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Il delitto Matteotti – Fascismo e Resistenza nel cinema d’autore

Gran bel film del 1973 che Florestano Vancini ha diretto da una sceneggiatura scritta con Lucio Battistrada, che pur rievocando minuziosamente fatti e personaggi di un momento preciso della nostra storia non è mai didascalico, anzi assai dinamico e coinvolgente e conserva una tale freschezza spettacolare per la quale potrebbe essere stato girato oggi.

Fatti e persone della vicenda. Nel 1924 il deputato Giacomo Matteotti, segretario del Partito Socialista Unitario, in un’infuocato intervento alla Camera dei Deputati mette in discussione il risultato delle elezioni politiche in cui il Partito Nazionale Fascista aveva ottenuto la maggioranza attraverso brogli e intimidazioni squadriste, di fatto denunciando l’operato di Benito Mussolini al momento Presidente del Consiglio dei Ministri ma non ancora Duce. Mussolini dà l’incarico di assassinare Matteotti ad uno dei suoi migliori e spietati sicari, Amerigo Dumini, un dandy facinoroso figlio e nipote di artisti fiorentini nato in America, da cui il nome di battesimo, che rientrato in Italia rinuncia alla cittadinanza statunitense per buttarsi anima e corpo nella Prima Guerra Mondiale come volontario fra gli Arditi del Battaglione della Morte del Regio Esercito Italiano: nomenclature che già dicono tutto di sé e delle proprie specifiche; a guerra conclusa continuò ciò per cui era nato e che meglio sapeva fare: menar le mani e uccidere, ed entrò nelle prime formazioni fasciste della sua città, Firenze, dove nel 1921 fonda il settimanale “Sassaiola fiorentina” per propugnare la sua idea di un fascismo particolarmente violento e oltranzista: un gentiluomo del manganello e dell’olio di ricino che al momento dei fatti narrati vanta, se ne vanta proprio, già otto omicidi. Il ritrovamento del cadavere di Matteotti, agevolato dal regime, avviene solo quattro mesi dopo quando non è più possibile stabilire le precise cause della morte; intanto le indagini in sede civile proseguono mettendo a repentaglio la tenuta del governo che vorrebbe avocare a sé il fascicolo. A quel punto Mussolini, con l’avallo del re Vittorio Emanuele III colpevole di non aver compreso la portata dei fatti, scioglie le camere e di fatto si fa Duce (nella Roma antica era un titolo onorifico concesso a capi militari vittoriosi o a funzionari civili benemeriti) del partito unico che per vent’anni guiderà l’Italia attraverso la soppressione della libertà di stampa e di pensiero e di tutto l’armamentario fascista ben noto.

Florestano Vancini recita un dirigente del PCI in “Cadaveri eccellenti” di Francesco Rosi nel 1976.

Il ferrarese Florestano Vancini, di quattro anni più giovane del Carlo Lizzani di cui ho detto nel precedente articolo, proprio per questi pochi anni probabilmente manca l’impegno attivo nella Resistenza contro il Fascismo e il suo impegno si trasferirà tutto nella sua cinematografia; dopo una proficua carriera come documentarista debutta nel 1960 con “La lunga notte del ’43” tratto da una delle “Cinque storie ferraresi” con cui Giorgio Bassani vinse il Premio Strega, film che parla di fascismo e antifascismo. Da lì in poi Vancini prosegue con una cinematografica di impegno civile e politico con uno sguardo alle storie intime e sentimentali dei personaggi che le compongono: in questo film racconta la vicenda collaterale, non strettamente necessaria alla narrazione principale ma che inquadra l’atmosfera dell’epoca, dell’aggressione al giornalista torinese Piero Gobetti che morì esule in Francia non ancora 25enne per le conseguenze dell’aggressione squadrista, e in una delicata scena lo racconta nell’intimità della sua casa con la moglie. E le due aggressioni, quella a Matteotti e quella a Gobetti, il regista le filma in modo identico raccontando col suo stile lo stile di quelle violenze, con primi piani e dettagli della dinamica confusione di membra – immettendo nell’aggressione a Matteotti dei fermo immagine che scandiscono drammatizzano e dilatano i tempi della violenza, con un magistrale montaggio di Nino Baragli che esalta lo stile dell’autore il quale mostra di non essere intimidito dalla narrazione precisa di fatti e ci mette del suo, andando oltre la cronaca romanzata e facendo poesia. Nel cast tecnico Dario Di Palma direttore della fotografia, musiche molto incisive di Egisto Macchi, scene di Umberto Turco e costumi di Silvana Pantani; al trucco, determinante, quel Rino Carboni col cui nome è ancora oggi possibile acquistare prodotti per il make-up.

A interpretare la giovane coppia ci sono il somigliantissimo palermitano Stefano Oppedisano, già attivo al cinema e nel doppiaggio che ha sempre mancato la grande occasione, e la nascente diva del teatro d’avanguardia romano Manuela Kustermann, e il meglio deve ancora venire.

Gastone Moschin, Vittorio De Sica, Franco Nero, Mario Adorf, Riccardo Cucciolla

Franco Nero, quasi irriconoscibile sotto un trucco che lo fa di oltre dieci anni più anziano, (ma che rimane assai più bello dell’uomo politico) è il protagonista del titolo che apre il film con l’acceso intervento in parlamento che condannò Matteotti alla morte: l’attore recita con foga e indiscutibile talento un monologo assai lungo e complesso, veramente da applauso, e lascia la sua impronta sul resto di un film corale dove si fronteggiano attori altrettanto eccellenti, alcuni davvero di rango. Il tedesco figlio naturale di un calabrese Mario Adorf, attivissimo nel cinema italiano, interpreta probabilmente il miglior Mussolini visto sullo schermo ma c’è da dire che questa performance in verità conta due interpreti: Adorf ci mette la maschera e la mimica ma l’interpretazione vocale è tutta del doppiatore Ivo Garrani, e le due interpretazioni non sono separabili l’una dall’altra. Ricordiamo che oltre a Rod Steiger, Mussolini è stato interpretato da George C. Scott nella serie tv “Mussolini: the untold story”, Antonio Banderas nell’altra serie tv “Il giovane Mussolini”, Bob Hoskins nel film tv “Io e il Duce” di Alberto Negrin, Claudio Spadaro in “Un tè con Mussolini” di Franco Zeffirelli, Massimo Popolizio nel satirico “Sono tornato” di Luca Miniero, Filippo Timi in “Vincere” di Marco Bellocchio e un’altra serie tv è in preparazione con Luca Marinelli.

Nel resto del cast nomi di rango che fanno a gara a chi lascia il segno più incisivo. Umberto Orsini, doppiato però da Gianni Musy, tratteggia l’assassino Amerigo Dumini come un’adorabile canaglia, e fra i politici oppositori in parlamento Gastone Moschin è il socialista Filippo Turati, Riccardo Cucciolla è il comunista Antonio Gramsci, il regista Damiano Damiani che è doppiato da Michele Gammino presta la maschera al democratico Giovanni Amendola; il caratterista teatrale Giulio Girola che aveva debuttato al cinema sei film prima in “La dolce vita” di Federico Fellini è qui alla sua ultima interpretazione nel ruolo di Vittorio Emanuele III. Vittorio De Sica impersona con la sua solita autorevolezza il giudice Mauro Del Giudice (nomen omen) un integerrimo magistrato già fermo sostenitore dell’indipendenza della magistratura in quel fascismo che tutto permeava, il quale indaga sul delitto assistito e controllato dal fascista Umberto Tancredi interpretato da Renzo Montagnani. Da citare e ricordare: l’ex povero ma bello Maurizio Arena ingrassato e con un carriera ormai in declino qui nel ruolo di un comunista, il cantautore Gino Santercole fa il camerata fascista, Pietro Biondi e Cesare Barbetti sono due giornalisti di regime. E ancora: Mico Cundari, José Quaglio, Ezio Marano nell’impossibilità di ricordare tutti i nomi di attori noti e meno noti che compongono questo riuscitissimo affresco.

Per il suo successivo film Florestano Vancini tornerà nella sua Ferrara con una storia d’amore degli anni ’30 “Amore amaro” sempre in epoca fascista e sempre attraverso la lente della sua personale Resistenza: quando l’impegno professionale e artistico coincidono totalmente con l’impegno civile.