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Casino Royale – la parodia

1967. la serie su James Bond 007 è al quinto film e il suo interprete, Sean Connery, vuole lasciare perché comincia a preoccuparlo l’eccessiva immedesimazione, da parte del pubblico, del personaggio con l’interprete, e teme di restare intrappolato in quel chiché. E a creare scompiglio arriva questo film parodia che il produttore Charles Feldman mette su con la “Famous Artists Productions” per approfittare del vuoto di diritti che si era creato su “Casino Royale”, già realizzato come telefilm per la serie americana “Climax!” (nell’articolo precedente) e che non era nel portafoglio di Albert Broccoli per la “United Artist”. In realtà la vicenda che porta alla realizzazione di questo film è più complessa…

1955. L’anno dopo che era stato realizzato il telefilm “Climax!” Ian Fleming vende i diritti di “Casino Royale” al produttore-attore-regista Gregory Ratoff, che nel 1950 aveva interpretato proprio un produttore in “Eva contro Eva” di Joseph L. Mankiewicz con Bette Davis e Anne Baxter. Ratoff affida la sceneggiatura a un giovane scrittore che tira fuori dal suo cilindro la trovata di trasformare James Bond in Jane Bond, magari affidando il ruolo a una diva che adorava, Susan Hayward. Ovviamente venne silurato. In seguito Ratoff non riuscì mai a mettere insieme i soldi per la produzione del film, e nel 1960 morì lasciando il progetto nel cassetto. Qui arriva Charles Feldman che acquista i diritti dalla vedova e subito l’Albert Broccoli futuro produttore degli 007 con Sean Connery, arrivato tardi alla compravendita si offre di acquistare a sua volta i diritti; ma Feldman, che già si prefigurava una produzione con Cary Grant protagonista, se li tiene stretti.

Nel 1962 esce il primo film prodotto da Broccoli: “Dr No” da noi intitolato “Agente 007 – Licenza di uccidere”, e dato il successo del film, Feldman accantonò il suo progetto. Ma, fra una cosa e l’altra, ci aveva già speso circa 550.000 dollari, qualcosa come 5 miliardi di dollari attuali, e non potendo permettersi il lusso di lasciarlo ancora in un cassetto, si guardò in giro per mettere insieme una produzione, tentando anche di soffiare al nemico Sean Connery, che gli chiese un milione di dollari per il disturbo. Arrivederci e grazie.

Passando di mano in mano la sceneggiatura arriva a Billy Wilder che la riscrive completamente ma anche il suo nome non è accreditato fra gli sceneggiatori che alla fine firmano il film. Un passamano che ciclicamente veniva riportato anche dalla stampa e sembra che la vicenda della pre-produzione abbia divertito più del film: era diventata la favola dello show-biz. Alla fine viene fuori che sarebbe stata una parodia e che ci sarebbero stati tanti James Bond. Ma non si sapeva ancora che ci sarebbero stati anche tanti registi oltre a tante intromissioni nello script: il disastro era nell’aria.

Intanto venivano fuori i nomi delle star scritturate, ed erano talmente tante, anche per apparizioni fugaci, che la ricchezza del cast, unitamente al personaggio 007, decretarono un enorme successo al botteghino, nonostante il film sia stato durante la lavorazione, e anche a prodotto finito, un grande pasticcio.

David Niven, che era già stato in predicato per il ruolo ufficiale di James Bond, qui interpreta l’agente segreto già in pensione, Sir James Bond, che nella sua residenza di campagna riceve la visita di quattro capi spia: “M” a capo dell’MI6 britannico, interpretato da John Huston, anche regista; William Holden in rappresentanza della CIA; Charles Boyer come rappresentante dei servizi francesi, e Kurt Kasznar per il KGB. Lo implorano di rientrare in servizio per combattere contro la misteriosa SMERSH, un’organizzazione criminale che sta uccidendo tutte le spie sul pianeta. Sir Bond rifiuta e “M” gli fa saltare in aria la residenza, per vendetta, restando però ucciso nell’attentato. Bond si mette in viaggio per la Scozia, per consegnare le spoglie mortali alla vedova, Deborah Kerr, divertita e divertente matrona “hilander” che nell’originale parla con accento scozzese, adattato dal doppiaggio italiano alla bell’e meglio, raddoppiando le erre, ma perdendo la gran parte del divertimento che era dovuto proprio al confronto del duro scozzese con lo scivoloso londinese. Un preambolo scozzese che nella sua comicità non resa dalla lingua, diventa per noi molto lungo, anche troppo. Sir Bond va quindi a rimpiazzare “M” nel posto vacante di capo dell’MI6 e la sua prima trovata è quella di rinominare tutti gli agenti come “James Bond 007” per confondere il nemico; ulteriormente, aiutato dalla sua assistente Moneypenny, interpretata da una giovanissima Barbara Bouchet che ancora non sapeva che sarebbe diventata una star della commedia sexy all’italiana, Bond decide di fare addestrare un agente maschio, Terence Cooper, a resistere a tutte le tentazioni femminili cui uno 007 va sempre incontro: una digressione che ammicca al sexy, piena di belle figliole, inutile dal punto di vista narrativo e che oggi definiremmo anche sessista: il film lo è ampiamente, pieno di belle ragazze, atletiche armate e pericolose ma sempre ammiccanti, un ben studiato campionario per guardoni anni ’60. A seguire, Sir Bond ingaggia la spia Vesper Lynd, interpretata da quella statuaria Ursula Andress che era già stata la prima Bond Girl all’epoca del primo 007; che a sua volta ingaggia l’esperto giocatore di baccarat Evelyn Tremble come ulteriore 007, per incastrare il famigerato Le Chiffre agente della SMERSH. E qui casca l’asino.

Per il personaggio di Tremble era stato scritturato Peter Sellers che con “La Pantera Rosa” di Blake Edwards e “Il Dottor Stranamore” di Stanley Kubrick era diventato una star. Ma l’attore era un maniaco depresso, sempre insicuro del proprio talento, e questo si fece risentire sul set di “Casino Royale”. Tanto per cominciare, oltre a riscriversi da sé le battute, ingaggiò un proprio sceneggiatore per riscrivere le scene solo dal suo punto di vista, per mettere in ombra i colleghi coi quali avrebbe dovuto recitare: Orson Welles, da cui era seriamente intimorito per la mole del personaggio, anche fisica, e Woody Allen, un altro maniaco depresso che però dalle sue nevrosi era riuscito a creare un personaggio e il conseguente successo; aveva recitato con lui in “Ciao, Pussicat” diretto da Clive Donner ma scritto dallo stesso Allen, e ne temeva il confronto. Allen, dal canto suo, stava anche lui mettendo mano alle sue scene. Inoltre Sellers era intrattabile anche perché il suo matrimonio con Britt Eckland stava naufragando e spesso spariva dal set, tanto da costringere sceneggiatori e registi a inventarsi nuove soluzioni. Si narra inoltre che la principessa Margareth, in visita sul set, sia stata monopolizzata dall’affabulatorio Orson Welles a discapito di Peter Sellers che non riuscì neanche a stringerle la mano. Sellers e Welles riuscirono a girare insieme solo un paio di inquadrature, poi a causa dell’odio reciproco, la scena clou al tavolo da gioco venne girata con controcampi separati, dato che nessuno dei due voleva recitare con l’altro; Welles definì Sellers un attore amatoriale e approfittò della sua assenza per arricchire la sua scena con surreali giochi di prestigio, per mettere in ombra il già ombroso collega. Il risultato è che la scena più importante del film, il duello con carte da gioco, scorre via insignificante. Dunque Orson Welles ha cannibalizzato quel Le Chiffre che Peter Lorre aveva tratteggiato con grande maestria nel telefilm. Woody Allen interpreta il nipote sciocco di Sir Bond, che alla fine si rivela la mente comicamente malefica dell’intero plot. E’ davvero notevole il suo apporto al film e in una lunga sequenza mimata e acrobatica è impareggiabile, degno dei divi del muto Chaplin e Buster Keaton.

Completano il pasticcio Joanna Pettet nei panni di Mata Bond, figlia di Mata Hari e James Bond, e in ruoli minori Jacquelin Bisset come agente SMERSH che tenta di uccidere Evelyn Tremble, Jean-Paul Belmondo che fa una rapida apparizione come legionario francese, George Raft, come se stesso che lancia una moneta sul tavolo da gioco, come aveva fatto nello “Scarface” del lontano 1932. Non accreditato appare anche Peter O’Toole che si è inserito sul set per il piacere di scherzare con i colleghi, visto che la lavorazione del film era già diventata una farsa dove ognuno faceva quel che voleva: veste il kilt di uno zampognaro di banda nell’incubo di Tremble, e di sfuggita gli chiede: “Lei è Richard Burton?” “No sono Peter O’Toole” gli risponde Peter Sellers; “Ah, un brav’uomo!” replica O’Toole: un “non sense” da teatro dell’assurdo. In ultimo: la sequenza che si svolge a Berlino viene chiusa con un primo piano a una guardia americana del “check point” accanto al Muro, un primo piano a un figurante che mi è parso sospetto, e nella fotografia del fotogramma non si riconosce forse quel Barry Nelson che fu il primo 007 in tv?

Oltre a John Huston, sono accreditati come registi Ken Hughes, Val Guest, Robert Parrish, Joseph McGrath. Con l’aggiunta di scene di raccordo filmante dall’attore-stuntman Richard Talmadge, per dire di quanto fu complessa e accidentata la lavorazione del film.

Climax! Casino Royale – il primo 007 in tv

Questa è l’unica locandina reperibile del telefilm che successivamente, dopo il successo dello 007 cinematografico, è stato commercializzato in videocassetta, e questa ne è la copertina. Ma andiamo con ordine.

Dal 1954 al 1958 la CBS (Columbia Broadcasting System) ha trasmesso 166 telefilm di un’ora nelle 4 stagioni di “Climax!”: episodi drammaticamente chiusi, conclusi, con storie diverse, a sé stanti, con il solo denominatore comune della suspense, introdotti, come si usava all’epoca, da una presentazione, in questo caso dell’attore William Lundigan, e interpretati anche da star del cinema come Lloyd Bridges (padre di Jeff e Beau), Mary Astor, Rita Moreno, Vincent Price, Shelley Winters, Lee Marvin, Zsa Zsa Gábor, Raymond Burr, Boris Karloff, Charlton Heston… Roba di lusso.

Il primo episodio è stato “The Long Goodby”, soggetto di Raymond Chandler dal suo romanzo omonimo, con Dick Powell come Philip Marlowe, che poi diverrà film nel 1973 diretto da Robert Altman e interpretato da Elliot Gould. Il secondo episodio è ispirato a un mistery del cinema muto, “The Thirteenth Chair” e col terzo arriviamo a 007 in “Casino Royale” dalla prolifica penna del militare inglese, al servizio segreto di Sua Maestà, poi diventato scrittore, Ian Fleming.

Ian Fleming ha il merito di avere rinnovato il mistery inglese, quello che noi chiamiamo “giallo” dal colore delle copertine della collana dedicata ai polizieschi dalla Mondadori; prima di lui c’erano solo Arthur Conan Doyle col suo Sherlock Holmes e Agatha Christie. Fleming scrive 13 romanzi in 13 anni e verrà pubblicato postumo “Octopussy”, raccolta di 3 racconti. Ma si gode la fama per poco: arriva alla notorietà solo dopo il successo cinematografico del primo film “Dr No” titolato da noi “Agente 007 – licenza di uccidere” nel 1962, con Sean Connery, e poi muore di infarto due anni dopo a soli 54 anni.

Ma torniamo a dieci anni prima, al 1954 e al suo primo romanzo “Casino Royale” che aveva pubblicato l’anno precedente. Dato che anche per lui è valso l’adagio secondo cui nessuno è profeta in patria, suscita più interesse negli Stati Uniti e la sua fatica diviene questo primo telefilm che avrebbe potuto essere il primo di una serie non fu mai realizzata. James Bond 007 viene americanizzato, da agente MI6 diventa CIA e viene chiamato familiarmente Jimmy, interpretato dal belloccio (per l’epoca) Barry Nelson, uno 007 dalla faccia a pagnottella e molto sui generis anche riguardo la scrittura: è vero che in un’ora è stato condensato un romanzo ma è vero anche che 007 non aveva ancora la sua Aston Martin e le sue armi segrete, al contrario è uno scagnozzo al soldo del cattivo che sfoggia un bastone con pistola silenziosa incorporata: sono prove tecniche per un prossimo immaginifico fiorire di armi e marchingegni fantasmagorici. Di Barry Nelson resta da dire la sua dignitosa carriera cinematografica che non lo ha mai portato nell’empireo delle star e una ricca frequentazione del piccolo schermo: “Alfred Hitchcock presenta”, “La signora in giallo”, “Ai confini della realtà”. Ha fatto molto teatro anche come regista e le sue ultime apparizioni al cinema sono nel catastrofico “Airport” del 1970 e in “Shining” di Stanley Kubrick nel 1980.

Al suo fianco compare la madre di tutte le Bond Girl interpretata da Linda Christian, che va ricordata per la sua sfolgorante bellezza che le valse l’appellativo (allora usava) di “anatomic bomb” e per il suo sfarzoso matrimonio romano con Tyrone Power che, innamorato di Roma, si inventò il nome di Romina per la sua primogenita, che come tutti sappiamo, poi, mise su famiglia in Italia col Claudio Villa dei poveri, Albano Carrisi.

L’agente segreto di contatto per 007 è interpretato dall’attore e regista Michael Pate, ma soprattutto veniamo al cattivo, personaggio chiave assai affascinante (in negativo) nelle storie di Fleming: qui è il russo chiamato Le Chiffre, patologico giocatore d’azzardo, interpretato dal caratterista di lusso Peter Lorre che dà una lezione di recitazione a tutti: modernissimo, senza ghigni, cattivo quasi per necessità e dunque ambiguamente simpatico.

Nel complesso il telefilm è una vera perla d’antiquariato in cui si fa fatica a riconoscere l’agente segreto che verrà, e lo stesso Barry Nelson dichiarerà in un’intervista che all’epoca non sapeva come interpretare il personaggio perché su di lui non c’erano informazioni utili, solo quello che si evinceva dal copione. E’ passato in tv nei canali Sky in versione originale sottotitolata e lo si può trovare su YouTube senza sottotitoli e con una qualità video relativamente scarsa.