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“Il Racconto dei Racconti”, finalmente sullo schermo

E’ un film grandioso ma sono uscito dal cinema con qualche perplessità. Solo col passare delle ore sentivo che le sensazioni e le emozioni del racconto cinematografico continuavano a crescere nella mia mente e a fruttificare pensieri e idee e altre sensazioni ancora, e questo succede con un gran film o un gran libro, comunque un gran racconto. Le perplessità riguardavano fondamentalmente il mio essere uno spettatore di buone frequentazioni cinematografiche ma anche convinto consumatore di blockbusters americani cui va il primo pensiero viziato da tecniche di racconto collaudatissime ma anche tutte uguali. Questo invece è tutto un altro raccontare e tutto un altro cinema, d’autore appunto, ma soprattutto di cultura europea, quella cultura fantastica delle novelle e delle fiabe antiche cui lo stesso signor Walt Disney si è ispirato per i suoi grandi capolavori di animazione. Oggi, peraltro, Hollywood sta sfornando uno dietro l’altro dei film che rivisitano i gloriosi protagonisti di quelle fiabe raccontandoli da un altro punto di vista e col gusto dei tempi, e questo è normale perché si è sempre fatto, perché Charles Perrault e i fratelli Grimm l’hanno fatto ispirandosi a “Lo cunto de li cunti” di Giambattista Basile che a sua volta si è pure ispirato a tradizioni ancora più antiche e popolari: insomma, nulla si inventa e tutto si riscrive.

La differenza sta tutta nella distanza che c’è fra meraviglia e incanto, dove la meraviglia è quella che ci suscita la visione di filmoni pieni di effetti speciali e narrazioni politicamente corrette mentre l’incanto è quello che prende in sala ad assistere alle tre favole di questo “Cunto”: “La Regina”, “La Pulce” e “Le Due Vecchie”. Il ritmo è lento, incantatorio appunto, e avvolgendo ci accompagna dentro questa visione mirabile fatta di scenari fantastici che però sono assolutamente reali e dislocati tutti in Italia, dove si muovono personaggi che non sempre hanno la battuta pronta dello sceneggiatore americano ma i silenzi e gli sguardi distanti di chi vive d’incanto e l’incanto racconta. Le storie sono semplici racconti morali non appesantite da quelle troppe spiegazioni ad uso e consumo dello spettatore che fra popcorn e bibita e smartphone sempre acceso dovrebbe avere almeno quattro mani come l’alieno che è. Il fantastico accade perché così è, e l’orrore di certi momenti è quello tipico delle fiabe antiche che venivano raccontate davanti al focolare proprio per far paura ai bambini e farli andare a letto col batticuore e la lezione morale che così avrebbero ricordato a lungo: oggi tutto questo viene filtrato da una malintesa e spesso millantata correttezza che volendo rispettare bambini e diversità, donne e categorie protette, fa di tutto una poltiglia insapore.

I film di Matteo Garrone, tranne le sperimentazioni degli esordi, li ho visti tutti: “L’Imbalsamatore” 2002; “Primo Amore” 2004; “Gomorra” 2008 con cui arriva al grande successo sulla scia del libro di Saviano e del Gran Prix a Cannes che bissa nel 2013 con “Reality”. Posso dunque affermare che la sua tematica è proprio l’orrore della diversità sia fisica che morale: il nano cattivo protagonista de “L’Imbalsamatore”, l’amore malato e il corpo smagrito di “Primo Amore”, tutti i camorristi di “Gomorra” e l’orrore culturale di “Reality”. Dunque “Il Racconto dei Racconti” segue una sua linea precisa e dopo tanti premi e riconoscimenti attinge alla ricchezza della nostra narrativa, all’orrore degli orrori, allo “Cunto de li cunti” e fa quel necessario salto di qualità girando in inglese con un cast internazionale ma non solo per travalicare i confini europei e andare a – mi auguro – minacciare da vicino la troppo disinvolta e collaudata fantasy americana: proprio perché girato in inglese potrebbe accedere agli Oscar e premi tecnici, come fotografia e scenografia e costumi e trucco, potrebbero ricevere se non premi almeno candidature.

Come l’attenzione alle ambientazioni che non ha niente da invidiare a “Il Signore degli Anelli”, il cast è scelto con gran cura e anche nei ruoli di contorno o nelle figurazioni di lusso c’è quel gusto per i volti e le caratteristiche fisiche che mi ha ricordato il cinema iper-realista ma anche fantastico di Pier Paolo Pasolini. La Regina della prima novella è una bellissima e gelida Salma Hayek che sacrifica la vita del suo Re, John C. Reilly, pur di generare un figlio attraverso un sortilegio suggerito dal negromante Franco Pistoni e che darà vita anche a un gemello da un’altra madre, la serva Laura Pizzirani: i gemelli sono Christian e Jonah Lees che Garrone ha voluto albini; nel cast c’è anche una coppia di sorelle, non gemelle: Jessie Cave che è Fenizia in “La Regina” e Bebe Cave che è la Principessa Viola protagonista di “La Pulce” insieme a Toby Jones che è il Re suo padre che la cede a un orco, Guillaume Delaunay gigante senza trucco e senza inganno, per insipienza; Nicola Sloane è l’anziana damigella dal volto spigoloso e antico; Vincent Cassel è il principe piacione della terza novella, “Le Due Vecchie” che truccate ancora più da immonde vecchie sono Shirley Henderson e Hayley Carmichael che ringiovanita attraverso il sortilegio di una strega, Kathryn Hunter, è interpretata da quella Stacy Martin che nel “Nynphomaniac” di Lars Von Trier non si capisce se scopa tutto il tempo con gli effetti speciali o con cazzi reali, e io sono per la seconda. Fanno da cornice una compagnia di circensi capitanata da Massimo Ceccherini che praticamente non parla e Alba Rohrwacher già lanciata nel cinema internazionale. Completano il cast italiano, per onor di cronaca, Renato Scarpa, Giselda Volodi già internazionalizzata in “Grand Budapest Hotel” e Giuseppina Cervizzi che era con Garrone in “Reality” e abbiamo rivisto da poco in “Se Dio Vuole”.

“Il Racconto dei Racconti”, tiepidamente applaudito a Cannes, dovrà vedersela con gli altri due forti italiani: “Mia Madre” di Nanni Moretti, altra star della Croisette, e soprattutto con “Youth – La Giovinezza” di Paolo Sorrentino, molto applaudito e con il carico di un Oscar per “La Grande Bellezza” in vetrina, già Premio della Giuria a “Il Divo” in quello stesso 2008 in cui Garrone vinse il Gran Prix con “Gomorra”: insomma, senza voler considerare tutti gli altri concorrenti, la sfida fra gli italiani è cruenta.

Poiché il “Gomorra” di Garrone ha dato vita all’eccellente serie tv di Sky ho fatto due più due e ho immaginato che “Lu Cunto de li Cunti” con tutto il suo materiale narrativo potrebbe far creare un’altra serie di successo: ho visto bene, leggo sul web che lo stesso regista ci sta già pensando… 🙂