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I soliti ignoti vent’anni dopo

1985, esattamente 27 anni dopo arriva il secondo sequel di cui nessuno sentiva la necessità. L’anno prima c’era stato il non riuscito remake americano “Crackers” a firma del francese americanizzato Louis Malle e il sequel tutto italiano lo ha forse voluto solo il non più giovanissimo regista esordiente Amanzio Todini che per anni è stato assistente di Mario Monicelli e finalmente vuole fare qualcosa di suo, solo che invece di fare qualcosa di veramente suo si immette nel solco del suo maestro. Perché evidentemente sa vivere solo di luce riflessa e come autore non ha niente da dire: firma il secondo sequel – dopo “Audace colpo dei soliti ignoti” che Nanni Loy diresse l’anno dopo il capostipite capolavoro – senza infamia e senza lode. Semmai l’infamia gli viene dall’essersi voluto cimentare nell’impresa e la mancanza di lode proprio nell’aver fallito clamorosamente: non che il film sia brutto ma è semplicemente banale, una commedia di genere senza una precisa identità.

Ma vediamo chi è rimasto nell’impresa. Alla sceneggiatura resta solo Age che da qui in poi si firmerà col nome completo Agenore Incrocci, perché il suo sodalizio con Furio Scarpelli si è concluso a metà anni Sessanta. Torna Suso Cecchi D’Amico che aveva saltato l’appuntamento col secondo sequel e completa il terzetto lo stesso regista debuttante, già co-sceneggiatore per il suo maestro Monicelli nel film “Le due vite di Mattia Pascal” dello stesso anno con Marcello Mastroianni che in quel 1985 esce anche con “Maccheroni” di Ettore Scola e “Ginger e Fred” di Federico Fellini. Il produttore dei primi due film Franco Cristaldi, ormai accasato con Zeudi Araya, si tira fuori e produce la non meglio identificata Excelsior Film.

A quel punto bisognava fare i conti col cast: chi c’era, chi non c’era e chi non era più interessato – fermo restando che per suscitare l’interesse degli interpreti a volte basta l’entità del compenso. Le riconferme più entusiaste arrivano da coprotagonisti e generici: Tiberio Murgia è della partita e lo segue Gina Rovere che fu la moglie di Mastroianni nel primo film; da qui in poi bisognava convincere i big. Si lascia convincere Vittorio Gassman che quell’anno esce con un solo altro film di produzione internazionale, poco visto: “Il potere del male” di Krzysztof Zanussi, e non è improbabile che sia stato lui a chiedere agli sceneggiatori di farlo morire alla fine del film per evitare ulteriori tentazioni. Un no secco deve essere arrivato da Nino Manfredi che si era unito al cast del secondo capitolo riempiendo il vuoto lasciato da Mastroianni che a sorpresa torna nell’impresa, stavolta da protagonista assoluto con l’unico nome sopra il titolo: Gassman si fa collocare alla fine “con la partecipazione di”. Carlo Pisacane era morto dieci anni prima di beata vecchiaia e Renato Salvatori ha lasciato il cinema da alcuni anni, “un mondo che non gli apparteneva più” come dichiarò in un’intervista, ma da almeno un decennio soffriva di alcolismo e morirà 54enne di cirrosi epatica nel 1988. Anche Claudia Cardinale si sfila dall’impresa: con tutta la buona volontà non c’era modo di offrirle un ruolo appetibile e ormai è una diva inarrivabile per certe produzioni e questo secondo sequel del film che l’ha lanciata si prospetta come una commedia di genere, forse anche di serie B; quell’anno lei esce con due film, “La donna delle meraviglie” di Alberto Bevilacqua e il francese “L’estate prossima” di Nadine Trintignant. Dunque agli sceneggiatori tocca giocare con le carte rimaste pescandone di nuove, e di nuovo ci sono due figli che nel primo capitolo erano bambini e oggi sono adulti, nel segno della continuità generazionale.

Il ruolo più importante va al romano Giorgio Gobbi come figlio di Marcello Mastroianni e Gina Rovere che gli sceneggiatori fanno venire giù da Milano dove il giovanotto vive e lavora; l’attore, che aveva debuttato accanto ad Alberto Sordi in “Il Marchese del Grillo” di Mario Monicelli (il maestro torna sempre nella narrazione) fa bene, recita con accento milanese anche se non si capisce – e questa è un’altra delle tante lacune della sceneggiatura – perché un giovanotto nato e cresciuto a Roma improvvisamente cominci a parlare con forte accento meneghino dopo qualche anno in trasferta: la spiegazione forse sta nella debolissima gag con cui chiama papi suo padre che da buon romano non apprezza; c’è poi che il ragazzo dichiara al padre di essere diverso: siamo in un’epoca che, benché sfrondata dai tanti tabù dei decenni precedenti, l’omosessuale al cinema è ancora raccontato come macchietta da deridere o dramma individuale: in questo caso il giovane non è mai stato con una donna ma non ha ancora fatto il grande salto perché non è andato neanche con gli uomini: nella narrazione dell’epoca c’è speranza che “guarisca”, come il padre auspica, cosa che puntualmente avviene dopo un accidentale bacio con la bella di turno: scivoloni della scrittura oggi non più tollerabili che in ogni caso segnano le mancanza di idee davvero vincenti.

Francesco De Rosa primo a destra con Enrico Montesano e Gigi Proietti in “Febbre da cavallo”

L’altro figlio porta il cognome di Cruciani ed è l’erede narrativo del Dante Cruciani di Totò, ruolo che è andato al napoletano Francesco De Rosa che anche artisticamente si era proposto come erede di Totò, se non altro per la faccia che ne ricordava la maschera e anche il timbro vocale, tanto che esordì sui palcoscenici partenopei con delle macchiette in cui imitava o omaggiava il Principe della Risata. Gli si aprirono le porte del cinema e debuttò diretto da Steno in “Piedone a Hong Kong” con Bud Spencer, e l’anno dopo, sempre diretto da Steno, fu nel cast di “Febbre da cavallo” con il suo ruolo più importante che gli fece raggiungere la massima notorietà e per il quale viene ancora oggi ricordato. Fra un film e l’altro torna a omaggiare Totò in questo film ma la svolta drammatica arriva nei primi anni Duemila con la produzione di “La mandrakata” come seguito di “Febbre da cavallo”, diretto da Carlo Vanzina figlio del fu Steno. Incomprensibilmente, contrariamente agli altri interpreti, non viene riconfermato nel cast, e nel ruolo del napoletano fu scritturato l’emergente Carlo Buccirosso cambiando alcune caratteristiche del personaggio; questo grave smacco fece scivolare De Rosa in una profonda depressione che lo condusse al suicidio per impiccagione un paio d’anni dopo.

Per quanto la Cardinale non fosse più disponibile non si poteva rimettere in scena il Ferribotte di Tiberio Murgia senza la sorella Carmelina, dato che la coppia degli allora debuttanti formava un unicum narrativo assai riuscito che vent’anni dopo ribalta i ruoli in un buon sviluppo narrativo: Carmelina ha oggi preso le redini della conduzione domestica, lavora e mantiene l’inutile fratello, tanto che si stenta a riconoscerla sul piano caratteriale, mentre sul piano fisiognomico è interpretata dalla credibilissima e somigliante Rita Savagnone, che essendo più attiva nel doppiaggio è già stata più volte la voce di Claudia Cardinale che qui stavolta sostituisce fisicamente; il personaggio è ben riuscito e gradevole ma gli sceneggiatori, sbagliando ancora una volta, preferiscono non svilupparlo avendo a che fare con una sostituzione. Sviluppano invece il non riuscito personaggio della madre di Cruciani come vecchia al seguito della banda nell’odierna disavventura: la interpreta la non troppo vecchia napoletana Concetta Barra, madre di Peppe Barra, che fa quello che può col poco materiale narrativo che le è stato dato in carico, dimostrando ancora una volta che gli sceneggiatori hanno lavorato davvero male sprecando occasioni su occasioni; eppure, tolto il regista Todini che ha sempre arrancato dietro agli altri, i primi due erano due vecchie volpi del mestiere. Mah.

La bella di turno che guarisce il diverso è, in linea coi tempi, una ragazza madre che fugge da un fidanzato violento. La interpreta la napoletana Clelia Rondinella mentre il violento che la insegue è l’ancora sconosciuto Ennio Fantastichini che nei decenni a venire sarà uno dei protagonisti di qualità del cinema italiano: morto 63enne nel 2018 per cause naturali. Completano il cast come trafficanti Giovanni Lombardo Radice, mio amico personale recentemente scomparso, attore e regista teatrale che era divenuto famoso, per gli appassionati, come iconico interprete di alcuni film horror di serie B, anche in lingua inglese che parlava fluentemente, e per i quali ebbe un suo proprio fan club internazionale; come suoi scagnozzi Pasquale Africano che divenne famoso in tv come guardia giurata del giudiziario “Forum” di Canale 5, e un giovanissimo quasi irriconoscibile Alessandro Gassmann (che ha recuperato nel cognome tedesco la seconda N che Vittorio aveva fatto cadere) che il padre sta avviando alla carriera artistica ma qui è doppiato da Roberto Chevalier. Vanno ricordati anche il caratterista romano dal fisico imponente specializzato in ruoli di rude e violento Natale Tulli, doppiato da Enzo Liberti, qui come nuovo compagno della moglie di Tiberio-Mastroianni, e in un piccolo ruolo la doppia figlia d’arte Alessandra Panelli (di Paolo Panelli e Bice Valori) come moglie dell’erede Cruciani, e nella vita reale moglie a scadenza di Lombardo Radice.

Nell’insieme il film si lascia seguire piacevolmente e recuperarlo non è tempo perso, se non altro per rivedere duettare Gassman e Mastroianni, ma resta un’occasione sprecata sin dalla sua genesi: l’intento è nostalgico ma anche commerciale e viene confezionato un film di genere che nulla ha dei punti di forza del capostipite che fondò la commedia all’italiana. Non si trattava di rifondare il genere ormai sepolto dalla commedia sexy all’italiana ma se non altro mantenerne l’idea, l’ideale, e a nulla valgono gli inserti in bianco e nero del film capostipite concessi dal primo produttore che viene ringraziato nei titoli di coda: “La produzione e gli autori ringraziano FRANCO CRISTALDI per gli inserti da I SOLITI IGNOTI di MARIO MONICELLI”.

Monicelli che in apertura dei titoli di testa viene citato con “Mario Monicelli presenta”, una sorta di viatico e lasciapassare per il discepolo dotato di poco talento. Marcello Mastroianni è l’unico nome prima del titolo: uscendo dal carcere all’inizio del film si ritrova in una Roma sconosciuta e anche incattivita, ma ancora una volta la sceneggiatura non graffia laddove spunti ce ne sarebbero a decine, e la recitazione dell’attore ha lo spessore dell’interprete maturo, ma non avendo spunti brillanti a cui aggrapparsi – se non trite gag da avanspettacolo, quello che Monicelli aveva mandato in soffitta – il suo personaggio risulta più cupo che brillante, da commedia amara, e sarebbe stato un punto a favore se il film avesse seguito questa traccia, ma in realtà in film non ha nessuna traccia.

Segue nei titoli, al secondo posto, Tiberio Murgia “nel ruolo di Ferribotte”, che non essendo un vero interprete rifà sé stesso senza sbagliare; vengono poi Rita Savagnone “nel ruolo della sorella di Ferribotte”, Concetta Barra “nel ruolo della signora Italia” e infine arriva “con la partecipazione diVittorio Gassman che pur continuando a balbettare si è liberato di quel trucco e parrucco che lo avevano aiutato a diventare maschera brillante quasi trent’anni prima. Amanzio Todini dopo questo debutto-flop firmerà due anni dopo solo un’altra regia, il televisivo Fininvest “Non tutto rosa” con Marisa Laurito e Andy Luotto; è morto 48enne nel 1995 ma non mi è stato possibile rintracciare ulteriori dettagli. Il film è disponibile su YouTube.

XXX FILM EROTICI DI EXPLOITATION E COMMEDIE SEXY – 1

L’articolo contiene argomenti sensibili
e può urtare la suscettibilità di qualcuno.

Tutto quello che nel cinema ruota intorno al sesso viene sempre guardato con molta attenzione: o perché si è dei cultori del genere o perché è considerato spazzatura, addirittura con l’etichetta di immorale laddove il giudizio non è strettamente cinematografico ma intimamente personale. E partendo dal personale tento un’analisi dei generi, dove pur restando nel più ristretto ambito italiano sarà necessario uno sguardo all’estero.

Tanto per essere chiari e professionali: per film erotico si intende comunemente un film che può suscitare eccitazione, sia fisica che anche solo mentale, e benché mostri nudità e simuli rapporti sessuali si distingue dal pornografico il cui fine è mostrare il reale atto sessuale nel dettaglio senza alcuna forma di censura né pretesa artistica; nel film erotico d’autore, poi, c’è un regista che punta sia all’estetica che al messaggio: indagine sociale o anche opinione politica di rottura con le tradizioni; il film erotico si sviluppa in diversi sottogeneri: dramma, thriller, di formazione.

Il film erotico nasce insieme al cinema dei primordi così come erotismo e pornografia esistevano nella genitrice fotografia: erano cortometraggi destinati alla diffusione clandestina. Per individuare i primi film erotici d’autore bisogna andare alla fine degli anni ’20 quando il boemo Georg Wilhelm Pabst nel 1929 girò in Germania due film con la statunitense Louise Brooks che preferì alla tedesca Marlene Dietrich per il lato oscuro della sua anima: Louise a 9 anni era stata violentata da un vicino di casa e la madre addirittura la rimproverò accusandola di aver provocato il “pover’uomo”; conseguentemente Louise crebbe incapace di provare amore e con un temperamento chiuso e problematico: “Per me, gli uomini carini, gentili, non sono abbastanza – ebbe a dichiarare – deve sempre esserci un elemento di dominazione nel rapporto. Pabst e Brooks girarono insieme “Il vaso di Pandora” e Diario di una donna perduta” basati su testi teatrali di Frank Wedekind dove l’attrice fu Lulù, figura che rimarrà nell’immaginario erotico collettivo; inoltre nel film vengono raccontati con estrema modernità gli impulsi sessuali, mettendo in scena una delle prime lesbiche del cinema. Altro film cui far risalire il genere è sempre tedesco, “L’Angelo Azzurro” del 1930 di Josef Von Sternberg con Marlene Dietrich. Per quanto riguarda l’Italia viene comunemente ricordato lo storico “La cena delle beffe” diretto da Alessandro Blasetti dal dramma di Sem Benelli in quanto mostra il primo seno nudo per gentile concessione della diva dell’epoca Clara Calamai che incorse in un anatema pontificio mentre il film fu vietato ai minori di 16 anni; ma il vero primo seno nudo è dell’anno prima in un altro film storico, “La corona di ferro” sempre diretto da Blasetti dove si intravede il seno della giovane e meno nota Vittoria Carpi neanche accreditata nel film in quanto semplice figurante, come sarà il resto della sua breve carriera.

Per trovare altre produzioni specifiche degne dell’etichetta film erotico bisogna andare negli Stati Uniti alla fine degli anni ’50. Il sessuologo Alfred Kinsey aveva pubblicato i suoi controversi saggi per i quali la Corte Suprema determinò, con grande modernità, che sessualità e oscenità non sono sinonimi – dichiarazione mai introiettata abbastanza sia in America che nel resto del mondo sessuofobo e ipocrita. Questo rivoluzionario cambiamento di prospettiva spinse alcuni produttori cinematografici indipendenti e registi sperimentatori a realizzare film a basso costo che creeranno una vera e propria ondata creativa che verrà definita sexploitation, da sex più exploitation, dove per exploitation (di sfruttamento) si intende un genere cinematografico che accantona la ricerca dei valori artistici per portare sullo schermo elementi più forti come l’esibizione esplicita di scene di sesso e di violenza, anche veicolando messaggi politici e sociali, come detto.

L’exploitation avrà diversi sottogeneri, come il sexploitation appunto, e la blaxploitation (da black +) girati da neri per neri e che raccontavano miserie quotidiane, droga, delinquenza e prostituzione; sottogenere dalla cui costola nacque il woman in prison movie, dove carcerate nere venivano torturate e stuprate. Ci fu poi la shoxploitation (da shock +) il cui intento era terrorizzare il pubblico con argomenti ritenuti tabù in film girati con estremo realismo come violenza, stupro, incesto e zoofilia; genere che a sua volta degenererà nello snuff movie (snuff, spegnere lentamente) che riprendono vere torture con le vittime che muoiono realmente: in pratica omicidi filmati momento per momento; con l’avvento degli smartphone e dei video faidate si è semplificata la pratica e la diffusione online di questi omicidi con tortura, anche in diretta streaming sul darkweb, e con un’ulteriore degenerazione nella pedo pornografia.

Altro sottogenere è il bikexploitation dedicato ai motociclisti il cui film capostipite sembra essere “Il selvaggio” del 1953 con Marlon Brando diretto dall’ungherese naturalizzato americano László Benedek. Altro sottogenere è il nazisploitation che si concentra su storie con nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale, in cui generalmente ci sono donne prigioniere che subiscono violenze e crudeltà e il cui titolo più rappresentativo è “Ilsa, la belva delle SS” diretto da Don Edmonds nel 1975.

Ed ecco un elenco più o meno completo di tutte le exploitation immaginate nel fantasioso mondo cinematografico: Bruceploitation che cercavano di lucrare dalla recente morte di Bruce Lee, spesso con protagonisti sosia del celebre attore, mentre con la discoploitation di fine anni ’70 si tentò di lucrare sul successo di “La Febbre del Sabato Sera”. Con la Christploitation si ebbero e ancora si hanno film con forti connotazioni religiose cristiane che al contrario dei classici film a tema religioso sono filmetti in cui la religione è trattata grossolanamente e spesso con involontarie derive comiche, però quasi sempre con intento didascalico e moralistico. I teensploitation sono film interpretati da attori adolescenti per un pubblico adolescente che in genere trattano argomenti come droga, sesso, alcol, violenza e criminalità. Gli hippiesploitation furono film realizzati fra gli anni ’60 e ’70 incentrati sulla controcultura hippie e mostrano in maniera sensazionalistica stereotipi come l’uso di allucinogeni, marijuana e LSD, l’amore libero e tutto l’ambaradan psichedelico. I redsploitation sono film che hanno come protagonisti personaggi nativi americani quasi sempre però interpretati da attori bianchi truccati da indiani che di solito cercano vendetta sui loro aguzzini bianchi, quelli veri, dopo avere subito una lunga serie di brutali abusi. Non possono mancare i film con le monache in circostanze pericolose o erotiche, i nunsploitation; e i nani nelle midgetsploitation, film con persone affette da nanismo e altre simili patologie messe in genere in situazioni grottesche dove la loro particolarità fisica diventa l’argomento principale del film, come i freak show dei tempi precedenti; genere cui il controcorrente tedesco Werner Herzog dedicò il suo secondo lungometraggio nel 1970, “Anche i nani hanno cominciato da piccoli” con cui già fa tagliente critica sociale.

E ci sono anche i gaysplotation, ogni spiegazione è superflua, e i dyxplotation che sono con film con lesbiche. In Italia abbiamo avuto la Spencerhillsplotation a ricasco del successo della coppia Bud Spencer e Terence Hill, ideona venuta nientemeno che al serioso Mauro Bolognini e che ebbe protagonisti due pseudo sosia comunemente chiamati Simone e Matteo ma che rispondevano ai nomi di Paul L. Smith, nome reale di un attore americano, e Michael Coby che invece è il nome americano dell’italiano Antonio Cantafora: i due furono protagonisti di cinque film in un triennio in cui la coppia originale si era scoppiata per recitare separatamente in altro genere di film. Sempre da noi ci fu il Djangosploitation sulla scia del successo del film omonimo di Sergio Corbucci. E per concludere le esploitescion italiane abbiamo anche avuto l’etruriansplotation che erano film horror che avevano nella storia antichi manufatti etruschi. Abbiamo anche avuto la corrente del film giallo o thriller (oggi classificati senza suffisso) con contenuto erotico e/o violento.

Un genere molto frequentato nella nostra cinematografia di sfruttamento fu il mondo film, sorta di documentari shock che solleticavano le curiosità più basse con argomenti sensazionali, sensazionalistici e sensazionalizzati, che non si potevano certo trovare fra i classici documentari informativi di Mamma Rai; erano film che raccontavano argomenti tabù nella nostra cultura come le abitudini sessuali e i nudi dei popoli tribali, e le scene di violenza di certe iniziazioni rituali, o i rituali di morte, con riprese abbastanza realistiche da documentario appunto, anche se in molti casi la finzione filmica è evidente. Fu un genere assimilabile all’americano shoxploitation per la sua dichiarata intenzione di scioccare, e nonostante ciò ci furono dei mondo film di buona qualità che veicolavano una certa dose di materiale educativo e informativo. Sul finire degli anni ’70 da noi il genere andò ad estinguersi scivolando nel cannibal movie, etichetta che si spiega da sé, film che mettevano insieme avventura, splatter, erotismo e una reale violenza su animali che li fa accostare agli snuff movie; c’era però la morale finale: i protagonisti cosiddetti civili si rivelavano moralmente abietti e sul piano morale peggio degli stessi cannibali che se non altro erano selvaggi.

A tutti questi sottogeneri ne vanno aggiunti pochi altri ancora in produzione, anche con attori di rango che non hanno il suffisso exploitation ma rientrano nel pacchetto: rape and revenge con la protagonista (ma ce ne sono anche con personaggi maschili) che subisce prima una violenza sessuale, o una gravissima umiliazione o persecuzione come nel caso di protagonista uomo, con conseguente vendetta: è un genere di film di serie B che prendono smalto da attori di serie A pescati fra i 50-60enni che alternano questo tipo di produzioni ad altre di qualità superiore; fra questi attori ci sono sicuramente Denzel Washington, Bruce Willis, Nicholas Cage e Harrison Ford, con personaggi vittime di complotti, con le figlie o le mogli rapite, le famiglie sterminate, le carriere distrutte. E poi ci sono gli slasher con protagonista uno psicopatico omicida spesso mascherato che dà la caccia a un gruppo di persone, spesso adolescenti, meglio se adolescenti cattivacci che bevono e si drogano e non rispettano le raccomandazioni di mamma e papà, e meglio se in spazi circoscritti per facilitare la caccia e il cruento sterminio: la morale? fa’ il bravo bambino!

CONTINUA NEL PROSSIMO ARTICOLO CON UNO SGUARDO APPROFONDITO
AL NOSTRO CINEMA EROTICO E ALLA COMMEDIA SEXY ALL’ITALIANA

E per la prima volta sullo schermo… Alberto Tomba

Alex l'ariete - Il cast

Correva l’anno 2000, il campione dello sci italiano internazionalmente noto come “Tomba la Bomba” aveva vinto tutto quello che c’era da vincere: cinquanta gare in Coppa del Mondo, una Coppa del Mondo assoluta, quattro Coppe del Mondo di slalom gigante e quattro di slalom speciale. Ispirati da cotanto atleta, quei genitori che potevano mandavano i figli a sciare, come più recentemente hanno mandato le bambine a lezioni di nuoto dopo i successi di Federica Pellegrini; di fatto, alla fine degli anni novanta, smessi gli sci e la divisa dei Carabinieri sotto la cui bandiera aveva gareggiato, per tre anni ha attraversato l’Europa con il “Tomba Tour” per lo sviluppo dello sci giovanile; e poiché il giovanotto era anche simpatico, oltre che di bell’aspetto, divenne di casa nei salotti televisivi. E dalla tv al cinema il salto è breve, o per lo meno a qualcuno sembra breve, e pure indolore, perché da noi è sempre valsa la convinzione che a recitare sono buoni tutti, e del resto non gli si chiedeva di vincere il David di Donatello ma solo di far fare al produttore un sacco di soldi.

Oggi il film è un cult del cinema spazzatura per quanto è brutto, e io stesso ho fatto fatica a vederlo dall’inizio alla fine, sostenuto in quest’immane impresa solo dal gusto di poterne qui parlare male, ma con cognizione di causa. Trionfalisticamente uscito con lo slogan “Il primo slalom cinematografico dell’ex sciatore Alberto Tomba” uscì nelle sale a fine luglio e restò in cartellone solo un fine settimana, visto in tutta Italia solo da 285 spettatori, di cui un terzo nella sola provincia bolognese natia; nelle sale romane del circuito Cecchi Gori, che lo aveva prodotto, restò per un’altra settimana accumulando alla fine ben 597 spettatori: il peggio del peggio in termini commerciali, che è la congrua risposta al peggio del peggio sul piano produttivo. A caldo Alberto Tomba commentò che “d’estate al cinema non ci va nessuno” ma non era così dato che “Mission: Impossible 2” ha incassato in Italia due milioni e 300mila euro. Solo qualche anno dopo in un’intervista ha confessato di avere “ricordi belli, ma lontani” ammettendo poi “la mia inesperienza ha contato” e infine, secondo lui, il vero problema era stato che “mi sono fidato di chi mi ha offerto l’ingaggio, ma il montaggio non è stato fatto come doveva, tre ore di film dovevano essere lavorate e trasformate in una fiction di un’ora e non lasciate così com’erano. La sceneggiatura non funzionava, e il regista, Damiano Damiani, bravo ma di una certa età poverino… La verità di fondo è che non volevano che un olimpionico facesse l’attore: non mi hanno diretto né lanciato nel modo giusto. Senza contare che il film è entrato in sala a fine luglio, in piena estate: era ovvio che dopo dieci giorni ne uscisse!”

Lungi dal conoscere i retroscena devo convenire che il poverino ha ragione: non so quanto ci fosse di realmente persecutorio perché quando c’è da fare soldi sono sempre tutti contenti, e prima di lui in Italia avevamo avuto un altro eclatante esempio di ex sportivo, il campione di nuoto Carlo Pedersoli diventato attore come Bud Spencer. E negli USA c’è Dwayne Johnson che col titolo di The Rock era stato un campione di wrestling, e dopo di lui tanti altri sportivi da differenti discipline si sono dati alla recitazione tra cinema e tv: non si chiedono loro raffinate interpretazioni ma solo di fare e far fare soldi. La carriera di Bud Spencer fu costruita con molta attenzione: gli fu affiancato Terence Hill (Mario Girotti) che non era l’ultimo arrivato e crearono una coppia vincente in film di intrattenimento ben costruiti. Alberto Tomba vinse il premio “Cinepernacchie” come peggiore attore protagonista con la motivazione: “Perché, Tomba, perché?” 

TV Sorrisi & Canzoni - Michelle Hunziker - Official Website

La mia sensazione è che Alberto Tomba fu mandato allo sbaraglio e qui recupero la domanda “Perché” rivolgendola idealmente ai produttori di allora, Vittorio Cecchi Gori e gentile consorte Rita Rusic, che da lì a poco avrebbero divorziato; e il luglio dell’anno dopo lui avrebbe anche ricevuto un avviso di garanzia per riciclaggio, cui seguì una perquisizione dell’appartamento – alla presenza di Valeria Marini che all’epoca era sua convivente – e gli trovarono in cassaforte una grossa quantità di cocaina che lui, ripetutamente, si ostinò a definire “zafferano”: una commedia grottesca e surreale come le tante che lui e suo padre Mario avevano sempre prodotto con successo. Ma cosa ha realmente portato Vittorio Cecchi Gori a produrre “Alex l’Ariete” non lo sapremo mai. Come si intuisce dalle dichiarazioni di Tomba il film era stato inizialmente pensato per la tv, Mediaset, due puntate da 90 minuti dal titolo “Turbo” e dato che anche Michelle Hunziker era stata inserita nel cast i due posarono per TV Sorrisi e Canzoni. Ma poi la fiction fu cancellata e la sceneggiatura fu ripensata per il film.

Cinque (8): le cinque migliori scene di “Alex l'ariete” – RumoreWeb

Tomba ha anche, un po’ ingenerosamente, dichiarato che il regista aveva una certa età, poverino: era vero, Damiano Damiani aveva 78 anni ed era al suo penultimo film, e sappiamo che molti registi, con l’età che avanza, non chiudono in bellezza la propria carriera; della sua bisogna ricordare che è stata piena di successi nel filone poliziesco che era seguito a un primo impegno nel cinema politico e civile, e basta ricordare due titoli su tutti: “Il giorno della civetta” e “Pizza Connection”, senza però dimenticare la sua incursione nell’horror americano con “Amityville Possession”. Per quanto vecchio e stanco possa essere stato il regista si sarà certamente accorto che la sceneggiatura era terribile e vi si sarà dedicato, come si dice nel gergo dell’ambiente, solo per fare una marchetta, e di fatto anche tutti gli ottimi caratteristi, che fanno da supporto all’improbabile duetto protagonista, sembrano distratti e svogliati, con un atteggiamento da prendi i soldi e scappa.

Intervista allo sceneggiatore Dardano Sacchetti - il Davinotti

E ancora mi chiedo: perché la produzione ha portato avanti un simile progetto? Il difetto primario è nella terribile sceneggiatura che andava cestinata subito, licenziando in tronco lo sceneggiatore che, pure, non era nato ieri: Dardano Sacchetti aveva cominciato a scrivere per Dario Argento e, fra polizieschi e horror, fra cui anche l’Amityville di Damiani, si era fatto un nome nel glorioso cinema di serie B. Da dove viene tanta inconsistenza e tanta banalità narrativa? sembra che le battute di lei siano scritte da una di quelle ragazzine che leggevano Cioè e le battute di lui da un ragazzino appassionato di Lanciostory, per non parlare della trama che fa il verso alle commedie d’azione brillanti americane ed è una stiracchiata inconcludente sequela di luoghi comuni. Non so quanto danno abbia potuto fare il montaggio, a leggere lo sfogo di Tomba, ma c’era davvero poco da cavare da una tale sceneggiatura, e regista e cast al completo se ne devono essere accorti. Solo gli inesperti protagonisti sono caduti dal pero, come si dice, e il produttore che ha avallato il progetto forse perché troppo distratto dall’aroma dello zafferano.

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La Hunziker, che dopo ha fatto solo qualche cinepattone, ha poi ironizzato dicendo che “Alex l’Ariete” l’avevano visto solo lei sua nonna e sua zia. Nei fatti lei fa peggio di Alberto Tomba perché, venendo dalla tv delle paillettes e in generale dal mondo dello spettacolo, ci si aspetta che abbia un’infarinatura di recitazione, invece è totalmente stonata e fa tutte quelle appoggiature su verbi e avverbi e aggettivi che ormai non fanno più neanche gli amatoriali ma solo i bambini alla recita dell’asilo: per essere credibile avrebbe dovuto avere le treccine e il cestino col pranzo.

ALEX L'ARIETE – CINEMA ZOO
Ramona Badescu e Alberto Tomba prima degli artistici bacetti

Anche lui non ha fatto nulla per prepararsi al salto nel vuoto: avevamo imparato a sentirlo parlare in tv e non ci saremmo aspettati da lui una bella dizione e una cadenza pulita dal regionalismo, e quando nel film discetta del più e del meno è assai più naturale di lei: solo quando deve metterci dei sentimenti più forti – la rabbia, lo stupore, l’avvilimento, l’ironia – è evidente che non sa dove trovare quei sentimenti perché gli avranno detto sii te stesso e andrà tutto bene, che è quello che si dice sempre ai principianti impreparati: ma Alberto Tomba non è Alex Corso l’Ariete e se n’è accorto sul set, a cose fatte. Dirà delle scene d’amore dove si sbaciucchia con Ramona Badescu che lui era impacciato perché quelle cose lì le sapeva fare solo in privato…

In quanto al privato, il ragazzone, anzi stavolta ragazzaccio, era apparso nudo nel 1995 su un servizio di Evatremila che lo aveva addirittura messo in copertina con lo zizì, come all’epoca la rivista vezzeggiava l’intimo maschile, coperto da una patina da grattare via con una monetina: gratta e vinci lo zizì di Alberto Tomba, pienamente esposto nelle pagine interne. Seguì polemica non si sa quanto costruita a tavolino perché l’intento sembrava proprio quello di “spogliare” Tomba dalla divisa del carabiniere e dalla tuta dello sciatore per consegnarlo alle masse del pettegolezzo prima del suo debutto sullo piccolo o grande schermo e lanciare una nuova carriera.

Così la critica: Maurizio Porro sul Corriere della Sera: “Tutto ha l’aria di essere al limite della presa in giro, i livelli narrativi sono di guardia, l’epica espressiva dei comprimari da manuale. Tomba è Tomba, un non attore consapevole di esserlo e che gioca il suo fascino”. Luca Bottura sull’Unità: “Il film che ha fatto pentire i fratelli Lumière di aver inventato il cinema”. Enrico Magrelli sul sito FilmTv.it definisce “distratta” la regia di Damiani e giudica la sceneggiatura “meno probabile di certi fumetti del Monello” commentando causticamente che il film aspira “ad un posto d’onore di quel cinema stracult che, nonostante il nome da cenacolo di disperati, resta brutto, abborracciato, scritto da analfabeti reali o da finti illetterati, interpretato da disoccupati male organizzati”.

Assolutamente contenti del clamoroso insuccesso favoleggiarono pure di un sequel: “La gara di Alex”, protagonista stavolta Valentino Rossi, ma non se ne fece nulla ed è un peccato perché oggi io avrei avuto un’altra perla da raccontare. Ma sinceramente, in conclusione, come Bud Spencer ha avuto i suoi successi, star di un cinema per il quale non ho mai speso una lira, scritti appositamente intorno a lui, anche Alberto Tomba avrebbe potuto avere un suo percorso cinematografico con film per famiglie se solo fosse stato circondato da persone intelligenti e lungimiranti. Michelle Hunziker no, per carità, che rimanga a fare la Striscia la Notizia!