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Il ritorno dei magnifici sette

Dopo il grande successo del 1960 (qui il link con un approfondito ritratto di Yul Brynner) il sequel arriva dopo ben sei anni, segno che non tutto è andato come doveva e d’altronde il protagonista, che fu anche produttore, aveva già altri impegni in corso, ricordiamo soprattutto le escursioni fra i cosacchi della sua natia Russia in “Taras il magnifico” e fra i Maya con “Il re del sole” entrambi diretti da J. Lee Thompson. Alla fine il progetto andò in porto con un impegno ridotto di Brynner sul versante produttivo, il quale aveva puntualizzato che per girare questo sequel non voleva più avere a che fare con Steve McQueen che gli aveva creato non pochi problemi (sempre nel link tutti i dettagli), e McQueen d’altronde si dichiarò disinteressato ritenendo la trama troppo assurda: non che la trama del primo capitolo fosse così realistica, però. Ma se lì c’era alla regia John Sturges che era riuscito a creare un film evento, qui c’è il regista “di genere” Burt Kennedy, ex ballerino e attore teatrale che cacciato dal palcoscenico per scarso talento si è riciclato come sceneggiatore radio-televisivo, passando poi al cinema principalmente come regista di discutibili western serviti nelle più svariate versioni: melodrammatico, parodistico, comico; il suo unico successo arriverà l’anno dopo questo film con “Tempo di terrore” noto da noi anche come “Tempo di uccidere” con Henry Fonda.

Di fatto questo sequel non è male anche se la sensazione del già visto è sempre presente; ci sono bei movimenti di macchina e scoppiettanti sparatorie, e anche alcuni tentativi di innovazione nella trama che gioco forza ricalca quella dell’originale: lì c’era un cattivo che sfruttando terrorizzava un povero villaggio messicano, qui i villaggi diventano tre e il cattivo è spinto dal sentimento di vendetta, di padre cui hanno ucciso i figli, più che dalla brama di potere. A inizio film ci sono poi dei quadretti folcloristici con una corrida, una ballerina di flamenco e una lotta di galli: roba che fa spettacolo e allunga il brodo. Come nel primo film si compone poi il gruppo dei sette cui sono sopravvissuti il personaggio di Brynner che è l’unico del cast originario a tornare.

L’altro era quello di McQueen che si era lamentato della pochezza delle sue battute e che qui sarebbe rimasto molto compiaciuto nel vedere che ora il suo personaggio parlava più di quello del protagonista assoluto: il capo dei “I magnifici sette” che prima parlava tanto qui si fa più taciturno acquistando in fascino enigmatico: viene da pensare che aveva fatto scuola il silenzioso Uomo Senza Nome che Sergio Leone aveva creato nel 1964 inaugurando la sua Trilogia del Dollaro con Clint Eastwood. Il terzo personaggio sopravvissuto era quello di Chico che era stato interpretato dal tedesco Horst Buchholz che con quel film si lanciò nel panorama internazionale e ora non aveva certo intenzione né tempo di rifare il chico messicano in un sequel che si prevedeva senza infamia né lode.

Robert Fuller con Yul Brynner

I nuovi magnifici sette con Brynner al comando furono Robert Fuller in sostituzione di McQueen: un attore principalmente noto per le sue partecipazioni nelle serie western televisive nelle quali prevarrà il resto della sua carriera. Poi, dati i problemi col governo messicano durante la lavorazione del primo film, Il sequel fu girato in Spagna, dove i nostri andavano a girare gli spaghetti-western, e il resto del cast, dei figuranti e delle maestranze furono ingaggiati sul posto; a sostituire Buchholz venne chiamato il già noto il patria Julián Mateos che dopo questo ruolo restò a lavorare in Spagna senza più partecipazioni ad altri film internazionali. Di seguito anche la donna che il personaggio aveva sposato alla fine del film, la messicana Petra già interpretata da Rosenda Monteros, viene qui impersonata da Elisa Montés, un’attrice principalmente teatrale che nella sua carriera cinematografica ha anche lavorato all’estero, e da noi in “Noi siamo le colonne” del 1956 diretto da Luigi Filippo D’Amico.

Jordan Christopher

I restanti quattro dei sette furono: Warren Oates, caratterista anch’egli proveniente dai western tv, che aveva già lavorato col regista Burt Kennedy e che da qui in poi si ritaglierà una carriera cinematografica come interprete di rango; Claude Atkins, già noto attore con volto da duro che qui ha forse il personaggio più interessante, perché il più tormentato; concludono con ruoli decisamente secondari l’americano Jordan Christopher, più cantante che attore con un bel faccino qui spacciato per il messicano Manuel, e il portoghese Virgilio Texeira che già dal decennio precedente si era trasferito negli Stati Uniti ma che tornò in patria per occuparsi di politica e della società degli autori, la nostra SIAE.

Virgilio Texeira e Warren Oates

Accanto a questi nuovi magnifici sette che di magnificenza ne trasudano ben poca, compreso il capostipite Brynner che alla fin fine appare appannato e stanco, brilla invece l’interpretazione dello spagnolo Fernando Rey nel ruolo del prete che fa da portavoce ai ribelli: un attore di gran classe che aveva cominciato in patria come doppiatore di calibri tipo Laurence Olivier e Tyrone Power e che fu lanciato sul grande schermo dal grande Luis Buñuel e che da lì in poi fu presente sia in moltissime produzioni internazionali importanti che in film di genere anche italiani, arrivando a lavorare pure con Franco e Ciccio. La sua interpretazione dà così tanto lustro a questo sequel che verrà scritturato anche nel film successivo “Le pistole dei magnifici sette” per ricoprire un diverso personaggio: cosa che capita raramente. In ogni caso il film, pur senza bissare il successo del primo capitolo, si comportò bene al botteghino tanto da avere un altro seguito, e non solo uno.

Fernando Rey, Julián Mateos ed Elisa Montés