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Tapirulàn – opera prima di Claudia Gerini

Un gran bel debutto quello di Claudia Gerini che si fa regista a coronamento di una brillantissima carriera in cui ha potuto esprimere pienamente il suo talento benché a costo di compromessi.

A 13 anni vinse Miss Teenager, sorta di concorso di bellezza per Lolite spinte sul palco da mamme frustrate, un palcoscenico ad uso e consumo di attempati pedofili – mi si lasci passare la provocazione; quell’anno in giuria c’era Gianni Boncompagni che le mise subito gli occhi addosso e non passerà molto perché i due diventino coppia di fatto, lei ancora minorenne lui di quarant’anni più vecchio; certo, anche se la cosa nell’ambiente fece un po’ di chiacchiere, pubblicamente tutti tacquero, in fondo chi è senza peccato scagli la prima pietra; e poi si sa, da sempre le giovani, ma anche i giovani, arrivano al successo anche passando per le camere da letto e anche sforzandosi di cambiare all’occasione preferenze sessuali.

Solo nel 2017, dopo la morte di lui, lei ha ammesso la relazione in un’intervista al Corriere della Sera: “Capisco che, vista ora e vista da fuori, sembri una relazione scabrosa. Oggi ci arresterebbero, Gianni me lo diceva spesso: ‘Siamo due pazzi’. Ma mi creda: nonostante l’enorme differenza di età, era una relazione alla pari… E non c’era alcun tipo di corruzione, non ho avuto niente in cambio, nulla di materiale.” Sta di fatto che la sua carriera ha avuto degli assist, per usare il gergo sportivo. A quindici anni il suo debutto cinematografico come figlia di Lino Banfi e dopo un altro paio di film secondari a vent’anni c’è la svolta e debutta in tv come conduttrice di un gioco telefonico nel programma Mediaset “Primadonna” ideato da Boncompagni, e poi da lì passa a “Non è la Rai”, dove diva indiscussa sarà un’altra Lolita, Ambra Angiolini di sei anni più giovane della nostra. Parlando degli anni successivi Gerini puntualizza: “Non mi ha aiutato per niente, mi è stato accanto ma non professionalmente. È stato importante per la mia formazione di donna, ma a livello lavorativo zero, non ha aggiunto e non ha tolto niente. ‘Non è la Rai’ l’avrei fatta lo stesso. Vabbè.

A 24 anni arriva la grande occasione per sfondare al cinema facendo coppia con Carlo Verdone nel suo “Viaggi di nozze” dove è stata la Jessica della coppia cult di “O famo strano?”; i due fecero anche coppia fuori dal set, e stavolta lui era più anziano di lei di soli vent’anni; ma era una coppia male assortita e come lei stessa ricorda in un’altra intervista: Mi era venuto a vedere in un piccolo teatro. Avevo fatto il provino per ‘Perdiamoci di vista’, lui era il mio idolo e all’università parlavamo con le battute dei suoi film. C’è stato un coinvolgimento sentimentale, ma era un momento particolare per tutti e due. Ci vogliamo bene, abbiamo diviso molto. Lui è ovviamente un uomo complicato, come io sono una donna complicata. Ci sono stati due anni – quelli in cui abbiamo girato e promosso ‘Viaggi di nozze’ e ‘Sono pazzo di Iris Blond’ – in cui abbiamo praticamente ‘convissuto’. Siamo stati amici, confidenti, poi abbiamo avuto questo crash, questa cotta reciproca, ma eravamo troppo diversi. Lui aveva un’età in cui voleva stare tranquillo, non gli piaceva uscire. Io avevo 25 anni, ero un fuoco d’artificio.” Come Iris Blond riceve la sua prima candidatura ai David di Donatello.

Ma ora la smetto di fare il pettegolo e per ragioni di spazio sorvolo su tutta la sua carriera dove è stata sia protagonista che comprimaria di lusso, apparendo anche in alcuni cameo dove lei ha fatto davvero la differenza, e penso al “Diabolik” dei Manetti Bros. Per questo suo primo film da regista si regala un ruolo da protagonista assoluta col suo nome a campeggiare da solo sopra il titolo, ed è il caso dire: finalmente. Perché Claudia Gerini è cresciuta come una vera attrice che può indistintamente passare dal brillante al drammatico sempre centrando il personaggio; ricordiamoci che come altri suoi colleghi di successo ha studiato recitazione con Beatrice Bracco e Francesca De Sapio.

Il film è scritto da Antonio Baiocco e Fabio Morici e in sede di realizzazioni ci mette le mani anche la stessa regista protagonista, mentre Morici che è anche attore scrittore e sceneggiatore si piazza nel ruolo del supervisore della protagonista. Ma ci sono altri interventi nella scrittura e nei titoli di testa leggiamo “dialoghi di” com’è largamente in uso nella cinematografia francese ma che è una novità nel cinema italiano; si tratta di specialisti che rendono più fluidi i dialoghi ma, spiace dirlo, qui sembrano mancare il bersaglio e si vanifica l’introduzione nella sceneggiatura di questi specialisti, perché proprio i dialoghi – importantissimi in un film di parola come questo – risultano a tratti deboli, a volte scontati, generalmente poco empatici. Supplisce la Gerini con la sua recitazione emotivamente sempre tirata e soprattutto con la sua regia che si può veramente definire raffinata, da mestierante – e il termine non è un dispregiativo – di gran classe.

La protagonista è una psicoterapeuta che fa counseling on line sempre mentre corre sul suo tapis roulant, il tapirulàn del titolo che non è solo la trascrizione della lingua parlata, come fino a ieri credevo, ma anche l’italianizzazione del termine francese. La difficoltà della regia, brillantemente superata, è stata quella di rendere cinematograficamente dinamica una situazione statica – anche se fisicamente l’attrice è sempre in movimento: una donna che corre sul suo super tecnologico tapirulàn, sempre chiusa in un super attico, a dialogare on line con diversi personaggi su schermo. Il rischio della noia è sempre dietro l’angolo ma Claudia Gerini ha mestiere di regista da vendere e, con la complicità del montaggio di Luna Gualano, anche scrittrice regista e creatrice di effetti visivi, realizza un film con un ritmo che non perde mai un colpo.

Essendo tutti usciti da una pandemia che ci ha chiusi in casa nei precedenti due anni, nel vedere questo film con una donna ostinatamente chiusa nel suo attico a svolgere attività on line, facendo un po’ di conti viene naturale pensare che il film sia stato pensato proprio in quel periodo e che dunque è un altro di quei progetti che hanno visto la luce come reazione propositiva al lockdown. Emma, che aiuta gli altri ma non sempre, e che non sa aiutare se stessa, corre sempre e la sua corsa è una metafora, o la fisicizzazione di un disturbo: come comprendiamo subito, quando la contatta la sorella che non vede da 26 anni, sta scappando dal suo passato e, soprattutto, da suo padre. E noi che abbiamo visto centinaia di puntate di “Law & Order – Special Victims Unit” sappiamo subito di che si tratta, e qui sta la parte più debole della storia che non è riuscita a immaginare per la protagonista una fuga da un passato ormai troppo banale perché cinematograficamente e televisivamente abusato. Insomma, un abuso dell’abuso. C’è poi la sequenza dei pazienti-clienti e dei loro disturbi e confessioni: una carrellata di varia umanità messa insieme nel modo più accattivante possibile scremando tutte le varianti immaginabili, dall’ossessivo compulsivo all’aspirante suicida, all’adolescente che fa i conti con la propria omosessualità; e qui viene in mente un’altra serie di successo, la psicoanalitica “In Treatment”. Perché, se la sceneggiatura nell’insieme è un congegno perfetto, nello specifico risente troppo di tanta cinematografia di genere e soprattutto di serialità televisiva, ancorché di qualità internazionale. E il film, magistralmente diretto dalla regista debuttante, inevitabilmente si colloca fra i film di genere di quella produzione tv di qualità come Sky o Netflix o Paramount+. C’è di buono, oltre a quanto detto, che il dramma personale della protagonista viene risolto senza ulteriori stucchevoli drammatizzazioni e senza abusare della nostra pazienza, oltre a tanti altri acuti dettagli della messa in scena: la vista dalla scatola di vetro dell’attico sul parco popolato di vita reale nel quale alla fine la protagonista scenderà a respirare, e poi il disordine di alcuni scatoloni in un angolo dell’algido appartamento, insieme alle prove dei colori sulla parete da dipingere: dettagli sparsi che danno umana profondità alla storia.

“Dirigere ‘Tapirulàn’ ed esserne allo stesso tempo la protagonista, è stato un lavoro complicato e molto impegnativo soprattutto per una prima regia. Il grande trasporto che ho sentito per il personaggio di Emma mi ha dato coraggio e, con energia ed entusiasmo, ho potuto sperimentare e creare un mondo all’interno della casa. La grande sfida era quella di rendere dinamico e vivace il racconto per immagini, poiché Emma rimane per tutto il film sopra una macchina imponente, dialogando con i suoi pazienti-clienti sempre e solo attraverso uno schermo. Ho cercato di sfruttare al meglio questi ‘impedimenti’ e queste difficoltà, cercando di muovere il più possibile le inquadrature e facendo in modo che la partecipazione emotiva di Emma verso i problemi dei suoi pazienti-clienti fosse davvero forte, oltre a rendere ‘tangibile’ la sua empatia attraverso i suoi occhi e i suoi respiri”. Ricordiamo che la 52enne attrice-regista si è potuta fisicamente permettere il film perché è in magnifica forma: è cintura nera di Taekwondo.

Il resto del cast: oltre a Fabio Morici come supervisore ci sono Claudia Vismara che è la sorella, Marcello Mazzarella che è il padre e Corrado Fortuna che fa il toy-boy, mentre i pazienti-utenti sono: Alessandro Bisegna, Niccolò Ferrero, Lia Greco, Maurizio Lombardi, Stefano Pesce e Daniela Virgilio. Ognuno con una storia che potrebbe svilupparsi come spin-off. Anche se il film non è stato premiato al botteghino vale sicuramente una bella serata davanti la tivù. E occhio alla neo-regista alla quale auguro di poter dirigere storie dove lei non sia la protagonista, non perché le manchino il talento e l’energia per fare entrambe le cose, ma perché così avrebbe modo di esplorare storie differenti e accreditarsi come regista a tutto tondo.

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