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Audace colpo dei soliti ignoti

1959, l’anno successivo al clamoroso successo di “I soliti ignoti” è già pronto il sequel perché il ferro va battuto finché è caldo. Mario Monicelli lascia perché già impegnato sui suoi prossimi due progetti: il documentario “Lettere dei condannati a morte” sulla Resistenza Antifascista in contemporanea col suo prossimo capolavoro “La grande guerra” dove con un salto all’indietro scavalca la Seconda Guerra Mondiale per tornare a raccontare la Prima sfrondando i ricordi da sentimentali idealismi per raccontarne le miserie, un misto di neo-realismo e commedia amara, quella commedia all’italiana che aveva contribuito a fondare l’anno prima proprio con “I soliti ignoti”.

Garrone, Manfredi, Gassman, Murgia, Salvatori, Ludovisi

Per l’audace colpo il soggetto è sempre di Age & Scarpelli che stavolta scrivono il film col nuovo regista Nanni Loy, il quale è alla sua prima regia in solitaria dopo aver co-diretto due film con Gianni Puccini, il brillante “Parola di ladro” col ladro gentiluomo Gabriele Ferzetti e “Il marito” film costruito intorno ad Alberto Sordi; Puccini fu un autore attivo con dieci film in dieci anni, principalmente ricordato per il sul ultimo lavoro “I sette fratelli Cervi”. Il breve curriculum di Loy, diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia e già assistente di bei nomi come Goffredo Alessandrini, Luigi Zampa e Augusto Genina, con quei due film brillanti si era messo in luce e parve al produttore Franco Cristaldi e a duo Age & Scarpelli un nome su cui puntare e Nanni Loy si coinvolse anche nella scrittura della sceneggiatura poiché era ciò che aveva fatto fino a quel momento. Il film che ne viene fuori ha un ritmo più veloce e maggiore freschezza accantonando le amarezze dello stile monicelliano e scampando il pericolo del già-visto sempre in agguato nei sequel. Er Pantera, il personaggio di Vittorio Gassman che dal precedente film uscì vincente (ai Nastri d’Argento) vincendo soprattutto la scommessa sulla sua non ancora sperimentata comicità, acquista un po’ più spazio sugli altri spianando la strada al Gassman che si farà conoscere come Mattatore sia in tv che al cinema nel biennio 1959-1960.

L’azione si sposta da Roma a Milano dove il disastrato gruppetto dei malviventi viene cooptato da Virgilio il milanese per rapinare il furgone che trasporta gli incassi del Totocalcio: ovviamente non tutto va a segno come dovrebbe e contrattempi e disavventure sono sempre dietro l’angolo, ma c’è di nuovo rispetto al primo film che stavolta il colpo va a segno – ma poi tutti rinunciano al bottino perché in fondo sono degli onesti fregnoni (romanesco derivato da fregna, che volgarmente è la vagina; fregnone sta dunque per mammone, ragazzo o uomo ancora attaccato alla fregna di mamma, dunque stupido, minchione).

L’insieme degli interpreti è sempre al meglio con l’ingresso in batteria di Nino Manfredi col personaggio di Ugo piede amaro, chissà forse inizialmente pensato per Ugo Tognazzi probabilmente impossibilitato per i troppi impegni: in quel 1959 uscì con ben dodici film; numeri che oggi sembrano impossibili da replicare ma che all’epoca era consueti per i nomi di punta in una cinematografia al massimo della sua attività: la televisione non era ancora entrata nelle case di tutti gli italiani. Entra Manfredi perché esce Marcello Mastroianni senza colpo ferire: nessun riferimento al suo personaggio, mentre invece viene ricordato il Dante Cruciani di Totò, anch’egli non più della partita.

Gianni Bonagura e Vicky Ludovisi

Entra a gamba tesa il sedicente gangster milanese di Riccardo Garrone che si porta dietro la pupa bionda Floriana, svampita quanto basta ma soprattutto sexy e disinibita che introduce nel pacchetto un che di pruriginoso che supera senza problemi i visti dei censori, evidentemente più preoccupati dagli aspetti politici e religiosi che dalle grazie di ragazzine discinte: Vicky Ludovisi ha appena quindici anni e con la sua disinibita e fresca naturalezza ha stracciato tante altre concorrenti ai provini fatti dal regista, imponendosi come nuovo elemento femminile della banda sempre formata da Renato Salvatori che continua ad amoreggiare con Claudia Cardinale sempre tenuta sotto chiave dal geloso fratello Ferribotte di Tiberio Murgia; e completa la gang il sempre stralunato e affamato Capannelle di Carlo Pisacane. Del precedente cast dei generici tornano il commissario Mario Feliciani e la “mamma” Elena Fabrizi dell’orfanotrofio dove è cresciuto Mario-Renato Salvatori. Nel ruolo di un libraio c’è il non ancora noto Gastone Moschin già ottimo attore teatrale che dopo tanti poliziotteschi e commedie varie sarà uno dei protagonisti di “Amici miei”, altro capolavoro di Monicelli. Un altro ottimo interprete teatrale che nel cinema non ha avuto altrettanta fortuna è Gianni Bonagura qui nell’importante ruolo del ragioniere del Totocalcio che si fa talpa e complice dell’audace colpo.

Generalmente apprezzato dalla critica il film non accede a nessun premio ma al botteghino incalza da vicino l’exploit dell’originale. Passeranno 25 anni prima che la nostalgia, e la crisi del cinema, faranno mettere in cantiere il secondo sequel: “I soliti ignoti vent’anni dopo”. Anche questo film è disponibile su RaiPlay e YouTube.

Il mattatore – nel centenario della nascita di Vittorio Gassman

Il film completo

Il primo settembre di cento anni fa nasceva Vittorio Gassman, e qui che parlo di cinema il modo migliore per ricordarlo è questo “Il mattatore”, definizione che gli rimase addosso e che egli sapientemente coltivò. Titolo che era nato dal programma televisivo omonimo in dieci puntate, disponibili su RaiPlay, diretto da Daniele D’Anza con musiche di Fiorenzo Carpi, che allora andò in onda sull’unico canale Rai che era chiamato programma nazionale; produzione di arte varia con sketch che andavano dal teatro al varietà passando per le imitazioni e le parodie e le improvvisazioni, con incursioni nella politica sapientemente filtrate dalla censura governativa; scenette in cui il mattatore era sempre al centro della scena accompagnandosi a colleghi come lui di formazione teatrale, quali i coniugi Paolo Ferrari e Marina Bonfigli e i caratteristi Carlo Romano ed Enrico Viarisio; una sorta di contenitore che era stato ideato dal drammaturgo e sceneggiatore Federico Zardi che ne firmava le puntate assieme allo stesso Gassman, e solo in un paio di occasioni collaborarono il giornalista Indro Montanelli e un altro drammaturgo e sceneggiatore di successo, Guido Rocca, attento osservatore dei costumi la cui prematura morte, a 33 anni, interruppe la sua proficua produzione. L’Enciclopedia della Televisione così definisce il prodotto: “L’impossibilità di incasellare il programma in un genere preciso ha spinto la RAI a definire questa sua pregevole produzione come ‘spettacolo misto’, fluida convivenza di una pluralità di generi e di registri”.

Vittorio Gassman e Dino Risi

Dal programma Rai nacque immediatamente l’idea del film, anche perché all’epoca la televisione era un elettrodomestico di lusso che pochi si potevano permettere, proprio come ci ricorda un veloce dialogo all’inizio del film in cui un vicino di casa invita il mattatore, che nel film si chiama Gerardo Latini, ad andare da lui, con la sua signora, a vedere la televisione: questo anche a informare lo spettatore dell’epoca che il protagonista non si può permettere il lussuoso apparecchio. Dunque, chi non aveva potuto vedere il Mattatore in tivù ora lo poteva vedere al cinematografo, che dato il rapporto costo-beneficio era assai più popolare di quanto lo sia oggi.

Il mattatore che rifà Hitler

Va da sé che il film, pur mantenendo lo spunto degli sketch, si articola con una diversa narrativa: il contenitore è lo stesso protagonista che fuori campo racconta di sé e ci introduce ai vari momenti delle sue avventure, tutte truffaldine, legate al mondo dei simpatici truffatori di quell’Italia che dal dopoguerra si stava preparando al boom economico degli anni ’60. Come recitano i titoli di testa il film nasce “da un racconto di Age & Scarpelli su spunto di Sergio Pugliese, un modo macchinoso per mettere in evidenza i nomi dei tre sceneggiatori sugli altri che contribuirono alla scrittura, ovvero Sandro Continenza, Ettore Scola e Ruggero Maccari, altre firme di lusso. Dirige Dino Risi, quarantenne già di successo che un paio d’anni dopo dirigerà ancora Gassman nell’exploit “Il sorpasso”. Peppino De Filippo fa da spalla di lusso al mattatore e coprotagonista femminile è la bruna Anna Maria Ferrero nel ruolo della moglie, che però sia nei titoli che nel cartellone viene messa dopo la bionda Dorian Gray che ha un ruolo di secondo piano ma evidentemente aderenze di primo piano con la produzione di Mario Cecchi Gori. Altri interpreti di notevole apporto artistico sono Mario Carotenuto, Alberto Bonucci, Fosco Giachetti, Linda Sini, Aldo Bufi Landi, Armando Bandini, Luigi Pavese, Mario Scaccia, Fanfulla, in un piccolo ruolo Enzo Cerusico e come chitarrista del night Fred Bongusto.

Con Peppino De Filippo nella scena in galera

Essendo il protagonista un truffatore il film è una sequela di truffe tanto ben congegnate quanto paradossali e – oggi che siamo abituati a ben altre truffe che ci entrano in casa via telefono e computer – anche datate e ingenue, benché in linea con lo spirito dell’italiano medio la cui predisposizione creativa alla truffa, o per lo meno al raggiro e nel meno peggio dei casi alla fanfaronata, sembra essere inscritta nel DNA, e non a caso il mattatore televisivo è stato trasformato in un truffatore per essere raccontato alle grandi platee cinematografiche. Detto questo la trama è ben congegnata e gli stessi truffatori vengono truffati in una realtà ellittica che sembra non avere alternative: la specchiata onestà non è qualità italiana. Appartengono al gusto dell’epoca anche le figure femminili: la moglie è un’ex soubrette di varietà che, contrariamente alla diffusa narrativa, è una ragazza di integerrimi principi che canta alle rumorose platee maschili che lei è in cerca di un uomo da sposare per mettere su famiglia: il massimo delle aspirazioni femminili allora consentite alle femmine oneste. L’altra donna è al contrario una malvivente e fa la truffatrice di professione lasciando intendere che sia anche di larghe vedute su altre possibilità di guadagno. Nel complesso è sempre un piacere rivedere un Vittorio Gassman che è al meglio delle sue prestazioni ancorché in un prodotto di genere dove non sono concesse sfumature interpretative e tuttavia riesce sempre credibile e fluido anche nelle interpretazioni più bizzarre e grottesche: lo vediamo imitare il divo Amedeo Nazzari col celebre “chi non beve con me peste lo colga” da “La cena delle beffe” (1942, regia di Alessandro Blasetti) che evidentemente il pubblico ancora ricorda a quasi vent’anni di distanza, e parodiare en travesti Greta Garbo, alludendo neanche troppo velatamente al suo aspetto mascolino e al presunto lesbismo: basta questo per andare a (ri)vedere il film.

Con Anna Maria Ferrero