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“12 anni schiavo” – Oscar al senso di colpa

I film sulla schiavitù dei Neri stanno all’America come i film sulla persecuzione degli Ebrei stanno all’Europa. Sono dei classici sul senso di colpa collettivo. Poi si sa che approfondendo il tema, la schiavitù riguarda anche l’Europa e l’America dovrebbe anche guardare a quello che ha fatto ai Popoli Nativi… Ma resto sul tema del film premio Oscar tratto dalla storia vera di un nero che vive da libero con la sua bella famiglia la sua vita borghese in uno di quegli stati del nord dove l’abolizione della schiavitù è già cosa fatta – ma non del tutto, ché ci sono ancora dei neri che guardano al nostro protagonista con invidia e speranza. Mentre negli stati del sud la schiavitù è ancora una radicatissima realtà e la guerra di secessione è di là da venire: è un mondo che, pur avendo confini geografici, non ha però precisi confini morali ed è in grande subbuglio, con trafficanti che operano su queste linee di confine senza alcuno scrupolo.

Solomon Northup viene rapito, venduto da due onest’uomini che gli avevano promesso un ingaggio come violinista nei circhi, e quindi drogato picchiato e umiliato fino a che non si piega alla nuova realtà. Ma gli va bene perché il suo padrone (Benedict Cumberbatch, attore inglese in ascesa) è uno schiavista a suo modo giusto e mite. Ma le circostanze avverse – e per uno schiavo sono sempre avverse – lo portano sotto un altro padrone che è fatto di ben altra pasta: fervente cattolico usa le Scritture per giustificare la schiavitù e la violenza sugli schiavi e da buon cattolico ha una moglie oggetto di rappresentanza (una frustratissima e perciò cattivissima Sarah Paulson che in tv è protagonista di “The American Horror Story”) è un alcolista e ha un’insana passione per una giovane schiava interpretata da Lupita Nyong’o che ha vinto l’Oscar come non protagonista, mentre gli altri candidati sono rimasti a bocca asciutta: il protagonista Chiwetel Ejiofor e Michael Fassbender come tormentato cattivo di gran classe che per il regista nero inglese Steve McQueen è stato protagonista dei suoi due precedenti eccellenti film: “Hunger” e “Shame” che gli è valso il premio come migliore attore a Venezia nel 2011. Comoda partecipazione del produttore Brad Pitt che si prende il ruolo del falegname buono.

Questa storia americana nelle nere mani sapienti del regista inglese perde le facili tentazioni del melodramma e si fa asciutta tragedia con momenti di grande cinema: una su tutte la lunga sequenza silenziosa in cui il protagonista resta appeso per il collo l’intera giornata mentre intorno a lui la vita quotidiana continua a scorrere, che diventa uno sfinimento anche per noi spettatori. Oscar come miglior film, dunque, meritatissimo. Che un po’ mette anche a tacere quel senso di colpa collettivo. E anzi, di più: l’autobiografia di Solomon Northup da cui il film è tratto diverrà libro di testo nei licei americani. Ma non sarà l’ultimo film sulla schiavitù come non ci sarà mai un film definitivo sull’olocausto.

Concludo con una digressione sul protagonista Chiwetel Ejiofor per apprezzare a tutto tondo le sue qualità attoriali: nel 2005 è stato protagonista di un delizioso film non molto visto ma che merita una ricerca: “Kinky Boots”, anch’esso ispirato alla storia vera di una fabbrica di scarpe inglese in crisi che si reinventa producendo bizzarri stivali con tacchi a spillo e misure da uomo per uomini che si vestono da vamp. Un film che sposa la tradizione british della filmografia operaia di provincia coi lustrini e il sesso transgender: Chiwetel Ejiofor interpreta la drag queen che ispira l’impresa mostrando anche eccellenti doti canore… Non ha vinto l’Oscar ma mi auguro che sia nata una stella.

Il trailer è in lingua originale ma il film si trova doppiato in italiano. Buon divertimento.