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E per la prima volta sullo schermo… Ornella Muti

1970. Damiano Damiani è uno dei registi di punta del cinema di impegno civile di quegli anni, che si concesse un’incursione nell’horror americano con “Amityville Possession”, 1982, al seguito del produttore Dino De Laurentiis (che intendeva colonizzare Hollywood ed è riuscito a lasciare una sua traccia permanente); ma che quando l’impegno civile cinematografico ebbe il suo declino continuò con i polizieschi segnando i suoi ultimi grandi successi col televisivo “La Piovra”, 1984, e il cinematografico “Pizza Connection” del 1985, e poi avviandosi al declino fino ad “Alex l’ariete” del 2000 che segnò lo sfortunatissimo debutto cinematografico di Alberto Tomba. E’ morto 90enne nel 2013.

Franca Viola; e Filippo Melodia, con i complici, dietro le sbarre nell’aula del processo

E’ di cinque anni avanti la vicenda della prima donna che rifiutò il matrimonio riparatore facendo cronaca storia e legislatura. La quindicenne Franca Viola, di Alcamo in provincia di Trapani, si fidanzò col consenso dei genitori col maggiorenne e maggiorente di bell’aspetto Filippo Melodia, rampollo di una rispettata famiglia mafiosa, e all’inizio erano tutti felici e contenti perché la famiglia di contadini di lei aveva tutto da guadagnare da quell’unione, rispetto e benessere, e fin qui il film ricalca fedelmente la vicenda della fascinazione che la ragazzina provò per il giovane uomo ben vestito e dallo sguardo assassino. Senonché, il giovane uomo, che era davvero un assassino, finì momentaneamente al fresco per un semplice furto e papà Viola, orgogliosamente, ruppe il fidanzamento. Ma erano luoghi e tempi in cui l’orgoglio di un contadino non aveva valore e perciò subì minacce e devastazioni. Franca Viola sulla sua vicenda ebbe parole che oggi sembrerebbero banali ma che allora suonavano rivoluzionarie: “Io non sono proprietà di nessuno, nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto, l’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce” senza dimenticare che ci sono angoli del mondo dove ancora queste cose accadono. L’aggressore fu condannato a dieci anni di carcere con due di soggiorno obbligato a Modena, dove alla scadenza della pena venne raggiunto da un anonimo colpo di lupara.

La sceneggiatura devia dalla storia originale per darsi l’opportunità di raccontare altre realtà: la fidanzata bambina oggetto comincia a vedere l’uomo per quello che è, un arrogante maschilista che non la rispetta perché pensa di doverla possedere, perché possedere è tradizione di famiglia, e lei allora rompe il fidanzamento, nel film senza l’appoggio della famiglia, e la sceneggiatura dà spazio drammatico al padre che si maledice per non avere avuto il coraggio di schierarsi con la figlia, raccontando con questa scena una realtà sottesa: quella della diffusa complicità per ignavia e paura, sottomissione socio-culturale. Nella realtà e nel film la ragazza viene rapita e violentata per essere poi costretta a un matrimonio riparatore, per salvare il suo onore e quello della sua famiglia, pena l’isolamento sociale con il marchio di svergognata e un destino da zitella. E all’epoca, la legislazione italiana, con l’articolo 544 del codice penale, dichiarava: “Per i delitti preveduti dal capo primo e dall’articolo 530, il matrimonio, che l’autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali”; con parole più comprensibili l’articolo ammetteva la possibilità che si potesse estinguere il reato di violenza carnale, anche ai danni di una minorenne, qualora fosse stato seguito dal cosiddetto “matrimonio riparatore”, visto come forma di contratto tra l’accusato e la persona offesa; questo accadeva perché la violenza sessuale era allora considerata oltraggio alla pubblica morale e non reato contro la persona. Va da sé che il caso di Franca Viola sollevò forti polemiche divenendo oggetto di numerose interpellanze parlamentari. Quell’articolo del codice penale sarà abrogato con una legge del 1981, a sedici anni di distanza dalla conclusione della vicenda, e solamente nel 1996 lo stupro da reato contro la morale sarà riconosciuto in Italia come un reato contro la persona.

Luisa Rivelli

Per interpretare i due protagonisti Damiano Damiani sceglie due convincenti debuttanti: la 15enne Francesca Rivelli e il 25enne Alessio Orano, e impone a lei il nome d’arte di Ornella Muti da sue reminiscenze dannunziane: Ornella è un personaggio de “La figlia di Jorio” ed Elena Muti è la protagonista de “Il piacere”; nome d’arte, a dire del regista pigmalione, necessario per distinguerla dall’attrice Luisa Rivelli, che in realtà è molto più anziana e in quegli anni già a fine carriera. La coppia di giovani e belli farà coppia nella vita e alla maggiore età di lei convolano a nozze, quando lei era già madre di Naike, la cui paternità non verrà mai dichiarata. In quegli anni lui darà il meglio in film horror e thriller e lei, come sappiamo, diverrà una delle interpreti più celebrate del nostro cinema, nonostante sia sempre stata doppiata da altre professioniste e solo in anni più recenti ha recitato con la sua vera voce, concedendosi pure un paio di interpretazioni teatrali. Qui è doppiata da Loretta Goggi e lui è doppiato da Michele Gammino. Il padre è interpretato da Gaetano Cimarosa che nel film conserva il suo vero nome, Tano Cimarosa, mentre la protagonista Franca sarà Francesca, anche vero nome dell’attrice. Nel ruolo del tenente dei carabinieri l’interessante e purtroppo prematuramente scomparso, a 36 anni, Pierluigi Aprà; mentre interessante è la partecipazione, nel ruolo di un contadino dibattuto fra l’imperativo morale e il dovere sociale-mafioso, del cantante Joe Sentieri, esponente negli anni ’60 di quel gruppo detto “degli urlatori”, genere che ebbe anche una sua propria filmografia composta da un trittico, gruppo cui appartenevano anche Tony Dallara, Adriano Celentano e Little Tony e a cui si aggiungerà il giovanissimo Gianni Morandi. In quegli anni molti cantanti hanno tentato la via del cinema al di fuori e oltre il genere musicarello degli anni ’60, ma solo due di loro sono riusciti a ritagliarsi delle carriere di tutto rispetto: l’ex urlatore Adriano Celentano e l’ex crooner Johnny Dorelli, entrambi star della commedia, il primo con quelle venature surreali che lo contraddistinguono dato che fu anche sceneggiatore e regista, il secondo più a suo agio nel genere scollacciato con incursioni nella commedia di costume d’autore.

Ornella Muti, dopo questo folgorante debutto, ebbe numerose offerte di lavoro, anche dalla Spagna e, come piano B nel caso la carriera cinematografica non avesse decollato, cominciò anche a lavorare nei fotoromanzi insieme alla sorella maggiore, Claudia Rivelli, già star della Lancio; ma non ebbe il tempo di continuare su questa strada perché il cinema la fagocitò, dapprima con ruoli da adolescente inquieta (le adolescenti, nel cinema di ogni epoca e latitudine, sono sempre inquiete, forse perché inquietano i pensieri dei maschi che fanno quel cinema…) e questo genere avrebbe potuto essere la sua tomba professionale, finché Marco Ferreri non la volle protagonista insieme a Gerard Depardieu del discusso e disturbante “L’ultima donna” del 1976, anno in cui Ornella ricevette anche la Targa d’Oro ai David di Donatello per il complesso delle sue interpretazioni; e l’anno successivo, recitando con Ugo Tognazzi in “la stanza del vescovo” di Dino Risi, diede una svolta definitiva alla sua carriera.

Il film, parlando di verginità e dunque obbligatoriamente collocato nella Sicilia cinematografica di allora, fa subito pensare a un film di tre anni prima, “Assicurasi vergine” con la meno espressiva Romina Power, altra storia ispirata a una vicenda realmente accaduta ma in quel caso raccontata con toni da commedia boccaccesca benché qua e là fotografasse comunque una Sicilia dai toni realistici: tutt’altra atmosfera rispetto a questo solido dramma che si apre, comunque, perché il set è la Sicilia, col suono metallico del marranzano, perché la Sicilia è sempre marranzano, anche se a firmare la colonna sonora stavolta c’è Ennio Morricone che, a mio avviso, qui mette insieme spezzoni inutilizzati altrove col solito assolo della sua soprano Edda Dell’Orso, senza scrivere pagine memorabili.

A Franca Viola il poeta palermitano (di Bagheria) Ignazio Buttitta dedicò dei versi che il cantautore-cantastorie calabrese Otello Profazio mise in musica.

Qui il film completo: