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Mad Max oltre la sfera del tuono

Terzo e ultimo capitolo (relativamente ai successivi trent’anni) della saga fantasy futuristica e distopica di Mad Max con la quale George Miller ha inventato una cultura cinematografica che ha ispirato molti altri autori anche di fumetti e videogiochi. E molto è cambiato dalla prima avventura avventurosamente a basso costo: il secondo capitolo ha definito l’immaginario dell’autore che grazie a un più sostanzioso budget ha potuto giocare tutte le sue carte, che sono la visionarietà di un futuro apocalittico nel quale ha anche potuto schierare un ben più nutrito numero di automobiline modificate da distruggere, e soprattutto i costumi punk di Norma Moriceau che hanno davvero dato la visione di quel mondo, e che qui viene quindi riconfermata.

Norma Moriceau sul set con Mel Gibson

Anche le automobiline con cui giocare diventano ancora più fantasiose ma il plot narrativo è sempre quello: l’eroe solitario, qui non più in cerca di vendetta ma solo della sua propria egoistica sopravvivenza. Con una debolezza di scrittura che nei primi due capitoli era però punto di forza: scarsità dei dialoghi in una storia che racconta solo azione. Perché diciamola tutta: a George Miller interessa solo giocare con le macchinine e la sua capacità narrativa si ferma lì perché non è capace di scrivere dialoghi né tantomeno sviluppare storie più complesse.

Byron Kennedy

Ma in questo terzo capitolo molto cambia a partire dalla produzione: l’amico e sodale di Miller, Byron Kennedy è morto in un incidente col suo elicottero durante la preproduzione del film, e questa tragedia prostra seriamente l’autore tanto che a caldo aveva deciso di abbandonare il progetto. Ma poi, si sa, show must go on, la macchina produttiva era già in corso e molte maestranze erano già al lavoro, senza dire dei fan che attendevano ansiosi l’ulteriore sviluppo: “Ero riluttante ad andare avanti, ma poi c’è stata una sorta di necessità di fare qualcosa, anche solo per superare tutto il trauma e il dolore.” Ma non aveva la testa per concentrarsi sul lavoro e finì col chiedere all’amico attore-regista George Ogilvie col quale aveva lavorato nella miniserie tv “The Dismissal” del 1983, di co-dirigere il film: “Purtroppo non mi ricordo particolarmente quell’esperienza, perché lo facevo principalmente per portare a termine il progetto nonostante il lutto.”

Un altro importante cambiamento è stato quello di dare spazio all’immaginario hollywoodiano, così lontano dai silenzi e dagli spazi estremi dell’outback australiano, inzeppando questo suo terzo film di chiacchiere e di personaggi logorroici insieme a una vena di palese ironia che prima era solo accennata: il risultato è un film in cui si parla troppo, e anche a sproposito considerando che i dialoghi non sono mai stati il forte di Miller, che torna a scrivere col Terry Hayes del secondo capitolo. C’è anche la clamorosa novità di una coprotagonista americana, la cantante Tina Turner che a parte un paio di cameo in due film musicali, aveva interpretato un vero personaggio solo nell’altro musicale “Tommy” di Ken Russell; qui è al suo primo (di due) ruolo interamente recitato, però la cantante piazza due suoi brani nella colonna sonora del film che fu composta da Maurice Jarre, già Oscar per “Lawrence d’Arabia”, “Il Dottor Zivago” e in quel 1985 per “Passaggio in India”. Alla grande, quindi.

Tina Turner, alle sue spalle il Thunderdrome

Ma la narrazione del film è discontinua e sembra di assistere a due film diversi. Nella prima parte ritroviamo Max, cui nel frattempo è cresciuta una parrucca di lunga capelli, che inseguendo il malfattore che gli ruba le sue poche cose va a finire in una città violenta nel bel mezzo del deserto dove dovrà battersi nella bellissima invenzione, questa sì, del Thunderdrome, la sfera del tuono, all’interno della quale dovrà sconfiggere e uccidere, sollecitato dal pubblico che intona “due combattono, uno vive”, il gigante mascherato cattivo che porta sulle spalle un nano che è la sua mente pensante.

Qui la visionarietà di Miller è al suo punto più alto con un’invenzione e una lotta che ancora una volta ispireranno molta cinematografia. Nella seconda parte il film diventa un film per ragazzi: Max va a finire in una comunità di ragazzini in cui tanti hanno voluto riconoscere i ragazzi perduti di Peter Pan, ma forse l’ispirazione primaria è il bambino del precedente capitolo, il Feral Kid assai espressivo e accattivante che però non diceva una parola, e Miller col suo coautore moltiplicano all’infinito quel ragazzino inventando un nuovo mondo di ragazzini selvaggi anch’essi assai ciarlieri, fino allo sfinimento oserei dire; segue una movimentatissima, anch’essa magistralmente costruita, corsa in treno con duelli fra cattivi e meno cattivi in cui ritroviamo tutti i personaggi coinvolti a conclusione della narrazione che rimane disarticolata e confusa. Da allora in poi i fan stanno ancora discutendo su quale sia il miglior film dei tre e la maggior parte, cui io mi iscrivo, indica questo terzo come il meno riuscito: il primo era innovativo benché povero di mezzi, il secondo ha espresso al meglio tutta la potenzialità delle invenzioni della ditta Miller-Kennedy, questo terzo perde originalità e grinta nel suo voler piacere troppo ai bambinoni americani.

Del cast va ricordato che Mel Gibson, che nel frattempo era diventato una star, in quegli anni aveva preso parte ad alcuni bei film: “Gli anni spezzati – Gallipoli” (1981) e “Un anno vissuto pericolosamente” (1982) di Peter Weir; “Il Bounty” (1984) di Roger Donaldson, “Il fiume dell’ira” (1984) di Mark Rydell. Di Tina Turner ho già detto, aggiungendo che il suo prossimo e ultimo ruolo recitato sarà quello della sindaca di Los Angeles in “Last Action Hero” (1993) di John McTiernan con Arnold Schwarzenegger; pochi film a ribadire il fatto che la sua è stata una carriera principalmente musicale. Con “We don’t need another hero” nel film, è stata candidata ai Golden Globe.

Angelo Rossitto

Bruce Spence, che nel secondo capitolo interpretava il “brillante” Capitan Gyro che tenta di raggirare Max che invece lo sottomette, qui interpreta un altro ruolo “brillante” di supporto, il pilota d’aereo Jedediah che lo deruba. Il nano che dirige il corpo gigantesco è Angelo Rossitto, americano nato da immigrati siciliani da Carlentini, Siracusa, attivo al cinema sin dai tempi del muto grazie a John Barrymore che lo volle accanto a sé in “The Beloved Rogue”, 1927 e fu poi anche nel controverso “Freaks” di Tod Browning, e con l’avvento del sonoro Rossitto divenne anche doppiatore; qui, 77enne, è in uno dei suoi ruoli più importanti nonché suo terzultimo film. Altri interpreti nel parterre dei cattivi sono: Frank Thring, George Spartels, Robert Grubb e il rocker Angry Anderson. Fra i ragazzi perduti spiccano gli adolescenti Tom Jennings, Justine Clarke, Rod Zuanic.

Dopo questo terzo e al momento conclusivo film su Mad Max, George Miller andrà a dirigere finalmente a Hollywood la commedia fantasy “Le streghe di Eastwick” (1987) con un cast all star ma che esagerò nel cercare gli effetti in stile cartone animato. Passeranno esattamente trent’anni (e non per sua volontà) prima che torni sul suo Mad Max che rivivrà in “Mad Max: Fury Road” scrivendo un altro importante capitolo della sua saga.

Mad Max: Interceptor – opera prima di George Miller

Questo film del 1979 è l’inizio di una trilogia che appassionerà il mondo intero, cui si aggiungerà un tardivo quarto capitolo “Mad Max: Fury Road” nel 2015 e un quinto è in uscita nell’estate 2024 col titolo “Furiosa: A Mad Max Saga”. È l’opera prima di George Miller, regista che in seguito pur mantenendosi fedele a stile e tematiche non mancherà di misurarsi anche con altri generi. È anche erroneamente indicato come il debutto di Mel Gibson che però era avvenuto un paio d’anni prima con “Summer City – Un’estate di fuoco” dopo tanti piccoli ruoli nella tv australiana, poiché protagonisti e film vengono tutti da lì: periferia estrema delle produzioni cinematografiche che nei decenni successivi ha dato molte star al cinema internazionale: in fondo all’articolo la lista dei nomi.

Ma come cinematografia specifica quella australiana faticherà sempre a decollare nonostante le molte eccellenti produzioni che verranno. È nel 1978 che si registrò l’anno di svolta per un’industria cinematografica ancora inesistente con ben 13 film piazzati al Festival di Cannes (rimando all’ultimo paragrafo chi volesse approfondire i titoli e i nomi di Cannes ’78) e possiamo affermare che la cinematografia australiana arriva per la prima volta al mondo intero grazie a questo film del 1979, il primo di una saga che viene definita post-apocalittica fantascientifica e distopica ma che effettivamente in questo debutto a bassissimo costo c’è ancora ben poco di quello che verrà. Ma andiamo con ordine partendo dall’autore debuttante.

Byron Kennedy e George Miller al missaggio del sonoro del film

George Miller si è appassionato al cinema mentre ancora studiava medicina e risalgono a quel periodo i suoi primi esperimenti: durante il suo ultimo anno all’Università del Nuovo Galles del Sud realizza insieme a uno dei suoi fratelli un cortometraggio di un minuto che vince il primo premo di un concorso studentesco, e il premio era un corso di cinema all’Università di Melbourne dove conosce Byron Kennedy, insieme al quale gira il corto “Violence in cinema: part 1” molto splatter e molto satirico sulla violenza nei film che ottenne consensi anche fuori dall’Australia e questo spinse i due a creare una propria casa di produzioni, la “Kennedy Miller” con la quale si avvieranno verso questo progetto: insieme scrivono la sceneggiatura ispirati dal film australiano “Stone” di Sandy Harbutt del 1974 che raccontava le gang di motociclisti che terrorizzavano gli isolati abitanti dell’outback e che aveva nel cast molti di quegli stessi criminali.

All’inizio del film una scritta ci avverte: “Few years from now…” a pochi anni da adesso, un futuro assai prossimo e senza effetti speciali: c’era la fantasia ma non c’erano i soldi e il grosso dello sforzo produttivo è andato nella realizzazione delle auto che insieme alle motociclette creano spettacolari scene d’azione su strada che sono l’hard-core del film – che oggi va visto come documento di quell’epoca: un ipotetico futuro che per noi è già vintage.

la V8 Interceptor

Maxwell Rockatansky, che poi si meritò l’appellativo di Mad Max, è un poliziotto che guida una V8 Interceptor per la realizzazione della quale sin dal 1976 durante la fase di pre-produzione, George Miller, consapevole che l’automobile sarebbe stata insieme agli attori una protagonista del suo film d’azione, incaricò lo scenografo Jon Dowding di realizzare una vettura che fosse “nera australiana e cattiva”; l’attenzione andò subito a un’auto di costruzione esclusivamente australiana, la Ford Falcon XB GT Coupé prodotta in un numero esiguo e che oggi è un rarissimo esemplare da collezione; e Dowding incaricò una società di personalizzazione di auto per modificarla; lì Peter Arcadipane, Ray Beckerley e John Evans, con il decoratore di carrozzerie Rod Smithe, hanno trasformato l’auto secondo le esigenze cinematografiche.

Fra le altre variazioni di vetture c’è una versione di side-car con la seduta laterale coperta da una mezza sfera che gli conferisce un aspetto un po’ spaziale: la saga di “Star Wars” era cominciata nel ’77 e aveva già cominciato a influenzare l’immaginario collettivo. Mentre le motociclette usate dalla gang sono delle Kawasaki che la produzione era riuscita a ottenere in dono assicurando un rientro in pubblicità, come fu, e che sono state appositamente scenografate da una ditta specializzata che sfortunatamente fallì subito dopo l’uscita del film, mentre un’altra azienda giapponese, dato il successo delle Kawasaki modificate, ne ha ricreato delle copie per il mercato dei collezionisti fino ai primi anni 2000.

James Healey

Era il momento di comporre il cast. Miller avrebbe voluto un noto attore americano per garantire al film più ampia visibilità e andò anche a Hollywood per prendere contatti, ma resosi conto che l’attore da solo gli sarebbe costato l’intero budget tornò a Melbourne deciso a scritturare giovani sconosciuti a basso costo. La prima scelta fu l’irlandese lì trasferito con la famiglia James Healey che aveva già avuto dei ruoli in una serie tv ma che al momento lavorava in un macello aspettando di debuttare sul grande schermo: quale migliore occasione? ma l’attore lesse la sceneggiatura e rifiutò la parte perché la trovò “poco accattivante” e soprattutto il personaggio parlava poco mentre lui si riteneva un grande interprete: finirà col recitare sempre in soap opera come “Dinasty” e “Santa Barbara”.

Mel Gibson e Steve Bisley

A quel punto entra in scena Mel Gibson con la classica narrazione dell’amico che accompagna un amico e ottiene la parte al posto suo. La produzione si era rivolta agli insegnanti del NIDA, National Institute od Dramatic Art, specificando che cercavano dei giovani “con i capelli a punta”: era esplosa l’epoca punk; si presentò Steve Bisley accompagnato da Mel: entrambi avevano debuttato in “Summer City” ed entrambi furono scritturati ma Steve, da buon amico, ebbe il ruolo del buon amico. Gibson accettò un contratto secondo cui sarebbe stato pagato solo dopo l’uscita, e la buona riuscita, del film: fu lungimirante, al contrario di James Healey. Ma se Gibson divenne una star internazionale il suo amico Bisley si è mantenuto fermo su una carriera di tutto rispetto anche se in secondo piano. Nel ruolo della moglie del protagonista Joanna Samuel che resterà un’attrice di genere australiana.

Hugh Keays-Byrne

Più interessante il casting della banda di motociclisti: la maggior parte furono scritturati fra i veri fuorilegge che sulle moto battevano le superstrade australiane, appartenenti al clan dei Vigilanties e tre di essi, Hugh Keays-Byrne, Roger Ward e Vincent Gil avevano già recitato, come detto, in “Stone”. Il primo è qui nel ruolo del capobanda Toecutter, il tagliaditadeipiedi, e nel cinema troverà il suo futuro fino a concludere la sua carriera nel sequel di Mad Max del 2015. Ma intanto, data la scarsezza dei mezzi produttivi tutti la banda si era spostata a proprie spese da Sydney a Melbourne: cosa non si fa per l’arte.

Come sappiamo il film fu un clamoroso successo internazionale ma con un sostanziale distinguo: il film che era costato fra i 200mila e i 400mila dollari australiani (fonti diverse danno cifre diverse) incassò in patria più di 5 milioni raggiungendo in poco tempo il record mondiale di 100 milioni entrando nel Guinness dei Primati come il miglior film col minor costo e il maggior incasso, superato solo vent’anni dopo nel 1999 da “The Blair Witch Project”; ma per le manipolazioni subite l’unico Paese in cui il film non ebbe successo furono proprio gli Stati Uniti d’America. Vinse tre premi tecnici all’Australian Film Institute Awards per montaggio, sonoro e colonna sonora firmata da Brian May, compositore che aveva debuttato al cinema l’anno prima col B movie “Patrick” che ebbe un curioso sequel: avendo avuto successo nelle sale italiane, il regista di B movie italiani Mario Landi ne firmò un sequel apocrifo col titolo “Patrick vive ancora” in una deriva sexy come suggerisce la presenza di Carmen Russo nel cast. Tornando al film: vinse anche il premio speciale della giuria al Festival internazionale del film fantastico di Avoriaz.

Visto oggi il film, senza conoscerne il contesto, è un filmetto che sente il peso degli anni ed è davvero il documento di un’epoca e lo specchio di chi lo ha portato al successo, e va visto come il capostipite di una saga che ha avuto ben altro spessore. In ogni caso, dato il suo clamoroso successo che ha portato la cinematografia australiana nel mondo, esso è ancora oggi celebrato sul continente con feste e parate, tributi e anche ritrovi. Con i suoi sequel Mad Max è diventato un fenomeno culturale e con il suo futurismo distopico e apocalittico ha ispirato film come “1997: Fuga da New York” (John Carpenter 1981), la saga di “Terminator” (James Cameron 1984), “The Hitcher” e “I banditi della strada” (Robert Harmon, 1986 e 2004), oltre ai videogiochi “Fallout” e al manga “Ken il Guerriero”. Il prossimo capitolo “Interceptor – Il guerriero della strada” porterà la narrazione a un livello decisamente superiore… e da qui in poi non si parla più del film.

Richiami e rimandi bikexploitation

Vale la pena ricordare che inserendosi di diritto nel filone dei film con motociclette e motociclisti si può addirittura cominciare dal cinema muto che Miller ha detto di amare con “Lo spaventapasseri” dove Buster Keaton cavalca un sidecar Harley Davidson.

Un altro caposaldo è “Il selvaggio” con Marlon Brando che cavalcava una Triumph Thunderbird 6T del 1950, film diretto da Laszlo Benedek nel 1954 che è considerato un capostipite del genere bikexploitation che è esploso a metà degli anni ’60, e fra i film più noti c’è “I selvaggi” del 1966 che è considerato uno dei più grossi successi commerciali di Roger Corman: con un budget stimato di soli 360.000 dollari, il film ne incassò, solo negli Stati Uniti, circa 14 milioni; anche Corman, come Miller più di un decennio dopo, scritturò come comparse alcuni Hell’s Angels che però durante le riprese crearono non pochi problemi alla troupe. Sempre incentrato su quei terribili Hell’s Angels ci fu l’anno dopo “Angeli dell’inferno sulle ruote” di Richard Rush con Jack Nicholson in uno dei suoi primi ruoli da protagonista.

Si arriva al 1969 con un film che resterà nella storia: “Easy Rider” di e con Dennis Hopper, Peter Fonda e ancora Nicholson, un film il cui merito è andare oltre le narrazioni più o meno fuorilegge dei motociclisti, che al contrario qui sono degli innocui pacifisti che raccontano l’avanzata della contro cultura americana, la contestazione giovanile e l’antimilitarismo; il titolo viene da “Easy Life” che fu il titolo americano per il nostro “Il sorpasso” di Dino Risi a cui il film si ispira. E restando in Italia voglio ricordare la Moto Guzzi “Falcone Sport” che Alberto Sordi cavalca in “Il vigile” di Luigi Zampa del 1960.

Un po’ di star internazionali provenienti dal nuovo continente

In elenco Judy Davis, Cate Blanchett, Nicole Kidman con la sua amica Naomi Watts, Margot Robbie e Toni Collette fra le attrici; fra gli attori Hugh Jackman, Jason Clarke, Joel Edgerton, Guy Pearce, Geoffrey Rush, i fratelli Chris e Liam Hemsworth, il compianto Heath Ledger e Russell Crowe e Sam Neill che per correttezza sono neozelandesi; come neozelandese è Jane Campion fra i registi, con gli australiani Peter Weir, Phillip Noyce e Gillian Armstrong che proprio lo stesso anno di questo film firmò il più artistico “La mia brillante carriera” con Judy Davis che andò a vincere il BAFTA nel Regno Unito e Sam Neill che da lì in poi ha sviluppato una sua brillantissima carriera.

Approfondimento sul Festival di Cannes del 1978

Fra i titoli australiani vanno ricordati “The Chant of Jimmie Blacksmith” di Fred Schepisi e “Il sapore della saggezza” di Bruce Beresford. Quell’anno c’erano in concorso e fuori concorso molti grandi sui quali è interessante dare un’occhiata: “L’albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi che vinse la Palma d’Oro e che si aggiudicò anche in ex aequo con “La spirale” di Krzystof Zanussi il Premio Ecumenico, mentre il Grand Prix Speciale della Giuria è stato assegnato ex-aequo a “Ciao maschio” di Marco Ferreri e “L’australiano” (che non è un film australiano ma è il titolo italiano per “The Shout”) del polacco Jerzy Skolimowski con produzione britannica; altro ex aequo per la migliore attrice a Jill Clayburgh per “Una donna tutta sola” di Paul Mazursky e Isabelle Huppert per “Violette Nozière” di Claude Chabrol; miglior attore Jon Voight per “Tornando a casa” di Hal Ashby; miglior regista Nagisa Ōshima per “L’impero della passione”; Gran Prix tecnico a “Pretty Baby” del francese Louis Malle che si era spostato negli Stati Uniti perché legatosi a Susan Sarandon protagonista di questo suo primo film americano; e per finire il premio FIPRESCI a “L’uomo di marmo” di Andrzej Wajda. Ma erano presenti anche titoli come il grandioso “Molière” di Ariane Mnouchkine, “Ecce Bombo” di Nanni Moretti, “Fuga di mezzanotte” di Alan Parker, “L’ultimo valzer” di Martin Scorsese, “Nel regno di Napoli” di Werner Schroeter. Non c’è da stupirsi se in questo contesto gli australiani venissero considerati degli alieni.