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I nuovi mostri – con gli episodi censurati dalla Rai qui recuperati

1977. Sono passati quindici anni dall’originale e molta acqua è passata sotto i ponti: sono finiti i tempi spensierati del boom economico sull’onda del quale cinematograficamente si è passati dal neorealismo del dopoguerra alla spensieratezza della commedia all’italiana che nei suoi esempi migliori era anche critica sociale con venature di un umorismo graffiante che non risparmiava niente e nessuno. Il 1977 è nel mezzo di un decennio nero di terrorismo, nazionale e internazionale, una narrativa che drammaticamente entra anche in questo film in cui i toni grotteschi e graffianti si fanno ancora più incisivi, e anche violenti come la società che li esprime.

Gli episodi che prima erano 20 qui sono 14 e a Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi si aggiunge un Alberto Sordi in gran spolvero, di suo già campione di maschere grottesche dell’italiano medio, con l’aggiunta della stella in ascesa Ornella Muti che aveva debuttato solo sette anni prima con “La moglie più bella” di Damiano Damiani. Un’altra novità è che in alcuni episodi i quattro nomi dei titoli di testa cedono il passo ad altri validi interpreti che a loro volta diventano protagonisti. Tognazzi e Gassman recitano insieme in un solo episodio. Degli sceneggiatori originali rimane Ruggero Maccari che scrive il film con Age & Scarpelli e Bernardino Zapponi; mentre Ettore Scola che lì era sceneggiatore qui è regista e insieme a Mario Monicelli si aggiunge a Dino Risi che fu regista unico del primo film. Suo figlio Claudio Risi è l’aiuto regista. Armando Trovajoli che qui è Trovaioli torna a firmare la colonna sonora. Dei tre registi, all’uscita del film non si sapeva chi avesse diretto cosa perché di comune accordo avevano deciso di non firmare i loro episodi, e pare che i tre si siano impegnati a sostenere con i loro guadagni l’amico sceneggiatore Ugo Guerra gravemente malato e da diversi anni paralizzato, che sarebbe morto cinque anni dopo. Oggi siamo in grado di abbinare i registi agli episodi. Alla produzione Pio Angeletti e Adriano De Micheli della Dean Film prendono il posto di Mario Cecchi Gori. Come film straniero fu candidato all’Oscar nel 1979 ma quell’anno vinse il francese “Preparate i fazzoletti” di Bertrand Blier. Fu anche candidato ai David di Donatello ma vinse solo l’Alloro d’Oro alla miglior sceneggiatura al Festival di Taormina.

La versione presente su YouTube è quella ridotta negli anni Ottanta per la Rai in cui vengono tagliati cinque dei quattordici episodi rimescolando l’ordine di quelli rimasti. In questa censura sono saltati quelli meno edificanti ritenuti non adatti alle famiglie, ovvero: “Il sospetto”“Sequestro di persona cara”, “Mammina e mammone”“Cittadino esemplare” e “Pornodiva”; questi ultimi tre però sono stati reintegrati in una versione trasmessa su Rai Movie a partire dal 2014, però con l’amputazione del finale di “Pornodiva” che, come vedremo, cambia completamente il senso del racconto.

Tantum Ergo di Dino Risi

Gassman è un cardinale che causa guasto alla sua auto si ferma in una chiesa di periferia dove è in corso un acceso dibattito di borgatari guidato dal prete Luigi Diberti. Il cardinale improvvisa un sermone che acquieta gli animi, dimostrando al prete-operaio che faticosamente guidava da pari a pari il dibattito, che la retorica e l’eloquenza con l’aggiunta degli effetti speciali di sempre – luci, campane e musica d’organo – sono la vera via del Signore. Paolo Baroni efficacissima spalla in una regia molto arguta è il pretino che come da tradizione, vedi “La giornata dell’onorevole” in “I mostri”, è sempre omosessuale.

Auto stop di Mario Monicelli

Oggi lo scriviamo in un’unica parola ma all’epoca erano ancora due parole staccate. Partendo dal dettaglio del magnete sul cruscotto “vai piano e pensa a noi” con foto dei familiari, scopriamo che alla guida dell’auto Eros Pagni (raffinato interprete teatrale che al cinema è un caratterista di lusso) va oltre un autostoppista commentando “Sì, col cazzo!” per poi fermarsi immediatamente quando sul ciglio della strada gli compare la “gnocca” Ornella Muti che carica in macchina facendo sparire il magnete, e ovviamente mettendo in campo tutti i luoghi comuni dell’automobilista con fantasie erotiche, e tutti noi spettatori conosciamo i luoghi comuni sulla pericolosità degli autostoppisti ma anche degli automobilisti…

Con i saluti degli amici di Dino Risi

Segue uno dei due soli episodi non ambientati nell’area romana: breve come uno sketch televisivo. In un paesino dell’entroterra siciliano, un notabile mafioso passeggia per le vie assolate accompagnato dal suono del sempre classico marranzano, finché viene steso a colpi di lupara da due ragazzotti in vespa “Con i saluti degli amici”, ed è comune fra i siciliani il detto “Amici, e guàrdati!”. Battuta folgorante finale del mafioso morente interpretato dal romano Gianfranco Barra unico protagonista.

Hostaria! di Ettore Scola

Col punto esclamativo che subito mette in evidenza la tipicità dell’osteria della tradizione romana. Gassman e Tognazzi, l’uno cameriere l’altro cuoco, nel loro unico incontro del film fanno dell’osteria il loro personale ring con divertimento reciproco: sono quella che oggi diremmo una coppia di fatto, litigiosa e di mezza età, che con i tempi e i modi e la musichetta delle comiche d’antan si tirano addosso di tutto distruggendo la cucina salvo poi fare pace con un bacetto. I borghesissimi commensali apprezzano le vivande che dopo la lite contengono di tutto. E non è chiaro se i mostri sono la litigiosa coppia o i commensali, che di passaggio citano e omaggiano Indro Montanelli come caro amico: messaggio ambiguamente trasversale al giornalista.

Pronto soccorso di Mario Monicelli

Un affettatissimo Alberto Sordi, come Principe Giovan Maria Catalan Belmonte è un esponente della nobiltà nera romana, quella papalina sempre nostalgica del Papa-Re, lascia un’amica al Jackie O’, esclusivo locale romano che a partire dagli anni ’70 ereditò quello che restava della dolce vita romana dei tardi anni ’50. Con la sua Rolls Royce bianca (la Land Rover la prende solo per le uscite sportive) deve raggiungere la residenza della Principessa Aldobrandi dove fra nobili si discuterà lo scisma del Cardinale Marcel Lefebvre. Sordi si esibisce in un monologo un po’ troppo lungo e un po’ troppo indugiando, a mio avviso, su alcune volgarità che pur caratteristiche del “nobile” personaggio non necessitavano di sottolineature. Raccoglie la vittima di un incidente stradale e tenta inutilmente di portarlo in tre ospedali che per un motivo o un altro rifiutano l’urgente ricovero: questa è un’altra delle mostruosità sociali. Alla fine lo abbandona lì dove l’aveva trovato, sotto il monumento a Mazzini che lui crede Mussolini. Luciano Bonanni interpreta l’uomo ferito mentre l’amica di passaggio all’inizio altri non è che la ballerina del ventre Aïché Nana che sul finire degli anni ’50 si era resa famosa per uno spogliarello al ristorante Rugantino, immortalata dal fotografo Tazio Secchiaroli. In coda il titolo “Pronto soccorso” diventa inglese: “First Aid” e vai a capire perché.

L’uccellino della Val Padana di Ettore Scola

Questo è il secondo episodio non ambientato a Roma. La moda dell’epoca nominava le cantanti in un bestiario tutto italiano: Mina era la Tigre di Cremona, Iva Zanicchi era l’Aquila di Ligonchio e Orietta Berti che aveva addirittura due nomignoli – l’Usignolo di Cavriago e la Capinera dell’Emilia – qui diventa Fiorella l’Uccellino della Val Padana gestita dal totalizzante marito-impresario Tognazzi che nel privato se la deve vedere con le tante bambole che invadono la loro camera da letto, autocitazione per la Berti che è realmente collezionista di bambole. La poverina incorre in un problema alle corde vocali e il solerte marito le procura un incidente domestico dopo la quale potrà esibirla come caso umano su una sedia a rotelle. Molto brava lei che da cantante professionista si mette in gioco e nel finale stona con grande maestria.

Come un regina di Ettore Scola

Sordi asciuga i toni e condivide lo schermo con una dolce vecchina che interpreta la madre. Che lui, all’insaputa di lei, sta portando in in ospizio. L’interpretazione più convincente dell’attore è tutta negli sguardi che spaziano dall’apprensione all’esasperazione, dall’amore alla malsopportazione e al senso di colpa. Per Sordi è un bagno di verità: è noto che fosse morbosamente legato alla madre e ancora si racconta di quando, alla morte di lei, per vent’quattr’ore si chiuse in camera col cadavere rifiutandosi anche di aprire agli impiegati delle pompe funebri. La vecchina è l’attrice di un solo film Emilia Fabi. “Trattatela come una regina!” è l’invocazione finale del figlio mentre va via. Come una regina in esilio, dolorosa condizione di molti nostri vecchi che non hanno più spazio nella frenetica quotidianità che ci stritola.

Senza parole di Dino Risi

Il breve incontro d’amore fra una hostess poliglotta e un affascinante mediorientale che non parla nessuna delle lingue che lei conosce – e qui tocca dire che la Muti non parlava bene nemmeno l’italiano dato che per tutto l’arco crescente della sua carriera è stata sempre doppiata. Nel romantico episodio senza parole la musica è padrona con due successi dell’epoca: “Ti amo” di Umberto Tozzi e “All by myself” nella versione originale di Eric Carmen. Episodio volutamente zuccheroso dove non tutto è come sembra. Con il greco Yorgo Voyagis inspiegabilmente col trattino nei titoli, Yorgo-Voyagis, volto nuovo sugli schermi italiani come Giuseppe nel televisivo “Gesù di Nazareth” di Franco Zeffirelli, in onda quello stesso 1977.

L’elogio funebre di Ettore Scola

Il funerale comincia con l’accompagnamento di una musichetta sgangherata di una piccola banda che dà subito il tono all’episodio. Fra i quattro che portano a spalla la bara ecco Alberto Sordi. Si seppellisce un comico d’avanspettacolo e i convenuti sono il variopinto bestiario di amici e colleghi. Sordi, come storica spalla del vecchio comico Formichella, comincia l’elogio funebre che presto si trasforma in rievocazione di gloriose scenette e sagaci battute: il funerale diventa un’allegra rivisitazione della rivista d’antan in cui Sordi stesso mosse i primi passi, e alle lacrime si sostituiscono risate canti e applausi con tanto di passerella finale attorno alla fossa e sipario calato dai muratori retrostanti che calano una rete di protezione. Nel sentire comune di quell’Italietta democristiana forse questi teatranti erano dei mostri ma è evidente che a un attore comico quel funerale sarebbe piaciuto assai. Per non dire che oggi è ormai prassi comune, questa sì tristemente comune, l’abitudine di applaudire ai funerali, gesto privo di senso traslato dalla gente di spettacolo che di quegli applausi era vissuta, tanto che alcuni preti cominciano ad avvertire che gli applausi non sono consentiti. Per l’intero film questo episodio è un delizioso e degno finale. E poi con una ricerca mirata ho trovato i singoli episodi tagliati dalla Rai.

Mammina e mammone di Dino Risi

La giornata di due eccentrici barboni in un episodio davvero inconsistente che probabilmente avrà avuto un senso per i suoi creatori se ispirato a personaggi reali: la morale è che fra i barboni che si aggirano nelle nostre città ci sono anche nobili decaduti e personalità esemplari. Con Tognazzi che come dolce bambinone si accompagna all’ottantenne Nerina Montagnani, una caratterista che dopo aver lavorato come cameriera per tutta la vita ha esordito a settant’anni costruendosi una carriera di tutto rispetto.

Cittadino esemplare di Ettore Scola

Il mostro siamo noi. Gassman rientrando a casa dal lavoro assiste all’aggressione e all’accoltellamento di un uomo. Come nulla fosse raggiunge la famiglia per cena e si rilassa davanti a un programma Rai: ovvio che la Rai lo abbia tagliato. Dal programma sentiamo la voce di Pippo Franco nel varietà “Bambole, non c’è una lira” diretto da Antonello Falqui.

Il sospetto di Ettore Scola

Episodio decisamente politico, dunque indigesto alla finta ecumenica mamma Rai. Gassman commissario di polizia dall’accento napoletano fa una paternale a un gruppo di giovani sovversivi arrestati, e dal mucchio gli arriva una pernacchia. Fatta da un brigadiere infiltrato per meglio mimetizzarsi. Con Francesco Crescimone da Caltagirone che sarà anche sceneggiatore e regista.

Sequestro di persona cara di Ettore Scola

Cinema che racconta la televisione-verità: diretta televisiva dal salotto di un uomo distrutto dal dolore al quale hanno rapito la moglie e che si rivolge ai sequestratori implorando almeno una telefonata per averne notizie. Andata via la troupe televisiva l’uomo mostra che aveva tagliato il filo del telefono. Altro episodio scomodo da mostrare in tv perché un mostro si fa gioco della tv. Oltre che dell’opinione pubblica.

Pornodiva di Dino Risi

In effetti l’episodio, senza voler svelare nulla a chi non l’avesse ancora visto, è davvero forte, non per il contenuto ma per il concetto che veicola. Eros Pagni è di nuovo protagonista con la procace moglie interpretata da Fiona Florence che all’anagrafe è Luisa Alcini, una coppia di burini che prima di firmare il contratto che prevede scene di nudo e di sesso con una scimmia vogliono capire i dettagli e alzare il compenso. Nel ruolo dell’anziano produttore il caratterista settantenne Vittorio Zarfati che con Risi aveva debuttato l’anno prima, e che aveva una tragica storia alle spalle: di religione ebraica sfuggì al rastrellamento nazi-fascista dell’ottobre 1943 perché si trovava poco fuori Roma e perse la moglie e tre figli deportati e soppressi a Auschwitz-Birkenau. come figlia della coppia di burini la decenne Simona Patitucci che da adulta farà poco cinema ma tanto teatro musicale e molto doppiaggio.

E per finire un po’ di numeri. Nella versione integrale di 14 episodi Ugo Tognazzi è presente in 3, Vittorio Gassman in 5, insieme solo in uno; 3 per Alberto Sordi, 2 per Ornella Muti e 2 anche per Eros Pagni che di fatto si colloca fra i protagonisti. Nella versione ridotta Tognazzi perde un episodio e Gassman addirittura 3 restando entrambi a pari merito con 2 episodi, cedendo il passo a Sordi che li porta avanti tutti e tre mentre Pagni ne perde uno dei due. Come anticipato Rai Movie ha trasmesso una versione allungata ma continuano a mancare “Sequestro di persona cara” e “Il sospetto” entrambi con Gassman. L’ultima volta in cui il film è stato trasmesso in televisione è stato nell’agosto 2022 su Rai 3. Anche nelle versioni home prima in VHS e poi in DVD c’è la versione ridotta a 9 episodi, la stessa disponibile attualmente su Netflix: non credo che si tratti più di censura per argomenti ritenuti scabrosi o antisociali ma sono incuria da pigrizia intellettuale e commerciale.

Fellini Satyricon

FELLINI - SATYRICON - Film (1969)

1969. Quattro mesi prima era uscito in tutta fretta il “Satyricon” prodotto da Alfredo Bini, ma pare che non fu solo un’azione prettamente concorrenziale e in cerca di facili incassi, quanto piuttosto la risposta piccata a uno sgarbo: era da tempo che il produttore parlava con Federico Fellini della possibilità di fare del Satyricon un film ma quando il regista stipula un accordo con un altro produttore, Alberto Grimaldi, decide di andare avanti con un suo personale Satyricon da fare uscire nelle sale prima di quello di Fellini, per bruciarne l’uscita. La storia del cinema ci dice che invece accadde il contrario e fu lui a restare bruciato: l’orgoglio è quasi sempre un cattivo consigliere.

Federico Fellini e Alberto Grimaldi

D’altro canto Federico Fellini già dall’anno prima aveva stabilito un proficuo rapporto con Alberto Grimaldi quando il produttore gli aveva chiesto di dirigere l’episodio “Toby Dammit” nel film a episodi “Tre passi nel delirio” da tre racconti di Edgar Allan Poe, gli altri due diretti da Roger Vadim e Louis Malle. Per il produttore la collaborazione con Fellini, che già da un decennio era un regista internazionalmente apprezzato che praticamente a ogni uscita veniva candidato all’Oscar, sarebbe stato il definitivo riconoscimento come produttore di film d’autore e di qualità. Aveva debuttato producendo il misconosciuto “L’ombra di Zorro” e poi colpito da “Per un pugno di dollari” col quale Sergio Leone stava rinnovando il genere western (ma per lui la fama di maestro era di là da venire e gli spaghetti-western erano considerati film di serie B) produsse i due seguiti che formeranno “La trilogia del dollaro”: “Per qualche dollaro in più” e “Il buono, il brutto, il cattivo”. Quindi, dopo aver preso parte alla coproduzione italo-francese di “Tre passi nel delirio” stese davanti a Fellini tappeti rossi, come si dice, dandogli praticamente carta bianca, come si dice, perché realizzasse il suo Satyricon, che arriverà nelle sale come “Fellini Satyricon” per distinguerlo dalla concorrenza, che come la concorrenza, però, altrettanto incapperà nelle maglie della censura.

CHE REBUS QUEL REBIS… – L'Archipendolo
L’Ermafrodito

Fellini lo scrive insieme a Bernadino Zapponi, che aveva voluto come sceneggiatore del suo episodio in “Tre passi nel delirio” dopo aver letto una sua raccolta di racconti fantastici, “Gobal”, e sarà l’inizio di una lunga e proficua collaborazione. Per questo Satyricon la vena fantastica e gotica di Zapponi unita alla visionarietà di Fellini sforna una sceneggiatura meno fedele al libro e a cui aggiunge scene totalmente nuove, come quelle dell’oracolo ermafrodita e del Minotauro. Nel complesso il film che Fellini realizza, e da disegnatore creando anche dei bozzetti per la scenografia realizzata da Danilo Donati che firma anche i costumi, è un Satyricon frammentario in cui la storia dei protagonisti si mette insieme per accumulo di sequenze – e non ha la logica narrativa del precedente film; dell’altro Satyricon non ha neanche la satira ridanciana e divertita, ancorché volgare, ed è piuttosto un film cupo e letargico, ricco di una visionarietà simbolica, e dove l’altro semplificava per offrirsi a un pubblico di massa questo di Fellini si fa esoterico e si offre alla lettura di pochi, e il viaggio a tappe dei protagonisti, anziché spudorato e satiresco, diventa un percorso di conoscenza iniziatico pervaso dal senso incombente di morte.

Nella consapevolezza di dover raccontare un’epoca remota della quale umanamente non sappiamo nulla – se non dal materiale morto degli scritti e delle immagini, pitture mosaici sculture monete ceramiche – piuttosto che vivificare i personaggi in un contesto realistico e verosimile, ne fa delle maschere inserite in un mondo onirico e fantastico, spesso inceppati in gesti meccanici e ripetitivi, spesso salmodianti in lingue morte o sconosciute, latino o greco antico o dialetto africano, inseriti in scenari lunari che a volte sembrano installazioni d’arte contemporanea, installazioni che suggeriscono – senza banalmente descrivere – un mondo e un’epoca; altrettanto i personaggi non sono altro che maschere di trucco che nascondono altre maschere, ovvero gli attori, che Fellini vede – e vedrà in futuro – solo come vuote marionette che vivificano i suoi bozzetti, bellissimi o bruttissimi senza via di mezzo, senza volti resi anonimi dalla normalità, maschere con un fascino esasperato dal trucco o portatrici di una bruttezza congenita, di lineamenti imperfetti e membra distorte ricercati con cura fra i figuranti in cui Fellini inserisce i freak, nani e deformi e mutilati, in una fantasmagoria, però, in cui anche la bellezza è freak, un capriccio non della natura ma d’autore.

Fellini - Satyricon | Trailers and reviews | Flicks.com.au

Per Fellini gli attori, dunque, non sono altro che maschere e burattini, siano essi professionisti o gente presa dalla strada, stranieri o italiani, poco importa: per lui sono solo i suoi bozzetti che prendono vita tridimensionalmente, ai quali fa recitare anche una sequenza di numeri a cui poi darà un senso in sala doppiaggio. Un grande regista burattinaio, un Mangiafuoco che per decenni ha dato smacco ai professionisti volto-voce, che nell’utilizzare i suoi tipi presi dalla strada ha snaturato la pratica espressionista e stilistica del cinema del neorealismo che per rappresentare le sue storie vere in risposta al cinema manierato cercava i suoi interpreti fra la gente vera. Fellini è, suo malgrado e inconsapevolmente, un antesignano del cinema digitale dove i personaggi si creano con la computer grafica: lui prendeva le persone reali, analogiche, e attraverso il trucco e il doppiaggio le faceva diventare i suoi personaggi virtuali; una pratica che nel suo caso, poiché indiscutibile Maestro, era una componente del suo stile, ma che in molti altri casi era diventato un malcostume. Una pratica oggi resa assai più difficile grazie a una legislatura che impone la presa diretta per i film di produzione italiana, dove anche gli stranieri devono perciò recitare in italiano, cui però si aggiunge una nuova deriva: quella degli interpreti presi dalla strada che biascicano incomprensibilmente a prescindere dal loro dialetto.

Encolpio e Ascilto sono interpretati da due baldi giovani e sconosciuti stranieri, Martin Potter e Hiram Keller, che spesso percorrono in perizoma un film in cui il nudo è ancora più esibito che nel primo Satyricon offerto alle masse: lì restava funzionale alle scene erotiche e non si mostrava più che mezza chiappa o un seno vedo e non vedo; Fellini fa del nudo, anche integrale in campo lunghissimo, una cifra stilistica del suo film. Lo schiavetto Gitone, impersonato da Max Born, è meno presente ma più scollacciato e, benché sembri un adolescente è già diciottenne. Il 25enne inglese Martin Potter continuerà la carriera di attore fra cinema e tivù senza altri grossi exploit, mentre il coetaneo americano Hiram Keller, già modello adolescente che aveva avuto un piccolo ruolo nel precedente film di Fellini “Giulietta degli spiriti”, avrà una carriera fatta di ruoli secondari quando non addirittura marginali e si ritirerà nel 1982; morirà di cancro 53enne. Per Max Born il Satyricon rimane un’esperienza occasionale e oggi è un cantautore folk.

Fellini-Trimalchio | Doppiozero
Salvo Randone

Il poeta e parassita Eumolpo ha la mimica del grande siracusano Salvo Randone, qui doppiato da Renato Turi, e va specificato che avendo fatto molto cinema è stato qualche volta doppiato probabilmente a causa dei suoi impegni teatrali che costringendolo in tournée lo tenevano lontano dalle sale di doppiaggio romane; rimane indimenticato il suo Innominato nei “Promessi Sposi” Rai e anche lui purtroppo, come tanti altri professionisti dello spettacolo grandi e piccoli, finirà i suoi anni in miseria e gli verrà riconosciuto l’appannaggio della Legge Bacchelli.

Fellini-Trimalchio | Doppiozero

Per il ruolo del liberto arricchito Trimalcione, che nei frammenti del Satyricon di Petronio è il passaggio più ampiamente conservato, Fellini avrebbe voluto Bud Spencer che però rifiutò essendo prevista una scena di nudo, scena che poi nel film non ci fu più lasciando a Bud Spencer l’amaro in bocca. Nel film di quattro mesi prima Trimalcione è una figura centrale che dà a Ugo Tognazzi l’occasione di gigioneggiare e giganteggiare, ma nel film di Fellini il personaggio è ridimensionato e prende più spazio il rito orgiastico della cena.

Il ristorante romano “Al Moro” com’è oggi, che ricorda nella gigantografia il suo fondatore

Per questo personaggio Fellini ha il suo lampo di genio nello scritturare un oste romano, tale Mario Romagnoli proprietario del ristorante “Al Moro” e come Il Moro accreditato nel film: Fellini disse che era stato colpito dal suo sguardo “sabbioso” da “Onassis tetro”, e questo la dice lunga su quanto fosse evidente la sua visione cupa del Satyricon, in contrasto a quello solare colorato e ridanciano della concorrenza. Lo farà doppiare da Corrado Gaipa.

A fare da contorno a Trimalcione, e a metterlo in ombra con le loro danze orgiastiche e i loro baci lesbo, sono Fortunata Trifena e Scintilla; la prima è impersonata dalla francese Magali Noël venuta in Italia a interpretare ruoli di femme fatale, e che per Fellini aveva recitato in “La dolce vita” e di nuovo sarà in “Amarcord” con l’indimenticabile patetico dolce ruolo della Gradisca. Trifena, che percorre il film in altre scene, ha la bellezza statuaria della modella franco-svizzera Capucine, al secolo Germaine Hélène Irène Lefebvre, poi attrice a tempo pieno anche a Hollywood. Scintilla è la jugoslava Danika La Loggia, nata Pajovic e coniugata con un italiano, caratterista per un ventennio nel cinema italiano, chiude la sua carriera nel 1987 facendo letteralmente perdere le sue tracce.

Martin Potter - Rotten Tomatoes
Eumolpo e Lica mimano un matrimonio omosessuale

Il francese Alain Cuny, attore di gran classe con lunga frequentazione del cinema italiano, già con Fellini in “La dolce vita” è qui nel ruolo dell’ambiguo pirata Lica che ammaliato dalla bellezza di Eumolpo mette in scena un matrimonio omosex, graziosamente indossando un velo da sposa sul suo volto quadrato e segnato che ha dato e ancora darà vita a molti personaggi drammatici e complessi per registi come Michelangelo Antonioni, Louis Malle, Luis Buñuel, Francesco Rosi, Marco Ferreri, nonché interprete dell’unico film da regista del controverso scrittore Curzio Malaparte.

Un personaggio al giorno: FANFULLA | Commedia italiana

Al comico Fanfulla, all’anagrafe Luigi Visconti e nessuna parentela col regista Luchino, Fellini affida il ruolo di Vernacchio, il capocomico di una compagnia di attori che mettono in scena i vizi e i vezzi della Roma Imperiale in cui vivono, unico momento di satira in linea con il testo petroniano, la rappresentazione di una satira beninteso, ché a Fellini non importa fare satira né tanto meno essere storicamente accurato: i frammenti dell’antico testo sono per lui ispirazione per un film fantasy in cui l’immagine, l’estetica, i personaggi-marionette e le scene-contenitori, sono più importanti del testo stesso che diviene un percorso iniziatico per noi spettatori, dove ognuno può pure trovare quello che crede: sia una nuova ispirazione per ulteriori fantasie che una risposta ai propri dubbi e ai propri demoni. Fanfulla, che ha una sua compagnia di avanspettacolo con la quale gira l’Italia, è stato usato poco e male nel cinema dove ha recitato in ruoli secondari quando non del tutto marginali. Fellini è l’unico a dargli spazio e con questo film, benché anche lui doppiato, da Carlo Croccolo, vince il Nastro d’Argento come Attore non Protagonista ex aequo con Umberto Orsini per “La caduta degli dei” di Luchino Visconti; il terzo concorrente rimasto a bocca asciutta era Alberto Sordi per “Nell’anno del Signore” di Luigi Magni. Fanfulla lavorerà ancora con Fellini l’anno dopo in “I Clowns” ma finite le riprese morì d’infarto mentre era in tournée, a soli 57 anni.

Lucia Bosè morta di polmonite: addio alla star del cinema italiano e madre  di Miguel

Lucia Bosè, già gran diva del cinema italiano dopo essere stata incoronata Miss Italia nel 1947 sbaragliando altre bellezze che come lei si daranno al cinema, nell’ordine di prossimità al podio: Gianna Maria Canale, Gina Lollobrigida, Eleonora Rossi Drago e Silvana Mangano. Insieme al misconosciuto e poi sparito nel nulla Joseph Wheeler di cui resta traccia un secondo film, “Gradiva” del 1970, unica regia cinematografica di Giorgio Albertazzi, Lucia Bosè è protagonista di un quadro in cui una coppia patrizia si suicida bevendo veleno da coppe dorate per sottrarsi alle rappresaglie del nuovo imperatore, poiché fedeli sostenitori del vecchio regime. Anche qui, come per la satira nel quadro dedicato al teatro, Fellini mette in scena un’azione politica, politica insita nella satira petroniana ma del tutto occasionale e solo rappresentativa nel film. Egli vede la coppia con distaccato rispetto, quasi reverenziale, filmando la loro dignitosa pacatezza e mettendoli in scena, unici in tutto il film, senza fronzoli e senza un trucco esagerato, facendo risaltare la naturale bellezza di Lucia Bosè e l’avvenenza del suo sconosciuto compagno di scena.

Completano il cast l’ex culturista americano Gordon Mitchell, qui nel ruolo di un predone ma nel nostro cinema protagonista di tanti peplum della serie di Maciste e di tanti poliziotteschi e spaghetti-western. L’altrettanto aitante Luigi Montefiori, che abbiamo già visto in “Bordella” di Pupi Avati del 1976 e che con lo pseudonimo di George Eastman avrà anche lui una proficua carriera nel nostro cinema di serie B, qui interpreta un gladiatore travestito da Minotauro che, dopo aver lottato sconfiggendo l’imbelle Encolpio, chiede di salvarne la vita all’imperatore, imperatore che Fellini fa impersonare en travesti alla francese Tanya Lopert.

Le tre vite di Marcella: uomo, donna nel fulgore della sua bellezza come appare nella copertina della biografia, e infine anziana serena signora

Il proconsole dell’imperatore è affidato alla mimica di Marcello Di Folco, un nome che merita una specifica messa a fuoco. Qui è al suo debutto cinematografico, scoperto da Fellini mentre si aggirava a Cinecittà per consegnare una lettera, che lo prende sotto la sua ala protettiva e facendosene in qualche modo pigmalione. Marcello era un estroverso omosessuale protagonista delle trasgressive notti romane che ruotavano attorno al Piper Club. Fu l’inizio di una carriera cinematografica fatta per lo più di piccoli ruoli equamente divisi fra cinema di serie A e B, da “In nome del popolo italiano” di Dino Risi a “Quant’è bella la Bernarda, tutta nera, tutta calda” di Lucio Dandolo. Fellini lo volle di nuovo in “Roma” e soprattutto in “Amarcord” dove interpretò il principe Umberto di Savoia cui si offre la Gradisca di Magali Noël con la leggendaria frase “Signor principe… gradisca.” Questo ruolo gli fece guadagnare quello di protagonista nella miniserie Rai “L’età di Cosimo de’ Medici” firmata da Roberto Rossellini. Ma viveva una forte depressione a causa della sua disforia di genere e nel 1980 si risolse al gran passo e volò a Casablanca per cambiare sesso: in quegli anni era attivamente impegnato nel Movimento Italiano Transessuali che si batteva per fare approvare in Italia una legge sul cambio di sesso, approvata nel 1982. Come donna lavora per l’ultima volta con Fellini in “La città delle donne”, 1980. Intraprende la carriera politica e fu eletta consigliere comunale a Bologna nel 1995, prima donna al mondo eletta a una carica pubblica ad essere nata maschio. Morirà 67enne di tumore nel 2010. Nel 2014 le viene dedicato il film documentario-biografico di Simone Cangelosi “Una nobile rivoluzione” di cui ho parlato in questo blog. Nel 2019 esce il libro “Storia di Marcella che fu Marcello” scritto da Bianca Berlinguer. Per la sua carriera cinematografica ha recuperato il cognome Di Falco che un errore di trascrizione all’anagrafe aveva trasformato in Di Folco.

Un altro debutto è quello del 19enne Alvaro Vitali, un elettricista con la passione per il ballo e il canto, che Fellini mette sul palcoscenico del capocomico Vernacchio come imperatore bamboccio e fantoccio: non più che una figurazione di pochi secondi ma bastevoli a farci riconoscere il suo inconfondibile viso dall’espressione eternamente smarrita. Fellini lo userà ancora in “I Clowns”, “Roma” dove finalmente potrà ballare il tip-tap come ballerino d’avanspettacolo, e “Amarcord”; mentre per conto suo si avvia a una brillante carriera con piccoli ruoli da caratterista in film importanti: “Che?” di Roman Polanski, “La Tosca” di Luigi Magni, “Rugantino” di Pasquale Festa Campanile, “Polvere di stelle” di Alberto Sordi… Lo nota il produttore di film di genere Luciano Martino e decolla la sua carriera come spalla in commedie più o meno sexy e poi protagonista della serie di Pierino. Concluso quel filone oggi lamenta di essere stato dimenticato.

Altri interpreti in piccoli ruoli: Carlo Giordana, fratello minore del più noto Andrea, nel ruolo di un capitano di vascello; e come figuranti il comico americano Richard Simmons e un ragazzo che risponde al nome di Renato Fiacchini e che impareremo a conoscere come Renato Zero. La critica dei decenni posteriori è divisa nel considerare questo film un capolavoro o al contrario uno dei film minori di Federico Fellini. Io propendo per la definizione di capolavoro imperfetto perché decisamente non si può considerare minore data la sua sontuosità ma neanche perfetto per tutta una serie di annotazioni che ognuno può personalmente trovare. Di fatto fu un successo commerciale che l’anno dopo avrà una parodia a firma Mariano Laurenti con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia e intitolato “Satiricosissimo”. Ovviamente Fellini ebbe anche la nomination come Miglior Regista all’Oscar 1971, insieme a Ken Russell per “Donne in amore”, Robert Altman per “M*A*S*H”, Arthur Hiller per “Love Story” e Franklyn J. Shaffner che vinse con “Patton, generale d’acciaio”. Ma adesso sono curioso di vedere il film a episodi al quale ha partecipato: “Tre passi nel delirio”.