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Alita, Oscar al servizio di un Manga da Oscar

E’ davvero solo un giocattolone fantastico? E’ quello che dicono due giovani mamme che hanno accompagnato i figli preadolescenti. E’ un giocattolone fantastico ma a mio avviso senza il solo e senza quel tono di sufficienza, e anzi se devo mettere un accento tonale trascrivo in grassetto l’aggettivo fantastico. Basti ricordare che uno dei primi capolavori cinematografici è “Viaggio nella Luna” di Georges Méliès, il primo giocattolone fantastico della storia del cinema da cui discende tutto il cinema fantasy dei nostri tempi. Quindi niente sufficienza ma molto rispetto per il genere.

Alita è un manga giapponese dell’autore Yukito Kishiro e devo ammettere che non sono un cultore del genere: si è diffuso in Italia negli anni ’90 e io all’epoca non pensavo più ai fumetti (ahimè!). Poco male, James Cameron (Terminator, Titanic, Avatar…) lo è, e da anni cercava di realizzare questo film per il quale ha finalmente trovato la sua interprete perfetta in Rosa Salazar a cui la computer grafica fa gli occhi più grandi, oggi tipici dei manga giapponesi, ma per il cui capostipite (Kimba il leone bianco) l’autore Osamu Tezuka si è ispirato al “Bambi” di Disney (1942) che poi per “Il Re Leone” si è a sua volta ispirato al manga di Osamu: ritorni e rimandi culturali della creatività. Ma attenzione: Cameron qui è sceneggiatore e produttore e la regia è affidata al Robert Rodriguez pupillo e amico di Quentin Tarantino e regista di film pulp come “Sin City” e “Machete” ma anche di teenager movie come “Spy Kids”: la combinazione perfetta per un manga in film.

In linea con il post-apocalittico tipico di tante creazioni giapponesi che hanno introiettato nel loro immaginario la tragedia dell’atomica, Alita è un cyborg in un futuro distopico la cui ambientazione somiglia a quella di “Blade Runner” ma senza la pioggia. E se il giocattolone fantastico ci fa sognare a occhi aperti – spettacolari le battaglie fra cyborg – non manca lo spessore di una storia che racconta la ricerca di una identità e nella quale non può mancare l’amore, ovviamente fra segreti da svelare e agnizioni finali.

Come mega produzioni passate con supereroi che ha visto nei ruoli di supporto (genitori, zii, amici, nemici…) attori di primissimo piano (ricordiamo Marlon Brando e Gene Hackman nel primo “Superman” del 1978) qui c’è uno schieramento di premi Oscar non da poco: il “cattivo” Christoph Waltz come buono e i “buoni” che qui fanno i cattivi sono Jennifer Connelly e Mahershala Ali. Lui, nello specifico, dopo una lunga carriera cine-tv e l’Oscar come Non Protagonista nel 2017 è ora lanciatissimo: al cinema è anche in “Green Book” già Golden Globe e in corsa per l’Oscar e in televisione è eccellente protagonista della terza serie di “True Detective” in onda su Sky.

Il film è sia adrenalinico che emozionante e il tema della storia è un traffico illecito di parti umane che tanto ricorda la cronaca nera reale. Superlativi i look cattivissimi dei cattivissimi cyborg nei quali si fa fatica a riconoscere gli attori che prestano solo il volto, ritoccatissimo, e a volte solo la voce: Ed Skrein, Michelle Rodriguez (già con James Cameron in “Avatar” e nei due “Machete” con Robert Rodriguez, nessuna parentela e solo omonimia), Jackie Earle Haley è il meno riconoscibile gigantesco Grewishka, il veterano Jeff Fahey con spaventoso quartetto di cani cyborg, Eiza Gonzales, Derek Mears, Leonard Wu. Fra i buoni ci sono: il teenager innamorato Keehan Johnson, l’infermiera Idara Victor, i teppistelli Jorge Lendeborg jr e Lana Condor. In rapidissime inquadrature compaiono anche Kasper Van Dien e Jai Courtney che non è neanche menzionato nei titoli: o i loro personaggi sono stati sacrificati nel montaggio o avranno uno sviluppo nei sequel… eh già, ci saranno dei sequel, il manga è composto da ben 9 libri e il film non ha un vero finale: ci lascia in sospeso con un primo piano sul ghigno del super cattivissimo di cui si è parlato in tutto il film e che nell’inquadratura finale è niente meno che Edward Norton – il quale nel 2008 si era cimentato nel genere co-sceneggiando e interpretando “L’incredibile Hulk” e poi litigando con la produzione che aveva tagliato le scene in cui “recitava” a favore di quelle di azione: nei film seguenti lo ha sostituito Mark Ruffalo che ora fa i soldi con le partecipazioni agli Avengers e gira anche film in cui “recita”. Gente che viene, gente che va… tanto per citare il glorioso film 1932 “Grand Hotel”.