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XXX FILM EROTICI DI EXPLOITATION E COMMEDIE SEXY – 1

L’articolo contiene argomenti sensibili
e può urtare la suscettibilità di qualcuno.

Tutto quello che nel cinema ruota intorno al sesso viene sempre guardato con molta attenzione: o perché si è dei cultori del genere o perché è considerato spazzatura, addirittura con l’etichetta di immorale laddove il giudizio non è strettamente cinematografico ma intimamente personale. E partendo dal personale tento un’analisi dei generi, dove pur restando nel più ristretto ambito italiano sarà necessario uno sguardo all’estero.

Tanto per essere chiari e professionali: per film erotico si intende comunemente un film che può suscitare eccitazione, sia fisica che anche solo mentale, e benché mostri nudità e simuli rapporti sessuali si distingue dal pornografico il cui fine è mostrare il reale atto sessuale nel dettaglio senza alcuna forma di censura né pretesa artistica; nel film erotico d’autore, poi, c’è un regista che punta sia all’estetica che al messaggio: indagine sociale o anche opinione politica di rottura con le tradizioni; il film erotico si sviluppa in diversi sottogeneri: dramma, thriller, di formazione.

Il film erotico nasce insieme al cinema dei primordi così come erotismo e pornografia esistevano nella genitrice fotografia: erano cortometraggi destinati alla diffusione clandestina. Per individuare i primi film erotici d’autore bisogna andare alla fine degli anni ’20 quando il boemo Georg Wilhelm Pabst nel 1929 girò in Germania due film con la statunitense Louise Brooks che preferì alla tedesca Marlene Dietrich per il lato oscuro della sua anima: Louise a 9 anni era stata violentata da un vicino di casa e la madre addirittura la rimproverò accusandola di aver provocato il “pover’uomo”; conseguentemente Louise crebbe incapace di provare amore e con un temperamento chiuso e problematico: “Per me, gli uomini carini, gentili, non sono abbastanza – ebbe a dichiarare – deve sempre esserci un elemento di dominazione nel rapporto. Pabst e Brooks girarono insieme “Il vaso di Pandora” e Diario di una donna perduta” basati su testi teatrali di Frank Wedekind dove l’attrice fu Lulù, figura che rimarrà nell’immaginario erotico collettivo; inoltre nel film vengono raccontati con estrema modernità gli impulsi sessuali, mettendo in scena una delle prime lesbiche del cinema. Altro film cui far risalire il genere è sempre tedesco, “L’Angelo Azzurro” del 1930 di Josef Von Sternberg con Marlene Dietrich. Per quanto riguarda l’Italia viene comunemente ricordato lo storico “La cena delle beffe” diretto da Alessandro Blasetti dal dramma di Sem Benelli in quanto mostra il primo seno nudo per gentile concessione della diva dell’epoca Clara Calamai che incorse in un anatema pontificio mentre il film fu vietato ai minori di 16 anni; ma il vero primo seno nudo è dell’anno prima in un altro film storico, “La corona di ferro” sempre diretto da Blasetti dove si intravede il seno della giovane e meno nota Vittoria Carpi neanche accreditata nel film in quanto semplice figurante, come sarà il resto della sua breve carriera.

Per trovare altre produzioni specifiche degne dell’etichetta film erotico bisogna andare negli Stati Uniti alla fine degli anni ’50. Il sessuologo Alfred Kinsey aveva pubblicato i suoi controversi saggi per i quali la Corte Suprema determinò, con grande modernità, che sessualità e oscenità non sono sinonimi – dichiarazione mai introiettata abbastanza sia in America che nel resto del mondo sessuofobo e ipocrita. Questo rivoluzionario cambiamento di prospettiva spinse alcuni produttori cinematografici indipendenti e registi sperimentatori a realizzare film a basso costo che creeranno una vera e propria ondata creativa che verrà definita sexploitation, da sex più exploitation, dove per exploitation (di sfruttamento) si intende un genere cinematografico che accantona la ricerca dei valori artistici per portare sullo schermo elementi più forti come l’esibizione esplicita di scene di sesso e di violenza, anche veicolando messaggi politici e sociali, come detto.

L’exploitation avrà diversi sottogeneri, come il sexploitation appunto, e la blaxploitation (da black +) girati da neri per neri e che raccontavano miserie quotidiane, droga, delinquenza e prostituzione; sottogenere dalla cui costola nacque il woman in prison movie, dove carcerate nere venivano torturate e stuprate. Ci fu poi la shoxploitation (da shock +) il cui intento era terrorizzare il pubblico con argomenti ritenuti tabù in film girati con estremo realismo come violenza, stupro, incesto e zoofilia; genere che a sua volta degenererà nello snuff movie (snuff, spegnere lentamente) che riprendono vere torture con le vittime che muoiono realmente: in pratica omicidi filmati momento per momento; con l’avvento degli smartphone e dei video faidate si è semplificata la pratica e la diffusione online di questi omicidi con tortura, anche in diretta streaming sul darkweb, e con un’ulteriore degenerazione nella pedo pornografia.

Altro sottogenere è il bikexploitation dedicato ai motociclisti il cui film capostipite sembra essere “Il selvaggio” del 1953 con Marlon Brando diretto dall’ungherese naturalizzato americano László Benedek. Altro sottogenere è il nazisploitation che si concentra su storie con nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale, in cui generalmente ci sono donne prigioniere che subiscono violenze e crudeltà e il cui titolo più rappresentativo è “Ilsa, la belva delle SS” diretto da Don Edmonds nel 1975.

Ed ecco un elenco più o meno completo di tutte le exploitation immaginate nel fantasioso mondo cinematografico: Bruceploitation che cercavano di lucrare dalla recente morte di Bruce Lee, spesso con protagonisti sosia del celebre attore, mentre con la discoploitation di fine anni ’70 si tentò di lucrare sul successo di “La Febbre del Sabato Sera”. Con la Christploitation si ebbero e ancora si hanno film con forti connotazioni religiose cristiane che al contrario dei classici film a tema religioso sono filmetti in cui la religione è trattata grossolanamente e spesso con involontarie derive comiche, però quasi sempre con intento didascalico e moralistico. I teensploitation sono film interpretati da attori adolescenti per un pubblico adolescente che in genere trattano argomenti come droga, sesso, alcol, violenza e criminalità. Gli hippiesploitation furono film realizzati fra gli anni ’60 e ’70 incentrati sulla controcultura hippie e mostrano in maniera sensazionalistica stereotipi come l’uso di allucinogeni, marijuana e LSD, l’amore libero e tutto l’ambaradan psichedelico. I redsploitation sono film che hanno come protagonisti personaggi nativi americani quasi sempre però interpretati da attori bianchi truccati da indiani che di solito cercano vendetta sui loro aguzzini bianchi, quelli veri, dopo avere subito una lunga serie di brutali abusi. Non possono mancare i film con le monache in circostanze pericolose o erotiche, i nunsploitation; e i nani nelle midgetsploitation, film con persone affette da nanismo e altre simili patologie messe in genere in situazioni grottesche dove la loro particolarità fisica diventa l’argomento principale del film, come i freak show dei tempi precedenti; genere cui il controcorrente tedesco Werner Herzog dedicò il suo secondo lungometraggio nel 1970, “Anche i nani hanno cominciato da piccoli” con cui già fa tagliente critica sociale.

E ci sono anche i gaysplotation, ogni spiegazione è superflua, e i dyxplotation che sono con film con lesbiche. In Italia abbiamo avuto la Spencerhillsplotation a ricasco del successo della coppia Bud Spencer e Terence Hill, ideona venuta nientemeno che al serioso Mauro Bolognini e che ebbe protagonisti due pseudo sosia comunemente chiamati Simone e Matteo ma che rispondevano ai nomi di Paul L. Smith, nome reale di un attore americano, e Michael Coby che invece è il nome americano dell’italiano Antonio Cantafora: i due furono protagonisti di cinque film in un triennio in cui la coppia originale si era scoppiata per recitare separatamente in altro genere di film. Sempre da noi ci fu il Djangosploitation sulla scia del successo del film omonimo di Sergio Corbucci. E per concludere le esploitescion italiane abbiamo anche avuto l’etruriansplotation che erano film horror che avevano nella storia antichi manufatti etruschi. Abbiamo anche avuto la corrente del film giallo o thriller (oggi classificati senza suffisso) con contenuto erotico e/o violento.

Un genere molto frequentato nella nostra cinematografia di sfruttamento fu il mondo film, sorta di documentari shock che solleticavano le curiosità più basse con argomenti sensazionali, sensazionalistici e sensazionalizzati, che non si potevano certo trovare fra i classici documentari informativi di Mamma Rai; erano film che raccontavano argomenti tabù nella nostra cultura come le abitudini sessuali e i nudi dei popoli tribali, e le scene di violenza di certe iniziazioni rituali, o i rituali di morte, con riprese abbastanza realistiche da documentario appunto, anche se in molti casi la finzione filmica è evidente. Fu un genere assimilabile all’americano shoxploitation per la sua dichiarata intenzione di scioccare, e nonostante ciò ci furono dei mondo film di buona qualità che veicolavano una certa dose di materiale educativo e informativo. Sul finire degli anni ’70 da noi il genere andò ad estinguersi scivolando nel cannibal movie, etichetta che si spiega da sé, film che mettevano insieme avventura, splatter, erotismo e una reale violenza su animali che li fa accostare agli snuff movie; c’era però la morale finale: i protagonisti cosiddetti civili si rivelavano moralmente abietti e sul piano morale peggio degli stessi cannibali che se non altro erano selvaggi.

A tutti questi sottogeneri ne vanno aggiunti pochi altri ancora in produzione, anche con attori di rango che non hanno il suffisso exploitation ma rientrano nel pacchetto: rape and revenge con la protagonista (ma ce ne sono anche con personaggi maschili) che subisce prima una violenza sessuale, o una gravissima umiliazione o persecuzione come nel caso di protagonista uomo, con conseguente vendetta: è un genere di film di serie B che prendono smalto da attori di serie A pescati fra i 50-60enni che alternano questo tipo di produzioni ad altre di qualità superiore; fra questi attori ci sono sicuramente Denzel Washington, Bruce Willis, Nicholas Cage e Harrison Ford, con personaggi vittime di complotti, con le figlie o le mogli rapite, le famiglie sterminate, le carriere distrutte. E poi ci sono gli slasher con protagonista uno psicopatico omicida spesso mascherato che dà la caccia a un gruppo di persone, spesso adolescenti, meglio se adolescenti cattivacci che bevono e si drogano e non rispettano le raccomandazioni di mamma e papà, e meglio se in spazi circoscritti per facilitare la caccia e il cruento sterminio: la morale? fa’ il bravo bambino!

CONTINUA NEL PROSSIMO ARTICOLO CON UNO SGUARDO APPROFONDITO
AL NOSTRO CINEMA EROTICO E ALLA COMMEDIA SEXY ALL’ITALIANA

Blade Runner 2049, 30 anni invano

L’originale è del 1982 ed è ambientato nel 2019, praticamente ci siamo, ma per fortuna Los Angeles, e il mondo intero, non sono ridotti a quello sfacelo, ancora. Ridley Scott tre anni prima, nel 1979, ci aveva già sconvolti con Alien, e altri due anni prima, nel 1977, era cominciata la saga di Guerre Stellari di George Lucas: per noi, giovani di quell’epoca, è stata una vera rivoluzione cinematografica: la tecnologia ha fatto un salto qualitativo che non ha più avuto eguali, solo sviluppi, e noi siamo stati coevi e spettatori di eventi cinematografici eccezionali.

Oggi quel senso di meraviglia è difficile da ripetere. Noi ex giovani siamo già vaccinati e i giovani d’oggi – quant’è vecchio parlare così! – non hanno più il “senso della meraviglia” perché ci vivono dentro senza consapevolezza: hanno nelle mani una tecnologia che noi abbiamo visto nascere e svilupparsi, dalla macchina per scrivere con le copie in carta carbone e dal telefono attaccato al muro siamo passati, per gradi, allo smartphone sempre connesso col mondo intero. Connessione che ormai è dipendenza e ogni tot minuti questi ragazzi devono controllare i like su Facebook e le chat su Whatsapp col risultato che la sala buia del cinema qua e là si accende di fuochi fatui come emanazione reale della finzione sullo schermo.

Riflessione nostalgica a parte il film odierno è un topolino partorito dall’elefante del passato. Per decenni si è parlato di un seguito ma i seguiti di successo devono essere fatti a tambur battente, come dimostrano gli ottimi seguiti di Alien, ma tant’è. Visivamente c’è continuità, l’ambientazione è sempre quella ma presto scopriamo che c’è, ovviamente, del nuovo: la tecnologia odierna non è la nostra del 1982 e poiché nel film siamo trent’anni più avanti il nuovo non delude, è un immaginario visivo all’altezza dell’impegno.

Ma la storia delude: nel racconto originale di Philip K. Dick “Il Cacciatore di Androidi” Blade Runner, traducibile come Lame Volanti, è il corpo speciale di agenti che cacciano e “ritirano” gli androidi ribelli; protagonista era l’agente Deckard interpretato da Harrison Ford che fresco del successo di Guerre Stellari ha sbaragliato nomi del calibro di Dustin Hoffman, Gene Hackman, Sean Connery, Jack Nicholson, Paul Newman, Clint Eastwood, Tommy Lee Jones, Arnold Schwarzenegger, Al Pacino e Burt Reynolds. Gli android antagonisti erano Brion James, Joanna Cassidy, Daryl Hannah e l’olandese Rutger Hauer di cui ancora ricordiamo il monologo finale: “Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi…”

Il Blade Runner attuale è interpretato da Ryan Gosling e sappiamo subito che è un androide di nuova generazione, ubbidiente e affidabile, a caccia dei vecchi modelli ribelli ancora in circolazione, e qui subito si nota un refuso: i vecchi androidi erano programmati per durare 4 anni, dunque come è possibile che ce ne siano ancora in giro 30 dopo? Altro refuso: alla fine del primo film restava il forte dubbio che lo stesso Deckard fosse un androide e negli anni successivi Ridley Scott ne ha dato conferma, ma nel film odierno ritroviamo Deckard invecchiato e senza più traccia di sospetto sulla sua natura biologica, e meno male che lo ritroviamo nell’ultima mezzora di un film di due ore e mezza in cui si sbadiglia più volte: il plot è quello che è e una volta capito dove va a parare la noia si spalma su tutto il film nonostante le invenzioni visive e tecnologiche. Inoltre non c’è più un degno antagonista e a Hollywood si è passati dalla parità di genere – sempre auspicabile – all’invasione delle donne, e se prima era anche piacevole trovare un’eroina o una cattiva a far patire il protagonista ora è anche troppo noioso vedere Ryan Gosling circondato solo da belle donne in un’insalata di buone e cattive che le fa tutte uguali. Per scarto generazionale si distingue Robin Wright e le altre sono:
Ana de Armas, Sylvia Hoeks, Mackenzie Davis, Carla Juri e la Sean Young del 1982 qui in versione ologramma. I caratteri maschili sono: Edward James Olmos, già collega del protagonista nel primo film, qui in una casa di riposo come sempre accade a chi invecchia nei film americani; Dave Bautista, Lennie James e Jared Leto nel ruolo noiosissimo e non nuovissimo di scienziato-filosofo. Mi piace segnalare che sempre in ologramma ritroviamo Elvis Presley, Frank Sinatra e in un solo secondo anche Marilyn Monroe. Ridley Scott produce e dirige l’ottimo Denis Villeneuve già candidato all’Oscar per un altro fantascientifico: Arrival.

In sintesi: si poteva fare a meno di questo sequel che in ogni caso va visto per dovere di cronaca senza aspettarsi salti di qualità o nuove rivelazioni. Sorprese nulla, meraviglia poca, sbadigli tanti.