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Birds of Prey e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn

Questo è uno di quei casi in cui davvero posso dire: io l’avevo detto. Anzi scritto, parlando di “Suicide Squad”: “Però il personaggio più riuscito è Harley Quinn, spalla del Joker nei fumetti qui promossa a super protagonista: bella, sexy, ironica, simpatica e psicopatica è un mix perfetto che tiene testa a tutti i personaggi ed è la vera anima del film, dato che gli altri della squadra non sono così sexy e ironici e psicopatici come dovrebbero essere. Data la riuscita del personaggio, scrittura più interpretazione, non mi stupirei se ai piani alti stessero già pensando di promuoverla protagonista di uno spin-off .” Detto, fatto.

GiovedìFilm: Birds of Prey (e la Fantasmagorica Rinascita di Harley Quinn)  (2020)

Incassato il Critics’ Choise Awards per la sua fantasmagorica Harley Quinn, Margot Robbie non è stata con le mani in mano e dal 2016, anno di uscita di “Suicide Squad” ha fatto otto film in quattro anni, fra cui “Tonya” sulla vicenda della pattinatrice su ghiaccio Tonya Harding coinvolta nell’aggressione a una sua rivale sportiva, un personaggio complesso e sgradevole che le valse la candidatura all’Oscar. E’ stata poi la Regina Elisabetta I in “Maria Regina di Scozia” dove si è imposta sulla collega Saoirse Ronan nel ruolo del titolo, con candidature ad altri premi (BAFTA, Screen Actors Guild Awards, AACTA, Satellite Awards, mentre la Ronan, seppur bravissima, è andata a bocca asciutta. Ed ha interpretato Sharon Tate nella rivisitazione del dramma in cui la moglie di Roman Polanski fu assassinata, nell’imperfetto – per me – “C’era una volta a… Hollywood” di Quentin Tarantino.

Ma poi questo film tutto suo nell’universo DC Comics tanto atteso – ha disatteso le aspettative: il personaggio che funzionava nel giocattolo corale qui non funziona più. L’esplosione di colorata fantasmagoria e il mix perfetto della bella sexy ironica simpatica e psicopatica, dilatati in un film intero mostrano la corda, come si dice: si diceva dei tappeti e dei tessuti pregiati come il broccato o il velluto che invecchiati e lisi mostravano la trama dell’incordatura. E’ come se il film mostrasse le rotelle di un marchingegno inceppato.

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La bella psicopatica parla al pubblico, si sbaglia, torna indietro, e invece di divertire ci confonde e diventa fastidiosa. Le scene di lotta acrobatica, figlie del glorioso kung-fu di Bruce Lee, sono sfacciatamente delle coreografie messe lì perché devono stare lì, e come lo straparlare della protagonista diventano ridondanti. L’antagonista Black Mask è interpretato da un Ewan McGregor che sembra più annoiato di me, mentre fa meglio il suo braccio destro in odor di relazione omo, Chris Messina come Victor Szasz.

Il cattivone Roman Sionis che poi indossa la maschera nera è il tipico boss che gestisce un locale dove ci sono i suoi uccellini, come li chiama lui, le belle ragazze che animano le serate. Ma una di queste, la cantante, è Black Canary, l’unica nel film ad avere un superpotere: una voce che atterra gli avversari. Per il resto fa a botte come tutti, anzi: tutte. Eh sì, perché il film è dichiaratamente un manifesto femminista e attorno all’antieroina si raccolgono, insieme a Black Canary, la Cacciatrice, la poliziotta Renee Montoya già debitamente bullizzata da superiori e colleghi, e la giovanissima sbandata Cassandra Cain, tutti personaggi apparsi nei fumetti DC Comics e che qui sono insieme per la prima volta in un allegro e manesco gruppo di donne che da uccellini si trasformano in uccelli predatori, birds of prey, un pacchetto pronto per diventare protagonista del prossimo spin-off.

In 'Birds of Prey,' the ladies are flying together: Harley Quinn is back  with a group of badass women to save the day
Renee Montoya, la Cacciatrice, Harley Quinn, Cassandra Cain e Black Canary

Spiace dirlo, il pacchetto femminista non funziona. E non perché sia femminista ma perché si è messa troppa carne al fuoco e, restando nell’ambito dei modi di dire, il troppo storpia. E’ zuccheroso fino alla nausea, è politicamente scorretto fino alla noia, è caotico fino a perdere il controllo del caos controllato che il giocattolone dovrebbe essere. Resta sempre godibile, come nella costola da cui è stato generato, la coloratissima parte visiva: costumi, scene, luci, effetti.

Margot Robbie si impegna anche nella produzione su una sceneggiatura di Christina Hodson e Cathy Yan alla regia, prima donna cinese (naturalizzata americana va sa sé) alla regia di un film di supereroi, che è anche il suo secondo lungometraggio dopo il debutto con “Dead Pigs” un film drammatico ambientato a Shangai che dimostra il talento eclettico della regista, che qui firma un lavoro confuso perché è confuso a monte il progetto. Jurnee Smollett-Bell è Black Canary, Mary Elizabeth Winstead è la Cacciatrice, Ella Jay Basco è Cassandra Cain, mentre nei panni della detective Renee Montoya ritroviamo in un ruolo appetitoso la Rosie Perez che nel già lontano 1994 è stata candidata all’Oscar per “Fearless – Senza Paura” di Peter Weir.

Joker e Harley Quinn saranno protagonisti di un film dedicato a loro

In questo fantasmagorico racconto sconclusionato c’è un grande assente: l’ex fidanzato di Harley Quinn, il Joker dai capelli verde smeraldo di Jared Leto che in “Suicide Squad” davvero non ho amato. A parte il mio giudizio su quel Joker c’è che l’attore, che ricordiamo premio Oscar per “Dallas Buyers Club”, è in rotta con la Warner Bros perché si è sentito tradito quando la casa produttrice di “Suicide Squad” ha avviato il progetto del “Joker” con Joaquin Phoenix il cui successo è stato clamoroso. Così Jared Leto ha rifiutato anche di essere nel cast del sequel “The Suicide Squad” programmato nelle sale USA, pandemia permettendo, per il prossimo agosto, in contemporanea streaming su HBO Max. Tornerà però, senza capelli verdi e tatuaggi in faccia e dunque un look rinnovato, e incupito, in un altro progetto frutto di controversie legali: “Zach Snyder’s Justice League”, in pratica il director’s cut del film del 2017 che fu un insuccesso a causa di una serie di eventi sfavorevoli che portarono all’avvicendamento del regista Zach Snyder con Joss Whedon. Rimasto l’amaro in bocca a Snyder e ai tanti suoi fan e sostenitori, anche fra i membri della troupe e della produzione, alla fine Warner Bros consentì il director’s cut per il quale il regista ha anche ricevuto del soldi per girare nuove scene; fra queste c’è l’inserimento del Joker di Jared Leto, assente nella precedente versione del film, e che segna il ritorno dell’attore col suo travagliato e controverso personaggio. Dunque è tutto bene quel che finisce bene? Staremo a vedere.

Jared Leto: il Joker imita Gesù Cristo nell'immagine della Justice League
Il nuovo Joker di Jared Leto che imita il Cristo in “Zach Snyder’s Justice League”

Blade Runner 2049, 30 anni invano

L’originale è del 1982 ed è ambientato nel 2019, praticamente ci siamo, ma per fortuna Los Angeles, e il mondo intero, non sono ridotti a quello sfacelo, ancora. Ridley Scott tre anni prima, nel 1979, ci aveva già sconvolti con Alien, e altri due anni prima, nel 1977, era cominciata la saga di Guerre Stellari di George Lucas: per noi, giovani di quell’epoca, è stata una vera rivoluzione cinematografica: la tecnologia ha fatto un salto qualitativo che non ha più avuto eguali, solo sviluppi, e noi siamo stati coevi e spettatori di eventi cinematografici eccezionali.

Oggi quel senso di meraviglia è difficile da ripetere. Noi ex giovani siamo già vaccinati e i giovani d’oggi – quant’è vecchio parlare così! – non hanno più il “senso della meraviglia” perché ci vivono dentro senza consapevolezza: hanno nelle mani una tecnologia che noi abbiamo visto nascere e svilupparsi, dalla macchina per scrivere con le copie in carta carbone e dal telefono attaccato al muro siamo passati, per gradi, allo smartphone sempre connesso col mondo intero. Connessione che ormai è dipendenza e ogni tot minuti questi ragazzi devono controllare i like su Facebook e le chat su Whatsapp col risultato che la sala buia del cinema qua e là si accende di fuochi fatui come emanazione reale della finzione sullo schermo.

Riflessione nostalgica a parte il film odierno è un topolino partorito dall’elefante del passato. Per decenni si è parlato di un seguito ma i seguiti di successo devono essere fatti a tambur battente, come dimostrano gli ottimi seguiti di Alien, ma tant’è. Visivamente c’è continuità, l’ambientazione è sempre quella ma presto scopriamo che c’è, ovviamente, del nuovo: la tecnologia odierna non è la nostra del 1982 e poiché nel film siamo trent’anni più avanti il nuovo non delude, è un immaginario visivo all’altezza dell’impegno.

Ma la storia delude: nel racconto originale di Philip K. Dick “Il Cacciatore di Androidi” Blade Runner, traducibile come Lame Volanti, è il corpo speciale di agenti che cacciano e “ritirano” gli androidi ribelli; protagonista era l’agente Deckard interpretato da Harrison Ford che fresco del successo di Guerre Stellari ha sbaragliato nomi del calibro di Dustin Hoffman, Gene Hackman, Sean Connery, Jack Nicholson, Paul Newman, Clint Eastwood, Tommy Lee Jones, Arnold Schwarzenegger, Al Pacino e Burt Reynolds. Gli android antagonisti erano Brion James, Joanna Cassidy, Daryl Hannah e l’olandese Rutger Hauer di cui ancora ricordiamo il monologo finale: “Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi…”

Il Blade Runner attuale è interpretato da Ryan Gosling e sappiamo subito che è un androide di nuova generazione, ubbidiente e affidabile, a caccia dei vecchi modelli ribelli ancora in circolazione, e qui subito si nota un refuso: i vecchi androidi erano programmati per durare 4 anni, dunque come è possibile che ce ne siano ancora in giro 30 dopo? Altro refuso: alla fine del primo film restava il forte dubbio che lo stesso Deckard fosse un androide e negli anni successivi Ridley Scott ne ha dato conferma, ma nel film odierno ritroviamo Deckard invecchiato e senza più traccia di sospetto sulla sua natura biologica, e meno male che lo ritroviamo nell’ultima mezzora di un film di due ore e mezza in cui si sbadiglia più volte: il plot è quello che è e una volta capito dove va a parare la noia si spalma su tutto il film nonostante le invenzioni visive e tecnologiche. Inoltre non c’è più un degno antagonista e a Hollywood si è passati dalla parità di genere – sempre auspicabile – all’invasione delle donne, e se prima era anche piacevole trovare un’eroina o una cattiva a far patire il protagonista ora è anche troppo noioso vedere Ryan Gosling circondato solo da belle donne in un’insalata di buone e cattive che le fa tutte uguali. Per scarto generazionale si distingue Robin Wright e le altre sono:
Ana de Armas, Sylvia Hoeks, Mackenzie Davis, Carla Juri e la Sean Young del 1982 qui in versione ologramma. I caratteri maschili sono: Edward James Olmos, già collega del protagonista nel primo film, qui in una casa di riposo come sempre accade a chi invecchia nei film americani; Dave Bautista, Lennie James e Jared Leto nel ruolo noiosissimo e non nuovissimo di scienziato-filosofo. Mi piace segnalare che sempre in ologramma ritroviamo Elvis Presley, Frank Sinatra e in un solo secondo anche Marilyn Monroe. Ridley Scott produce e dirige l’ottimo Denis Villeneuve già candidato all’Oscar per un altro fantascientifico: Arrival.

In sintesi: si poteva fare a meno di questo sequel che in ogni caso va visto per dovere di cronaca senza aspettarsi salti di qualità o nuove rivelazioni. Sorprese nulla, meraviglia poca, sbadigli tanti.

Suicide Squad, tempi duri per i troppo buoni

Tempi duri per i troppo buoni e tempi super duri per i super buoni super eroi: Superman è morto, si è sacrificato per l’umanità in “Batman V Superman”. E morto Superman ci informano che c’è un vuoto di supereroi che combattano il male a fianco del Bene e delle forze dell’ordine… E le forze dell’ordine non sono più i buoni poliziotti di quartiere dei bei tempi andati ma l’esercito super forzuto e super tecnologico perché i super cattivi non mettono più a soqquadro una città come Gotham City ma l’intera nazione e l’intero pianeta. E il Bene non è più di questo mondo dato che ormai siamo tutti cattivi a cominciare da chi ha in mano le chiavi del potere: specchio dei tempi. Qui la vera super cattiva è la super agente dei servizi  segreti Amanda Weller che per salvare il mondo mette insieme “il peggio del peggio” a suo dire, meta-umani che tiene imprigionati e con i quali forma questa squadra suicida che manda in battaglia senza allenamento e senza motivazioni, se non con il ricatto della morte certa se si ammutinano e il ricatto morale che fa leva sulle loro debolezze: perché scopriamo subito che questi super cattivi non sono altro che amorevoli e tormentati padri di famiglia e ragazzine che sognano l’anello al dito: hanno solo avuto la disgrazia di vivere nel lato oscuro della società.

La cattivissima Weller è interpretata da Viola Davis, attrice super candidata e super premiata altrove che con la sua faccia rotonda da casalinga del sud che sforna torte di mele sembra quantomai fuori posto in questo ruolo: ma il suo ruolo nella serie tv “Le regole del delitto perfetto” le ha conferito autorevolezza e la sua facciotta qui volutamente inespressiva conferisce al personaggio una ferocia inaudita.

La squadra dei cattivi è variegata e gustosa. E’ capitanata dal Deadshot di Will Smith, un super killer a pagamento che non sbaglia mai un colpo, col quale l’attore – che si era già misurato con un supereroe negativo e cialtrone in “Hancock” – torna a fare squadra dopo i suoi film egocentrici da protagonista assoluto e anche interprete solitario, tutt’al più affiancato dal figlio Jaden. Ma pare che l’assegno valga la pena.

Però il personaggio più riuscito è Harley Quinn, spalla del Joker nei fumetti qui promossa a super protagonista: bella, sexy, ironica, simpatica e psicopatica è un mix perfetto che tiene testa a tutti i personaggi ed è la vera anima del film, dato che gli altri della squadra non sono così sexy e ironici e psicopatici come dovrebbero essere. E’ interpretata dall’attrice modella australiana Margot Robbie già sullo schermo con Will Smith in “Focus – Niente è come sembra” e con DiCaprio in “The Wolf of Wall Street”. Data la riuscita del personaggio, scrittura più interpretazione, non mi stupirei se ai piani alti stessero già pensando di promuoverla protagonista di uno spin-off come è successo al Wolwerine degli X-Men.

E veniamo al Joker che gioca fuori squadra e contro la squadra per liberare la sua beneamata psicopatica anima gemella. Dopo il fantastico Joker di Jack Nicholson e quello ammaliante e doloroso di Heath Ledger che è diventato mitico anche per la prematura scomparsa dell’attore che ha ricevuto l’Oscar postumo. Questo Joker di Jared Leto è: insomma. L’attore è bravo interessante e selettivo, e ha vinto Golden Globe, Screen Actors Guild Award e Oscar per il ruolo del travestito in “Dallas Buyers Club” e mi chiedo quando lo rivedremo con la sua vera faccia. Questo Joker, opportunamente ridisegnato, è più un dandy punk che lascia sospeso il giudizio in attesa degli ulteriori sviluppi.

Altro personaggio ben riuscito è l’Incantatrice, una strega risorta da un passato ultra remoto con un look molto accattivante, molto cattiva, ragion d’essere oscura come le sue origini e malvagia ufficiale in questo plot narrativo dove i malvagi allignano in ogni ambiente e a qualsiasi livello: lei perlomeno è puro spirito e non ha bisogno di maschere ma solo del corpo di un’innocente fanciulla da abitare. Anche questo ruolo è interpretato da una modella, anzi una super model, come si dice in vero inglese, quello che noi diciamo top model inventandoci un inglese da rotocalco: Cara Delevingne che sfoggia l’abito oscuro e fuligginoso della strega come su una passerella di Milano. Questa Incantatrice ricorda, perlomeno nel look, la dea Astarte, ma nel film rimane senza nome e senza storia perché non finalizzati al racconto.

Innamorato della fanciulla abitata dall’Incantatrice è il colonnello dell’esercito Rick Flag, un duro dal cuore tenero che ha in mano le sorti della squadra e dell’impresa, ligio al dovere e fedele all’amore – interessante combinazione – interpretato da Joel Kinnaman attore svedese che si è fatto conoscere negli USA come protagonista della serie thriller “The Killing”, rifacimento di una serie danese; ma prima aveva avuto un ruolo in “Millennium, uomini che odiano le donne” rifacimento del film svedese e poi è protagonista dell’ultimo “Robocop” rifacimento dell’originale del 1987. Di rifacimento in rifacimento Kinnaman finalmente ha potuto disegnare un personaggio tutto suo in questo film che sembra essere il primo di una serie.

Gli altri della squadra suicida sono: El Diablo, tormentato personaggio pirico tipo La Torcia dei Fantastici Quattro, interpreto da Jay Hernandez, mentre Jai Courtney interpreta Captain Boomerang, un campagnolo australiano che impugna boomerang tecnologici, che risulta il personaggio meno riuscito e con minor spessore per il quale l’attore fa tutte le smorfie possibili per dargli un carattere che non ha per difetto di sceneggiatura. Completano la squadra Killer Croc, feroce ma non troppo ibrido umano-coccodrillo sotto la cui spessa pelle si nasconde il nero Adewale Akinnuoye-Agbaje e la giapponese Katana, che ovviamente si fa spazio a colpi di katana, la spada giapponese che intrappola le anime di coloro che uccide, e poiché con quella stessa lama gli è stato ucciso il marito ogni tanto la poveretta ci parla per parlare all’anima dell’amato: l’interprete è Karen Fukuhara e a questo punto siamo sul limite ultimo del ridicolo, ridicolo che viene sfiorato anche, purtroppo, nell’ovvio pirotecnissimo finale, ma si sa che stiamo assistendo a una favola. Nel cast Ike Barinholtz come divertito e cinica canaglia guardia carceraria; Adam Beach, attore di origine pellerossa che ha avuto ruoli di rilievo in cinema e tv e che qui si sacrifica nel ruolo della canaglia meta-umana che subito tenta di disertare e viene ucciso a scopo dimostrativo e intimidatorio; Scott Eastwood, figlio di Clint, come capitano dell’esercito. E’ accreditato nel film anche Ben Affleck che intravediamo appena in un flash-back, irriconoscibile e con la barba sfatta di un paio di giorni sotto la maschera di Batman sopravvissuto allo scontro recente in cui Superman ci ha lasciato le penne e la calzamaglia. Batman ha sempre flirtato col suo lato oscuro… ma addirittura smettere di radersi!

Nell’insieme, per gli amanti del genere, il film è piacevolissimo anche per l’attenzione all’estetica fatta di colori acidi e fosforescenti che risaltano nel buio e nel grigiore della (meta)realtà, in sintonia con i titoli di coda che vanno visti tutti fino in fondo perché subito dopo c’è un altro pezzo di film che introduce il prossimo della serie. E c’è da dire che il film è tutta farina del sacco di David Ayer che lo ha scritto e diretto, apparentemente senza collaboratori e intermediari, e che davvero ha il merito di aver creato un mondo immaginario tutto suo, difetti compresi.

“The Wolf of Wall Street” e “Dallas Buyers Club” – due storie vere in corsa per l’Oscar

Entrambi nella categoria Miglior Film, Migliore Attore Protagonista e Non Protagonista. Ma io ho la sensazione che, nonostante “The Wolf of Wall Street” sia candidato anche per la miglior regia di Martin Scorsese, resterà a bocca asciutta.

Entrambi i film sono stati fortemente voluti dai protagonisti e tratti dai libri che personaggi reali hanno scritto sulle loro (dis)avventure. In entrambi interpretazioni straordinarie ma, da spettatore comune benché attento, mi è arrivato il messaggio che il lavoro di DiCaprio sia ego-centrico (come egocentrico è il personaggio) mentre l’impegno di McConaughey è tutto rivolto all’esterno, a veicolare l’impegno di un personaggio che, partendo da se stesso e dal suo dramma personale, è diventato il portavoce di tutta una comunità, quel Dallas Buyers Club, appunto, che ha fondato per aggirare le leggi sulla distribuzione di farmaci: bastava iscriversi al club versando una consistente quota associativa per avere “gratis”, e di fatto di contrabbando, i prodotti medicinali ancora sperimentali per la cura dell’Aids. Si era sul finire degli anni ’80, Rock Hudson era appena morto con l’infamia postuma della sua venefica omosessualità, e l’eterissimo omofobo Ron Woodroof – interpretato da un Matthew McConaughey che finalmente intorno ai quaranta smette i panni del bello da copertina e compare nell’apertura del film già magrissimo e visibilmente malato – scopre appunto di avere un mese di vita. Attraverso un percorso di conoscenza e di presa di coscienza mette su l’avventura della sua vita, della vita che gli rimane, e che nonostante la “condanna” si protrarrà ancora alcuni anni, attraverso la ricerca e la distribuzione di farmaci alternativi famigerato AZT ma ancora illegali. In questa sua impresa di auto-salvezza, anche morale e umana, coopta un travestito conosciuto in ospedale, anche lui malato oltre che tossicomane, interpretato da un altro bello in stato di grazia, un Jared Leto perfetto col suo faccino molto femminile che nella vita reale spesso ricopre con un barbone da sciupafemmine: ed è la candidatura come Non Protagonista.

“The Wolf of Wall Street” ha ai miei occhi solo il merito della regia di Scorsese che confeziona un film di tre ore (di orologio) tutto su DiCaprio che, pur non annoiando mai, alla fine mi sono detto: ma che me ne importa a me di questo stronzo che frega i risparmi ai poveri cristi passando da un’orgia all’altra e scivolando sulle piste di cocaina come sull’ottovolante del lunapark. Il personaggio è negativo e non lo nasconde, anzi se ne compiace. DiCaprio è molto bravo ma anche lui si compiace nel compiacimento del suo personaggio e peccato per lui che non gli abbiamo neanche riconosciuto la candidatura all’Oscar nel 2011 per la sua interpretazione (quella sì davvero straordinaria) di “J. Edgar” sulla vita del primo e controverso direttore della Cia, Hoover: un’occasione davvero mancata e Leonardo è ancora alla ricerca del premio perduto. Ma detto fra noi questo film potrebbe essere accorciato di un’ora e nessuno si perderebbe nella trama dato che si ripete sempre uguale: è una storia che probabilmente ha un senso per il pubblico americano che lo scorso decennio ha assistito e patito grossi scandali a Wall Street, ma per lo spettatore medio italiano, che tutt’al più investe e in Bot e Cct, rimane uno spettacolo pirotecnico, fine a se stesso, e neanche tanto divertente: un veicolo per un Oscar che quasi sicuramente non arriverà. Altro discorso per il sodale del Lupo di Wall Street, una spalla-amico-complice interpretato da Jonah Hill che, passando dai film demenziali per teen-ager, è arrivato al cinema mainstreem dove subito si procura candidature agli Oscar: questa del 2014 appunto e l’altra del 2011 dove era la spalla di Brad Pitt in “L’Arte di Vincere”, uno di quei film sul baseball che qui in Italia hanno sempre scarso pubblico. E anche se la mia simpatia rimane per il travestito di Jared Leto penso che la sua interpretazione in questo film potrebbe essere davvero vincente.

Per dovere di cronaca devo ricordare gli altri candidati nelle due categorie: come Migliore Attore Protagonista ci sono il quotatissimo Christian Bale per “American Hustle”, il nero inglese Chiwetel Ejiofor per “12 anni schiavo” che potrebbe essere la sorpresa dell’anno nonostante sia già andato a bocca asciutta al Golden Globe vinto proprio da DiCaprio, e il vecchio caratterista Bruce Dern per “Nebraska”, un outsider che proprio per la sua età riceverebbe una sorta di riconoscimento alla carriera, ma ci credo poco. Io punto su Matthew McConaughey e domani sera vedremo.

E per finire: ho messo insieme questi due film perché, oltre a essere entrambi tratti da storie vere ed essere entrambi favoriti, ritroviamo entrambi i protagonisti, Leonardo DiCaprio e Matthew McConaughey, confrontarsi in una gustosa scena all’inizio di “The Wolf of Wall Street” dove l’ancor giovane lupo riceve i cinici insegnamenti del più anziano squalo di Wall Street, e anche in quella scena Matthew batte Leonardo 1 a 0.