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Oh, mia bella Matrigna – Sabina Ciuffini protagonista

Correva l’anno 1976 e nel cinema italiano era in gran voga la commedia sexy inopinatamente inaugurata nel ’68 dal debuttante Salvatore Samperi col suo “Grazie zia” che era partito come film politico e rivoluzionario, seguito ideale di un altro debutto eccellente, il Marco Bellocchio di “I pugni in tasca”, ma che si è sedimentato nelle fantasie del pubblico e nella nostra storia del cinema come precursore di quel genere pruriginoso nel prolifico sottogenere della commedia sexy inter familiare che, tranne poche eccezioni di qualità fra le quali annotare i successivi impegni di Samperi, resta un genere assolutamente di serie B di cui questa bella matrigna è un esempio lampante.

Ne è protagonista indiscussa a cominciare dal manifesto e dai titoli quella Sabina Ciuffini che tutti gli italiani già conoscevano come garbata e spiritosa valletta di Mike Bongiorno a “Rischiatutto”: una valletta di nuovo genere, parlante e non più solo decorativa, una scelta produttiva che in pratica mandò in soffitta la figura della valletta e inaugurò quella della co-conduttrice, però sempre da affiancare alle più autorevoli (!) figure maschili, fino ai giorni nostri in cui a condurre un programma, ancorché sportivo, che siano o uomini o donne o di genere non più binario poco importa, vivaddio. Ma c’è di più sul piano sociale ed estetico: con Sabina Ciuffini, la Rai sdoganò nelle case degli italiani la scandalosa minigonna che però era già una realtà nelle strade e nella vita reale; mentre lei, la valletta parlante, come ragazza votata allo spettacolo, devota alle ciglia finte, era in assoluta controtendenza rispetto alle sue coetanee dell’epoca che litigavano in famiglia, anche per la minigonna, e facevano la rivoluzione: il divorzio era cosa recente, legalizzato nel 1970, e per l’aborto bisognava aspettare ancora un paio d’anni fino al 1978, anche anno funesto del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro e delle lotte armate di destra e sinistra, con le camionette dell’esercito schierate nelle strade di tutte le città a presidiare i luoghi del potere. Sul caso Moro sollecito l’attenzione al film di Marco Bellocchio “Esterno notte”, cinque ore divise in due film per le sale e in sei puntate per la Rai ancora disponibili su RaiPlay.

Ma in tivù, fra un carosello e l’altro, la vita è tutta un sogno; la Rai manda in onda l’esotico “Sandokan” e lo sceneggiato “I tre moschettieri” nell’ironica versione di Paolo Poli con sua sorella Lucia Poli, Marco Messeri e Milena Vukotic; per l’intrattenimento musicale il giovane cantautore Renato Zero si racconta in un documentario, e non fa scandalo perché la sua alterità è raccontata come espressione artistica; ma c’è anche Oriana Fallaci nel programma di approfondimento “Un fatto, come e perché” che interviene nel dibattito sull’aborto.

Tornando a Sabina Ciuffini, le cronache mondane raccontano che la graziosa figliola, che all’epoca della prima delle cinque edizioni di “Rischiatutto” aveva vent’anni, fosse stata notata da Mike Bongiorno in persona all’uscita del liceo Giulio Cesare di Roma, e verrebbe da chiedersi: ma davvero cotanto presentatore se ne stava fuori dai licei a spiare le ragazzine? In realtà già da una decina d’anni la ragazza frequentava i teatri di posa girando pubblicità per “Carosello” e certo s’era fatta strada e scavata la sua propria trincea fra gli studi e gli uffici della tentacolare tentatrice Rai, dove le belle ragazze così come i bei ragazzi sono sempre apprezzati e tenuti da conto. E bisogna anche mettere in conto che Sabina era figlia dell’attrice di una sola stagione Yvonne Giannini che annovera nel suo carnet tre soli film girati nel 1943, dei quattro diretti dal di lei padre il poliedrico Guglielmo Giannini, più giornalista e politico conservatore che cineasta; mentre il padre di Sabina, Augusto Ciuffini, era il pubblicitario che l’aveva introdotta nei caroselli: insomma, la fanciulla non era una debuttante assoluta, anche se per avere il ruolo dovette sottoporsi a un provino nel quale pare surclassò l’altra concorrente di rango Claudia Rivelli, sorella della più famosa Ornella Muti, che poi diverrà star dei fotoromanzi Lancio.

Per non farsi mancare niente, e dato che all’epoca pagavano un fottio di soldi mentre oggi tutte e tutti si spogliano gratis, Sabina nel 1974 si spogliò parzialmente per “Playboy”, dando sfogo alle segrete fantasie dei padri di famiglia e dei loro brufolosi figli maschi (le lesbiche non esistevano…) e dando vita a uno scandalo ad arte secondo il quale, disperata per quelle foto inopportune, querelò la rivista; ma fu solo un’ulteriore mossa pubblicitaria, della serie prima pecco e poi mi pento, dato che una querela non poteva stare in piedi essendoci un regolare contratto. E proprio perché voleva continuare a pentirsi di aver peccato, due anni dopo è protagonista di questo film dove da contratto mostra più che sulla rivista benché mai mostrando il pube, quello no. Rimarrà il suo unico ruolo da protagonista e in pratica anche il suo debutto cinematografico se non contiamo la partecipazione con piccolissimi ruoli non accreditati ad altri due precedenti film: il pruriginoso “I giovani tigri” ultimo film di Antonio Leonviola, e l’ecumenico “Tralci di una terra forte” di Giuseppe Rolando, sulla vita della suora Maria Domenica Mazzarello proclamata santa nel 1951. Dopo quest’esperienza, che curiosamente si dimenticherà di citare quando in tempi recenti le si è chiesto di ricordare la sua carriera, e anzi dichiarando di non aver mai fatto cinema per quello strano fenomeno psicologico della memoria selettiva. Da allora ha continuato a fare televisione diradando negli anni la sua presenza; oggi, bella signora 72enne scrive e, finalmente abbandonata la minigonna di lustrini, dà voce alle cause delle donne, meglio tardi che mai, sul suo blog qui sulla piattaforma WordPress unaqualunque.it che è scivolato sul generalista.

Il film, se visto senza considerare il contesto dell’epoca e i riferimenti ad altre realtà, è solo una cosetta senza senso da vedere mentre si stira o si pulisce la verdura, in cui saltano all’occhio, oltre ai corpi svelati di Sabina Ciuffini e di Gloria Piedimonte che ci regala anche il pube nel ruolo di un’amica che il figliastro usa per ingelosire la matrigna, salta all’occhio dicevo il modo in cui viene raccontato in quell’immaginario cinematografico patriarcale il ruolo della moglie giovane e bella: sfacciato motivo di vanto per l’attempato piacione, da non lasciare mai in casa da sola, non sia mai che senza uomo a prendersi cura di lei, la disgraziata non sappia neanche respirare. Nell’insieme questi filmetti o filmacci di serie B si pongono in controtendenza a tutto ciò che tenta di esprimere la società reale. E da contratto ogni tot di minuti c’è una scena di nudo o di seduzione e vediamo la povera Sabina in uno di questi siparietti indossare leziosamente della preziosa biancheria intima, che uno pensa che ci sarà una scena di sesso, e invece si veste solo per andare a lavorare, e con la faccia di quella che pensa “cosa mi tocca fare per la pagnotta”: zero erotismo. Per il resto fa quello che può: non sappiamo se recita perché, nonostante sia abituata a parlare in pubblico, è doppiata da Vittoria Febbi, ma le sue espressioni sono a tratti più che convincenti, segno che la ragazza si è impegnata, anche se questo non significa nulla: esprimere col volto e poi con la parola sono due cose completamente diverse anche se complementari, e ancora oggi abbiamo nella generalista televisione italiana ormai a più reti, ma sempre attenta ai giovani talenti, vari esempi di interpreti piacenti che appena aprono bocca dio li perdoni.

Gianfranco De Angelis con Paola Pitti in un fotoromanzo Lancio

Il personaggio del figliastro comincia con degli spunti assai interessanti: soffre di un forte dilaniante complesso edipico ai limiti della psicopatia, ma poi nella sceneggiatura che il regista Guido Leoni ha scritto con suo fratello non c’è altro: manca il talento per fare di uno spunto una vera storia e sviluppano una pizza mal lievitata dove il tema portante è il pruriginoso che non prude affatto. Presta il volto a questo figlio-figliastro il belloccio Gianfranco De Angelis di due anni più giovane della Ciuffini, anche se nel film non vengono dichiarate le età dei personaggi; e specifico, presta il volto, perché anche lui è doppiato, dall’omonomo Manlio De Angelis con nessuna parentela, e presta il suo volto, simpatico e accattivante quanto basta, in una girandola di espressioni che nel gergo artistico si dice attori che fanno le facce, facce che il giovanotto ha imparato sui set dei fotoromanzi Lancio, attività che rimane quella più di successo in una carriera decisamente inconcludente: aveva cominciato con piccoli ruoli nel cinema e nella televisione, poi passando per i fotoromanzi si inventa anche cantante fino a incidere un brano che sarà una sigla di Radio Monte Carlo e partecipando nel 1980 anche al Festival di Sanremo dove fu subito eliminato, e per la cronaca vinse Totò Cutugno. Questo film rimane per l’interprete, interprete ma non attore, il suo gradino più alto perché, spiace dirlo, oltre alla faccia non c’è niente: il fisico che mostra è da mingherlino che non fa sognare le donne né può essere un modello per gli uomini; non ha la follia interpretativa di Lou Castel, non è neanche un ragazzino imberbe e malizioso come era di moda nei filmetti sexy familiari dell’epoca, tipo Giusva Fioravanti o Alessandro Momo, e per finire non sprizza testosterone da maschio alfa come il suo collega dei fotoromanzi Franco Gasparri che ebbe altre fortune al cinema col trittico di “Mark il poliziotto” ma anche altre sfortune con un grave incidente che gli troncò la carriera. De Angelis nei decenni si è arrabattato recitando anche a teatro e lavorando dietro le quinte nelle produzioni cinematografiche, dove è tornato sullo schermo nel già lontano 1994 con un ruolo secondario in un film secondario.

Nel terzetto del cast principale il francese Maurice Ronet (doppiato da Giuseppe Rinaldi) all’epoca glorioso attore ed ex giovane intellettuale tormentato nella cinematografia in patria, che qui cede il passo e indossa il parrucchino nel ruolo dell’improvvido marito-padre che lascia la mogliettina alle cure del simpaticamente perverso figliolo. Concludono l’esiguo cast: la già nominata Gloria Piedimonte, cantante showgirl e attrice di fotoromanzi, che deve la sua fama anche a Gianni Boncompagni che la mise nella sigla di Discoring, 1978; e nel ruolo della servetta giovane e piacente che però non sviluppa altri intrecci erotici, ed è un peccato perché nell’inconcludenza del film è un’occasione mancata, c’è la meteora Crippy Jocard, improbabile nome d’arte di Cristina Amodei, modella e attrice di una sola stagione. Una sola stagione anche per questo genere di film di sesso in famiglia, benché numerosi quanto ripetitivi.