lavorerà come ragioniere presso il salumificio Negroni, recitando nella filodrammatica del dopolavoro aziendale. Durante la Seconda Guerra Mondiale, chiamato alle armi, organizza spettacoli di varietà per i commilitoni, e concluso il conflitto si trasferisce a Milano con l’intento di avviarsi definitivamente nella carriera artistica e lì, partecipando a una serata per dilettanti, viene notato e scritturato per la compagnia della divina Wanda Osiris, e solo nel 1950, già 27enne e con una solida carriera teatrale alle spalle, debutta al cinema facendo coppia con Walter Chiari nel filmetto “I cadetti di Guascogna” diretto da Mario Mattoli; e una decina di anni e molti film dopo, nessuno dei quali ancora da antologia, Tognazzi si fa regista di se stesso con questo film di segno amorfo, non più neorealismo e non del tutto commedia all’italiana benché come tale sia stato scritto. In questo classico ritratto dell’italiano medio, nello specifico un ragioniere come lui stesso era stato, è molto a suo agio, e anche come regista ha buone intuizioni: eccellente ritmo nell’inizio del film che inquadra dalle ginocchia in giù le gambe di una donna, che sul treno prima rifiuta con fastidio l’approccio di un uomo dalle mani lunghe e poi, avendo cambiato scompartimento ed essendosi andata a sedere di fronte a un prete, lo fa scappare non appena lei accavalla le gambe: un ritrattino accattivante ma fine a se stesso perché, pure introducendo la protagonista femminile, nulla ha a che vedere con la storia del film, scritto da Luciano Salce con Castellano e Pipolo insieme alla meno nota coppia Giulio Scarnicci ed Enzo Tarabusi che avevano scritto per Tognazzi quando aveva fatto coppia in tv con l’amico Raimondo Vianello; Vianello che nel film, non accreditato nei titoli, gli regala un divertito cameo dove interpreta un altro italiano medio che in auto va alla ricerca serale di prostitute.

E l’intera sceneggiatura prosegue così, fra momenti che vogliono essere surreali, come quando il ragioniere litiga con la calcolatrice impazzita, ma che non vengono spinti all’estremo in una regia che mantiene l’intera struttura entro i limiti, qui angusti, della sobrietà: una tendenza al naturalismo che nuoce a una commedia che è stata concepita come commedia degli inganni, dove un banale ragioniere (il Fantozzi creato da Paolo Villaggio riuscirà a spingere al limite massimo il grottesco insito nel personaggio) vive solo come un cane e con un cane, nel seminterrato di un palazzo elegante, ed è innamorato della bella segretaria del capo; in solitudine la sera porta a spasso il cane e lì, una prostituta che esercita il mestiere senza la protezione di un pappone, lo indica come tale per togliersi dai guai; da qui tutta una serie di qui pro quo in uno sciorinarsi di scene che si dilatano e accavallano senza riuscire ad amalgamarsi in una storia pienamente godibile, né particolarmente divertente e neanche umanamente coinvolgente, in una chiave secondo la quale Ugo Tognazzi avrebbe forse voluto accreditarsi come interprete maturo.

Coprotagonista nel ruolo della prostituta che lo coinvolge anche sentimentalmente è Ilaria Occhini, attrice che darà il meglio di sé a teatro e in televisione; mentre la bionda segretaria è la bionda modella norvegese Margarete Robsahm, che poi non ha fatto molto altro, e c’è da segnalare che in tempi recenti, nel 2008, la signora ha attirato l’attenzione dei media norvegesi per aver ricevuto dal governo, in sedici anni, ben 2,3 milioni di corone per finanziamenti artistici, soldi coi quali lei non ha prodotto neanche un film: i norvegesi, gente composta, non hanno mosso a lei personalmente nessuna critica ma è sorto un dibattito pubblico sul sistema dei finanziamenti governativi, roba che da noi avrebbe fatto volare stracci e fango a destra e a sinistra; la modella restò in Italia a fare altri tre film non indispensabili dando a Tognazzi un secondo figlio (il primo era stato Ricky avuto con la ballerina britannica Pat O’Hara) che ha preso il cognome della madre e che a tre anni, quando la relazione fra i genitori finì, la madre portò con sé per crescerlo in Norvegia: oggi Thomas Robsahm è un regista e produttore cinematografico anch’egli figura non indispensabile nella cinematografia internazionale.

Margarete e Ugo, l’inarrivabile segretaria e il banale ragioniere
La segretaria col capo, ovviamente anch’egli innamorato

Come capo aziendale ritroviamo il sempre in linea e autorevole Mario Carotenuto mentre nel ruolo della ricca vedova vogliosa c’è una coinvolgente Marisa Merlini che finirà con l’accalappiare quest’uomo medio senza reale fascino, e che renderà quel mantenuto che è nel titolo. Nel resto del cast il ragioniere Armando Bandini col personaggio scritto per lui e col suo nome, che già abbiamo trovato sempre come ragioniere in “Il mattatore”; Gianni Musy come pappone in concorrenza, Franco Giacobini come commissario di polizia, Pinuccia Nava e Olimpia Cavalli come coppia di prostitute finte sboccate; Franco Ressel, Franco Ciuchini, Aldo Berti e il pittore attore Renato Mambor, nei ruoli di malviventi.

Nel 1990 Ugo Tognazzi morirà nel sonno a 68 anni per emorragia cerebrale, dopo aver sofferto negli ultimi anni di depressione; ultimi anni nei quali era tornato al teatro con spettacoli e ruoli impegnativi: “Sei personaggi in cerca d’autore” di Luigi Pirandello, “L’avaro” di Molière e il contemporaneo “M. Butterfly” di David Henry Hwang che pochi anni dopo diverrà il film omonimo diretto da David Cronenberg con Jeremy Irons. Dopo questa sua prima regia dirigerà altri quattro film, nessuno dei quali memorabili, e la miniserie tv dove è anche protagonista “FBI – Francesco Bertolazzi Investigatore” del 1970 – non riuscendo ad accreditarsi nell’immaginario collettivo cinematografico anche come autore, non scrivendo lui i suoi film, a differenza dei colleghi Nino Manfredi che da autore ha debuttato con il notevole “Per grazia ricevuta” e Alberto Sordi che rimane il più prolifico come regista fra i cinque grandi divi del cinema italiano della seconda metà del Novecento. Potremmo dire che Ugo se n’è andato troppo presto ma voglio ricordare il consolante adagio secondo il quale un artista muore quando ha già dato tutto di sé.

Il mattatore – nel centenario della nascita di Vittorio Gassman

Il film completo

Il primo settembre di cento anni fa nasceva Vittorio Gassman, e qui che parlo di cinema il modo migliore per ricordarlo è questo “Il mattatore”, definizione che gli rimase addosso e che egli sapientemente coltivò. Titolo che era nato dal programma televisivo omonimo in dieci puntate, disponibili su RaiPlay, diretto da Daniele D’Anza con musiche di Fiorenzo Carpi, che allora andò in onda sull’unico canale Rai che era chiamato programma nazionale; produzione di arte varia con sketch che andavano dal teatro al varietà passando per le imitazioni e le parodie e le improvvisazioni, con incursioni nella politica sapientemente filtrate dalla censura governativa; scenette in cui il mattatore era sempre al centro della scena accompagnandosi a colleghi come lui di formazione teatrale, quali i coniugi Paolo Ferrari e Marina Bonfigli e i caratteristi Carlo Romano ed Enrico Viarisio; una sorta di contenitore che era stato ideato dal drammaturgo e sceneggiatore Federico Zardi che ne firmava le puntate assieme allo stesso Gassman, e solo in un paio di occasioni collaborarono il giornalista Indro Montanelli e un altro drammaturgo e sceneggiatore di successo, Guido Rocca, attento osservatore dei costumi la cui prematura morte, a 33 anni, interruppe la sua proficua produzione. L’Enciclopedia della Televisione così definisce il prodotto: “L’impossibilità di incasellare il programma in un genere preciso ha spinto la RAI a definire questa sua pregevole produzione come ‘spettacolo misto’, fluida convivenza di una pluralità di generi e di registri”.

Vittorio Gassman e Dino Risi

Dal programma Rai nacque immediatamente l’idea del film, anche perché all’epoca la televisione era un elettrodomestico di lusso che pochi si potevano permettere, proprio come ci ricorda un veloce dialogo all’inizio del film in cui un vicino di casa invita il mattatore, che nel film si chiama Gerardo Latini, ad andare da lui, con la sua signora, a vedere la televisione: questo anche a informare lo spettatore dell’epoca che il protagonista non si può permettere il lussuoso apparecchio. Dunque, chi non aveva potuto vedere il Mattatore in tivù ora lo poteva vedere al cinematografo, che dato il rapporto costo-beneficio era assai più popolare di quanto lo sia oggi.

Il mattatore che rifà Hitler

Va da sé che il film, pur mantenendo lo spunto degli sketch, si articola con una diversa narrativa: il contenitore è lo stesso protagonista che fuori campo racconta di sé e ci introduce ai vari momenti delle sue avventure, tutte truffaldine, legate al mondo dei simpatici truffatori di quell’Italia che dal dopoguerra si stava preparando al boom economico degli anni ’60. Come recitano i titoli di testa il film nasce “da un racconto di Age & Scarpelli su spunto di Sergio Pugliese, un modo macchinoso per mettere in evidenza i nomi dei tre sceneggiatori sugli altri che contribuirono alla scrittura, ovvero Sandro Continenza, Ettore Scola e Ruggero Maccari, altre firme di lusso. Dirige Dino Risi, quarantenne già di successo che un paio d’anni dopo dirigerà ancora Gassman nell’exploit “Il sorpasso”. Peppino De Filippo fa da spalla di lusso al mattatore e coprotagonista femminile è la bruna Anna Maria Ferrero nel ruolo della moglie, che però sia nei titoli che nel cartellone viene messa dopo la bionda Dorian Gray che ha un ruolo di secondo piano ma evidentemente aderenze di primo piano con la produzione di Mario Cecchi Gori. Altri interpreti di notevole apporto artistico sono Mario Carotenuto, Alberto Bonucci, Fosco Giachetti, Linda Sini, Aldo Bufi Landi, Armando Bandini, Luigi Pavese, Mario Scaccia, Fanfulla, in un piccolo ruolo Enzo Cerusico e come chitarrista del night Fred Bongusto.

Con Peppino De Filippo nella scena in galera

Essendo il protagonista un truffatore il film è una sequela di truffe tanto ben congegnate quanto paradossali e – oggi che siamo abituati a ben altre truffe che ci entrano in casa via telefono e computer – anche datate e ingenue, benché in linea con lo spirito dell’italiano medio la cui predisposizione creativa alla truffa, o per lo meno al raggiro e nel meno peggio dei casi alla fanfaronata, sembra essere inscritta nel DNA, e non a caso il mattatore televisivo è stato trasformato in un truffatore per essere raccontato alle grandi platee cinematografiche. Detto questo la trama è ben congegnata e gli stessi truffatori vengono truffati in una realtà ellittica che sembra non avere alternative: la specchiata onestà non è qualità italiana. Appartengono al gusto dell’epoca anche le figure femminili: la moglie è un’ex soubrette di varietà che, contrariamente alla diffusa narrativa, è una ragazza di integerrimi principi che canta alle rumorose platee maschili che lei è in cerca di un uomo da sposare per mettere su famiglia: il massimo delle aspirazioni femminili allora consentite alle femmine oneste. L’altra donna è al contrario una malvivente e fa la truffatrice di professione lasciando intendere che sia anche di larghe vedute su altre possibilità di guadagno. Nel complesso è sempre un piacere rivedere un Vittorio Gassman che è al meglio delle sue prestazioni ancorché in un prodotto di genere dove non sono concesse sfumature interpretative e tuttavia riesce sempre credibile e fluido anche nelle interpretazioni più bizzarre e grottesche: lo vediamo imitare il divo Amedeo Nazzari col celebre “chi non beve con me peste lo colga” da “La cena delle beffe” (1942, regia di Alessandro Blasetti) che evidentemente il pubblico ancora ricorda a quasi vent’anni di distanza, e parodiare en travesti Greta Garbo, alludendo neanche troppo velatamente al suo aspetto mascolino e al presunto lesbismo: basta questo per andare a (ri)vedere il film.

Con Anna Maria Ferrero

Satyricon – ma non è Fellini

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Era il 1969. Si sparge la voce che Federico Fellini, già pluricandidato all’Oscar come sceneggiatore e regista, e ne riceverà uno onorario nel 1993, sta preparando il suo prossimo film dal Satyricon attribuito a Petronio Arbitro, e si scatenano gli appetiti. Dell’opera, che immaginiamo assai ampia poiché sono giunti fino a noi pochi frammenti relativi ai Libri XIV e XVI, si sa che è sporcacciona e soprattutto mette in cattivissima luce la bella società della Roma Imperiale, due ragioni per le quali probabilmente gli scritti sono stati distrutti già all’epoca, ma oggi ce n’è abbastanza per ricostruire il contesto e, soprattutto, far correre l’immaginazione.

Satiro - Nonciclopedia

Per Satyricon si intende una raccolta di racconti satireschi, ovvero dei satiri, deità minori che si accompagnano a Dioniso, quindi amanti del vino e delle orge, protettori della fertilità maschile e dediti alla lascivia, spesso raffigurati con una vistosa erezione. Come tale il Satyricon racconta le disavventure del giovane Encolpio che si accompagna al suo amato efebo Gitone e all’amico-nemico Ascilto, e insieme ne fanno, come si dice oggi, di ogni, passando dai riti priapei ai bordelli e alle orge, perdendosi e ritrovandosi in una fantasmagorica girandola di disavventure sempre licenziose e satiriche – facendo attenzione a non assimilare al termine satiro la satira, la cui etimologia viene dal latino satura lanx, ovvero il vassoio colmo di primizie da offrire agli dei; la satira era, e ancora dovrebbe essere, un genere di narrazione, e in generale di comunicazione, che si caratterizza per l’attenzione critica verso la società e i suoi protagonisti, mettendone a nudo le contraddizioni le debolezze e i vizi con l’intento di promuovere un cambiamento sociale attraverso una forma di denuncia che passa dal paradosso e dal grottesco mettendo in ridicolo persone e situazioni. Per queste sue caratteristiche eversive la satira non è mai stata amata dai tiranni ed è sempre indigesta a qualsiasi regime. Il Satyricon è satirico a cominciare dalla forma narrativa che imita e volgarizza l’Odissea, trasformando il viaggio esperienziale e iniziatico di Ulisse in un viavai grottesco e licenzioso di Encolpio fra riti iniziatici priapei, prostitute, matrone lascive, cene luculliane e disinvolti amori omosessuali. Figura centrale è l’arricchito liberto Trimalcione che ostentando con eccentricità la sua ricchezza, ma anche la sua ignoranza, è una dichiarata critica a certe personalità pubbliche dell’epoca.

Laceno d'Oro 2015, Alfredo Bini "ospite inatteso" - Avellino Zon
Alfredo Bini

Nessuno immagina cosa ne farà Fellini, anche se a guardare la sua immaginifica cinematografia è chiaro che straborderà in ricercate fantasie. Alfredo Bini, produttore stimato colto e coraggioso, spesso anche in controcorrente (e per le cronache rosa marito felice dell’attrice Rosanna Schiaffino) avvia questo suo progetto sul Satyricon dopo aver prodotto solo film colti e d’autore: ha debuttato producendo “Il bell’Antonio” da Brancati diretto da Mauro Bolognini e poi produce tutti i film di Pier Paolo Pasolini che vanno da “Accattone” a “Edipo Re”; non c’è quindi da stupirsi che l’opera di Petronio rientri nei suoi progetti. Affida la sceneggiatura a un maestro della commedia all’italiana, Rodolfo Sonego di cui basta ricordare un titolo fra tanti: “La ragazza con la pistola” regia di Mario Monicelli con Monica Vitti; e lo sceneggiatore cerca di restare il più fedele possibile ai frammenti disponibili, dando un senso logico alla vicenda e immaginando un contesto plausibile, con qualche caduta di stile qua e là dato il non facile spinoso argomento, congiunto alla necessità di confezionare un film che possa attirare il pubblico. Alla regia viene chiamato Gian Luigi Polidoro, curriculum da bravo documentarista – nel 1959 era stato candidato all’Oscar con un cortometraggio documentario – e che si era più recentemente messo in luce dirigendo Alberto Sordi in “Il diavolo”, scarso successo di pubblico ma vincitore dell’Orso d’Oro al Festival di Berlino del 1963.

Don Backy come appare nel film, fra Ninetto Davoli e il modello caravaggesco

Il cast è in linea con questa scelta che oggi definiremmo populista: protagonista è il cantante Don Backy (all’anagrafe Aldo Caponi) già molto attivo come attore anche compositore delle musiche dei film, una faccia giusta a metà strada fra Ninetto Davoli e il modello di Caravaggio. L’infido Ascilto è Franco Fabrizi, un protagonista-antagonista del cinema dell’epoca che incarna il tipo del rubacuori di provincia, dell’amico inaffidabile ma seduttivo, sempre cinico e sempre fascinoso; e se Don Backy coi suoi trent’anni ben portati è bene in parte, Fabrizi coi suoi altrettanto ben portati 53 anni risulta meno credibile. Credibilissimo, quanto discutibile e discusso, il 14enne Francesco Pau nel ruolo della schiavetta da talamo Gitone che presto si rivela un maschietto che non disdegna le attenzioni delle matrone viziose.

La presenza nel cast del 14enne attirò gli strali della censura già allertata dal plot narrativo: il film fu sequestrato e seguirono varie controversie perché in effetti il ragazzo era stato coinvolto in scene sessualmente esplicite, esplicite nell’argomento non nell’azione, beninteso, ché i film mainstream con scene di sesso esplicito sono ancora lontane nel futuro. C’è da dire che il ragazzo debuttante è davvero bravo e mostra una consapevolezza seduttiva assai precoce e, guardata da questo punto di vista, anche abbastanza disturbante: attraversa le scene di seduzione, omo ed eterosessuali, con una naturalezza che può venire solo dall’incoscienza o da una precoce e innaturale maturità sessuale. Sta di fatto che il film fece parlare per il sequestro e le censure e le polemiche mettendo in ombra gli aspetti positivi che non mancano, ancorché in un film imperfetto: sceneggiatura frettolosa, recitazione approssimativa, regia che indulge troppo in una visionarietà di maniera sfornando una carrellata di tipi tutti con troppi ombretti e rossetti anche fra il volgo dei figuranti che affollano le scene. Di Francesco Pau si sa che fece altri tre film fino all’età adulta e poi sparì dal mondo cinematografico.

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Franco Fabrizi, Don Backy, Francesco Pau e Mario Carotenuto nei triclini della cena di Trimalcione
Satyricon | Filmscoop
Ugo Tognazzi – Trimalcione

Notevole l’ambientazione fra borghi, incastellamenti e passaggi perigliosi, molto tipici e pittoreschi, che viene voglia di sapere dove si trovano. Molto divertente la megera interpretata da un uomo brutto doppiato con voce chioccia femminile. Positiva la presa diretta per la franco-americana Tina Aumont, qui nel ruolo di Circe, che ebbe una proficua carriera nel cinema italiano fino a tutti gli anni ’70. Recita con la sua voce anche Graziella Granata nel ruolo della viziosa matrona Antonia, attrice bella e brava che ebbe una carriera circoscritta nel tempo fra gli anni 1959-1972. Nel ruolo di cerimoniere di Trimalcione, scheggia impazzita o checca impazzita che dir si voglia (non è una nota omofoba ma solo divertita) recita col suo accento spagnolo il mimo danzatore Tito Le Duc che ritroveremo in “Bordella” di Pupi Avati e soprattutto come componente del trio televisivo Le Sorelle Bandiera. Il film fa un decisivo salto di qualità quando entra in azione l’anziano caratterista Mario Carotenuto, volto noto della Rai e spalla di lusso in un centinaio di film, qui nel ruolo di Eumolpo, sedicente poeta più a suo agio come ruffiano e parassita, che a metà film conduce il terzetto alla Cena, maiuscola, dell’arricchito ex schiavo Trimalcione, interpretato con gusto dal sornione Ugo Tognazzi, unico nome di spicco nel cast: una presenza centrale di mezzora in un film di due ore che, insieme a Carotenuto, danno sostanza a questo film condannato all’oblio dalle vicende giudiziarie e, soprattutto, dall’arrivo nelle sale quattro mesi dopo dell’altro Satyricon, quello di Fellini, che sarà tutta un’altra storia e tutto un altro Satyricon.

Tornando al produttore Alfredo Bini va detto che con questo suo Satyricon chiude la sua gloriosa casa di produzione Arco Film fondata nel 1960 e dopo una ventina di film, certamente per il dissesto finanziario che il film gli ha procurato. Credeva molto in questo suo progetto, che idealmente si inseriva nel filone dei suoi film controcorrente, dall’impotenza virile narrata nel “Bell’Antonio” al debutto cinematografico dello scomodo Pier Paolo Pasolini, i cui film a tema religioso, “La ricotta” e “Il Vangelo secondo Matteo” gli costano guai giudiziari perché ritenuti blasfemi. Quando il suo Satyricon viene accusato di oscenità Bini risponde con il pamphlet “Appunti per chi ha il dovere civile, professionale e politico di difendere il cinema italiano” e, come produttore cinematografico, fonda altre case di produzione con le quali avvia, tranne pochi casi, la realizzazione di film di serie B, anche di genere erotico tipo “Il Decamerone nero”: quando l’arte non paga. Anche il suo matrimonio con Rosanna Schiaffino naufraga nel 1980 e nel 1983 chiude la sua carriera di produttore con uno scatto di orgoglio coproducendo il kolossal italiano “I paladini: storia d’armi e d’amore” ispirato a “Orlando innamorato” del Boiardo e “Orlando furioso” dell’Ariosto con regia di Giacomo Battiato. Ma la sua parabola umana è sempre più in discesa e a 82 anni è in miseria assoluta e riceve il vitalizio previsto dalla Legge Bacchelli, 400 euro al mese; scrivendo la sua biografia morirà due anni dopo. Per chi volesse approfondire è possibile leggere on line o scaricare il suo pamphlet in questo link:
https://ui.codk.site/download.php?file=appunti+per+chi+ha+il+dovere+civile%2C+professionale+e+politico+di+difendere+il+cinema+italiano+-+alfredo+bini