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Ready Player One, l’uovo di pasqua virtuale

Il titolo riprende la schermata iniziale dei primi videogiochi degli ormai lontani anni ’80, dunque siamo in pieno nel mondo dei nerd, ma non solo, perché l’intricatissima trama è anche materia per cinefili, sempre quelli cresciuti negli anni ’80. Il film è tratto da un romanzo di Ernest Cline, che a lungo ha lavorato nel sottobosco informatico, dei nerd appunto, con una sua personale passione per la cultura pop che riversa appieno in questa sua fantasia distopica.

2045. Come in tutti i mondi futuristici, mai ottimisti (chissà perché!), il pianeta Terra è alla frutta, ammesso che in giro ci sia il lusso della frutta fresca: sovrappopolazione, inquinamento, forte divario fra le classi sociali, estremo sfruttamento delle risorse energetiche e degli esseri umani indigenti: una proiezione realistica di quanto stiamo vivendo oggi. E la gente che fa? quello che fa oggi: gioca. Non ci saranno più i gratta-e-vinci statali, né le slot machine mangia pensioni gestite dalla mafia, né tantomeno i web casinò che già creano dipendenza, e il partito politico costruito online è solo il primo passo di quello che sarà: ognuno potrà vestire virtualmente i panni di un ministro, e se vince – vincerà anche nella vita reale. Una volta si beveva per dimenticare, sul finire dello scorso secolo ci si drogava con qualsiasi cosa: la droga odierna, e quella dell’immediato futuro, è il gioco, meglio ancora se gioco di ruolo virtuale dove ognuno può più che sognare, può “essere” qualsiasi/chiunque alterità.

Da questo punto di vista niente di nuovo, abbondano i film sui mondi virtuali e le società futuristiche dove per sopravvivere devi vincere i giochi di ruolo: la trilogia di “Hunger Games”, la trilogia dei “Divergent”, senza dimenticare la trilogia di “Matrix” e riandando indietro nel tempo: “Rollerball” del 1975 remaked nel 2002 e “Tron” del 1982 con un sequel nel 2010.

Oasis, il mondo qui immaginato da Cline, è praticamente Second Life, la realtà virtuale creata all’inizio di questo nuovo secolo e la cui immediata diffusione ha riempito per un po’ giornali e telegiornali, creando dipendenze, rotture sentimentali e guai familiari; oggi, pur continuando ad esistere, si è ridimensionato. Ma anche lì come in Oasis si possono fare soldi virtuali che possono diventare reali, se sei davvero bravo. Detto questo è inutile parlare della trama, che è davvero complessa e tutta da scoprire insieme ai tanti rimandi per veri intenditori dei videogiochi e dell’immaginario cinematografico pop, che va da “Shining” e “La Febbre del Sabato Sera”, i film più ampiamente citati e riconoscibili, a “Ritorno al Futuro”, “King Kong”, “Jurassic Park” dello stesso Steven Spielberg che firma questa regia e il quale, con grande senso della misura, ha preteso che venissero tolti, ove possibile, tutti i riferimenti ai suoi film che la sceneggiatura, co-firmata dallo stesso romanziere, e gli autori delle creature virtuali, hanno disseminato dappertutto: bisognerebbe rivedere il film a casa, in slow motion, per scoprire tutti gli omaggi a film e personaggi dell’ultimo trentennio: c’è Chucky la bambola assassina, ma anche il Joker con Harley Quinn, come anche Lara Croft, un Gremlin e tantissimi altri.

Per i non avvezzi ai linguaggi tecnici da nerd c’è da spiegare: “easter egg”, ovvero uovo di pasqua, è una sorpresa che i creatori dei software nascondono all’interno del gioco, e che qui è l’ambitissimo premio finale; il “cubo di Zemeckis” non è altro che il cubo puzzle di Rubik degli anni ’80, rinominato col nome di Robert Zemeckis non si sa perché: forse un omaggio a un altro degli immaginifici registi citati nel film (e a cui in un primo tempo era stata offerta la regia) o forse, e qui mi sono fatto ricercatore di indizi come il protagonista del film, “Zemeckis” è una distorsione pop di Zemdegs, dall’australiano Feliks Zemdegs detentore di 7 record mondiali per la soluzione del diabolico cubo. Comunque sia sono cose da addetti ai lavori.

Per noi spettatori il film scorre veloce e il fatto che non ci dia tempo di pensare a tutti i riferimenti fa parte del gioco, ma è un gioco, questo gioco virtuale, di cui siamo solo spettatori passivi mentre il film racconta quanto e come siano attivi i protagonisti nel loro mondo virtuale: uno specchio che ci rimanda un falso messaggio. Che poi la sceneggiatura sia arrivata al maestro Steven Spielberg dopo diversi passaggi di mani, non è che un bene, anche se in qualche modo si intuisce che questo film per lui è un prodotto e non una delle sue creature. Quello che avrebbe potuto essere l’ennesimo film fracassone – ed è anche questo ma non solo – diventa un divertissement più o meno raffinato, tanto quanto raffinato è il gusto dello spettatore, e in questa linea compone il suo cast.

Padre nobile e deus ex machina è Mark Rylance, Oscar in “Il Ponte delle Spie” e poi “Grande Gigante Gentile”: c’è dunque da pensare che l’eccellente attore inglese sia diventato il suo nuovo alter ego dopo il Richard Dreyfuss degli anni ’70, “Lo Squalo” “Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo” e “Always” e l’Harrison Ford dagli anni ’80 a fine millennio con tutti gli “Indiana Jones”. Il protagonista giovane, che come quasi tutti si alterna dal vero al virtuale, è Tye Sheridan, mentre il cattivo di turno è Ben Mendelsohn, un eccellente caratterista con una lunga carriera che qui se la gode alla grande; fra i buoni c’è un altro caratterista inglese, Simon Pegg, rilanciato nel cinema statunitense come parte dell’equipaggio di “Star Trek” e braccio destro di Tom Cruise in “Mission Impossible”; la buona ma “bella non troppo” – con un occhio attento alle tante nerd al femminile – è Olivia Cooke e completano la squadra dei nerd combattenti Lena Waithe, Philip Zhao e Win Morisaki. La bella e cattiva è Hannah John-Kamen e Il comico T.J. Miller è accreditato come voce del personaggio virtuale i-R0k, ma poiché non lo vediamo mai dal vero citiamo il suo doppiatore Marco Vivio.

In sala molta gioventù, ma non quella dei film fracassoni coi super eroi belli e fashion, bensì quelli coi brufoli e gli occhiali, i nerd appunto, con le loro moltiplicazioni all’ennesima potenza dei trenta-quarantenni. E poi, in ordine sparso, i battitori liberi come me. Il divertimento è assicurato esclusivamente a chi ama il genere.