Archivi categoria: i magnifici sette cavalcano ancora, 1972

I magnifici sette cavalcano ancora

Con la saga de “I magnifici sette” cominciata 12 anni prima, quello che ha fatto più soldi, oltre al produttore Walter Mirisch, è sicuramente il compositore Elmer Bernstein che piazzò questa sua colonna sonora fra le più ascoltate e oggi è sempre inserita nelle compilation delle più belle musiche hollywoodiane: di film in film aggiunge qualche variazione, qualche nuova melodia di accompagnamento alle nuove scene, e per il resto ci campa di rendita, che è il riconoscimento migliore per chi ha talento; nel corso della sua carriera ha ricevuto 14 nomination all’Oscar e solo una statuetta nel 1968 per il dimenticato musical “Millie” di George Roy Hill con Julie Andrews; vinse anche due Golden Globe, un Emmy e un Academy Award.

In questo 1972 si conclude malinconicamente la gloriosa saga con un film raffazzonato e noioso, scritto male e diretto peggio. Il protagonista Chris Adams è ormai un brand che può interpretare chiunque e in quest’ultimo capitolo ne veste i panni Lee Van Cleef che sette anni prima era stato miracolato da Sergio Leone che era andato a scovarlo quando l’attore stava ormai rinunciando al cinema per darsi la pittura: in “Per qualche dollaro in più” tutti i dettagli. Partecipa anche al terzo capitolo della Trilogia di Leone e per i successivi cinque anni resta in Italia dove gira altri sei spaghetti-western prima di essere richiamato in patria dove però continua con altri western di serie B, e per gli anni successivi farà avanti e indietro di qua e di là dall’Atlantico: questo suo Chris Adams è senz’altro il primo ruolo significativo in una produzione hollywoodiana, ma ahilui la gloriosa saga è ormai allo sbando.

Scrive Arthur Rowe che essendo principalmente uno sceneggiatore per la televisione ne ripropone i moduli e l’andamento, pedissequamente assecondati dalla piattissima regia dell’altrettanto televisivo George McCowan: movimenti di camera come in uno studio tv, carrellate e zoom come in una sit-com, e massima disattenzione ai dettagli: stuntmen che si buttano giù dal cavallo in ritardo sugli spari e gli scoppi, e si vede pure chiaramente che si buttano in modo di non farsi male. La produzione seriale televisiva aleggia sin dall’inizio e ci si predispone allo sbadiglio quando non all’irritazione. Sorprende che il produttore abbia messo su questa farsa, ma probabilmente neanche lui ci credeva più e pensava di grattare il fondo del barile.

Pedro Armendáriz Jr. e William Lucking

Il pistolero mercenario dal cuore d’oro si è qui sistemato e sta mettendo su famiglia; è diventato sceriffo di una cittadina dell’Arizona sul confine con quel Messico dove si sono svolte le sue precedenti avventure; e ha una bella moglie in attesa di prole che invece di stare a casa a preparare torte, come fanno le brave mogli del west, va a spettegolare nell’ufficio del marito con vista sulle celle dove i delinquenti possono intrattenersi con le mamme addolorate: tutto assai improbabile.

Mariette Hartley, prima a sinistra.

Se è plausibile che un pistolero che cavalcava ai limiti della legge diventi un tutore dell’ordine – nel vecchio west accadeva questo e molto peggio, l’importante era saper sparare – non è assolutamente credibile che due donne si ritrovino a chiacchierare amabilmente davanti alle celle dei malviventi colà imprigionati come se fossero dal parrucchiere: la logica della piatta scrittura non si preoccupa del contesto, anche storico e culturale, ma solo di mettere in scena i suoi personaggi per portare avanti una storia altrettanto improbabile.

Lee Van Cleef con Stefanie Powers

La novità del film è che il secondo nome del cast sempre necessariamente virile è qui femminile: Stefanie Powers, che era diventata popolare grazie alla serie tv “Organizzazione U.N.C.L.E.” e che più avanti sarà amata protagonista della serie “Cuore e batticuore”. Attrice che capeggia un’armata di donne, vedove o vedove bianche a causa del solito bandito messicano che scorrazza di qua e di là dal confine. E questi ultimi magnifici (si fa per dire) sette, lo sceriffo li mette insieme assoldando cinque di quei delinquenti che aveva sbattuto dietro le sbarre, più un giornalista che era venuto a raccoglierne le prodezze passate per scriverne un libro.

Il giornalista è Michael Callan, ex attor giovane canterino già nel cast della versione teatrale di “West Side Story” ma che cine-televisivamente non lascerà una gran traccia di sé. Gli altri cinque sono: Ed Lauter, uno stand-up comedian che qui debutta sul grande schermo e che si ritaglierà una lunga proficua carriera di caratterista; il messicano originale Pedro Armendáriz Jr. che come il padre partecipò a uno dei film della saga di 007; Luke Askew che aveva appena avuto un piccolo ma fondamentale ruolo in “Easy Ryder” di Dennis Hopper; James B. Sikking, altro caratterista molto televisivo; e William Lucking che in tarda età ha acquisito notorietà con la serie tv “Son of Anarchy”. Il cattivo ragazzo che innescherà tutta l’azione è l’oggi sconosciuto Darrell Larson, che si accompagna al cattivaccio Gary Busey che avrà il suo apice nel prossimo “Un mercoledì da leoni” di John Milius. Sul numeroso stuolo di belle signore al servizio dei sedicenti magnifici si staglia, oltre alla Powers, Mariette Hartley come querula ma sfortunata moglie del protagonista.

Fu il primo (oltre che l’ultimo) film della serie interamente girato negli Stati Uniti fra una linda cittadina del vecchio west che fece da sfondo a moltissimi altri film e serie tv, e gli spazi rocciosi e semi desertici che colà non mancano di certo senza la necessità di spingersi a girare in Messico, il primo film, e in Spagna, i primi due sequel. il film è talmente scialbo che fu ignorato anche dal mercato internazionale che solitamente riappianava gli scarsi introiti nazionali, ed ebbe una perdita netta di 21 mila dollari, e solo con i successivi passaggi televisivi si riuscì a coprire le spese. Se abbiamo visto gli altri film della serie va visto anche questo, solo per renderci conto di come si può cadere in basso e disperdere un iniziale capitale artistico ed economico, nella polvere. Letteralmente.

Ricapitoliamo: il primo film della tetralogia si ispirò a “I sette samurai” di Akira Kurosawa (1954) e seguiranno un remake fantascientifico che da noi venne intitolato “I magnifici sette nello spazio” (1980) ma il cui titolo originale fu più discretamente “Battle Beyond the Stars” perché probabilmente il produttore Walter Mirisch non accordò il permesso di utilizzare il titolo del suo brand; fu diretto da Jimmy T. Murakami che essendo stato principalmente un animatore dovette trovarsi in difficolta con gli attori in live action e gli venne in soccorso sul set Roger Corman, che era anche il produttore esecutivo e che non si volle accreditare nei titoli. Poi, siccome si torna sempre sul luogo del delitto, Mirisch si associò con la MGM per produrre una serie televisiva di 22 episodi che da noi fu trasmessa da Rai2 nel 2002. Al momento i remake si concludono col film del 2016 con Denzel Washington che non essendo stato un blockbuster non generò ulteriori sequel.