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Terminator – siamo tutti cyborg

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Negli anni ’80 a Hollywood ci davano per spacciati nel giro di 40-50 anni e il futuro post-apocalittico, post-atomico, veniva collocato sul finire degli anni 2020: nel 2027 in “Robocop” e nel 2029 il “Terminator”. Che dire? siamo agli inizi di questo decennio allora prefigurato come apocalittico e già andiamo tutti in giro con delle mascherine, con limitazioni di movimento e coprifuoco a macchia di leopardo, evitando di abbracciare anche gli amici più cari perché chiunque di loro potrebbe essere il nostro inconsapevole assassino: forse non sarà uno spettacolare cataclisma atomico a far finire il mondo come lo conosciamo, ma qualcosa più infinitesimale e silente, assai poco spettacolare, assai più inquietante: a riscrivere la fine del mondo non saranno più i muscolari sceneggiatori americani ma gli anemici esistenzialisti europei, una fine del mondo alla Michelangelo Antonioni o alla François Truffaut.

“Tornio e telaio” di Fortunato Depero, 1949

Sin dall’uscita del film si creò una confusione sui termini: il terminator fu definito cyborg assassino, ma più correttamente esso è un androide, ovvero un robot con sembianze umane ma nulla di umano al suo interno; mentre il cyborg, quello di “Robocop”, è un essere umano con parti non umane. L’idea di un uomo-macchina è stata lanciata all’inizio del Novecento dai teorici del Futurismo in Italia, prima avanguardia culturale europea. Poi, il concetto di cyborg, termine che contrae cybernetic organism, è nato in ambienti medici e bionici negli anni ’60, ipotizzando un essere umano potenziato con protesi meccaniche ed elettroniche per sopravvivere in ambienti alieni, poiché allora la ricerca spaziale era prioritaria, e si teorizzava la colonizzazione di mondi extraterrestri da parte di esseri umani che necessitavano di essere connessi alla tecnologia per sopravvivere in ambienti ostili. L’uso militare non era ancora previsto. Poi, nella realtà odierna, meno visibile, i cyborg sono già fra noi: sono coloro che portano un pace-maker o dei by-pass o delle estensioni metalliche nello scheletro. Detto questo tutti quanti noi siamo dei fyborg, termine meno noto che sta per functional cyborg, ovvero individui potenziati con estensioni non innestate nel corpo: parliamo di semplici orologi da polso ma anche di lenti a contatto e occhiali da sole, auricolari e tutta la tecnologia smart; anche stando alla guida di un’auto o impugnando un’arma siamo dei fyborg.

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James Cameron, i cui due ultimi film “Titanic” (1997) e “Avatar” (2009) fino allo scorso anno erano in testa nella lista dei film con maggiore incasso nella storia del cinema (sono stati scalzati da “Avengers: Endgame” che è balzato al primo posto) era all’epoca un trentenne appassionato di sci-fi con poche prospettive di successo. Aveva interrotto il corso di laurea in fisica per dedicarsi al cinema dopo che era stato folgorato da “Guerre Stellari”. Nel 1978 firma il cortometraggio “Xenogenesis” che già contiene gli elementi che caratterizzeranno il suo cinema: il futuro, la tecnologia, la guerra uomo-macchina. Si fa le ossa lavorando come tecnico di effetti speciali nell’equipe di Roger Corman e poi nel 1981 debutta come regista del sequel di “Piraña” di Joe Dante; il film, “Piraña paura”, come si usava all’epoca per i sequel di film a basso costo, venne girato in Italia per abbattere i costi e fu un disastro su tutti i fronti: ignorato da pubblico e stampa, porta la firma di James Cameron nonostante egli sia stato licenziato a metà lavorazione per l’evidente scarsa esperienza al momento di girare le difficili scene in acqua, e relegato nel ruolo di aiuto-regia dal produttore che completò il film come regista. Deve essergli bruciato molto, visto che poi nel 1989 si prenderà una clamorosa rivincita sull’elemento acqua scrivendo e dirigendo con successo “The Abyss”, prima di cimentarsi con il “Titanic”.

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Alla fine di questa disastrosa avventura, che sicuramente gli ha abbassato le difese immunitarie, finisce in ospedale per un’intossicazione alimentare, e fa un sogno, anzi un incubo: sogna un torso metallico che si trascinava fuori da un’esplosione mentre tiene in mano dei coltelli da cucina. Germina l’idea del terminator. All’epoca frequentava una certa Gale Anne Hurd (che avrebbe sposato alla fine del film), anche lei nello staff di Roger Corman come segretario esecutivo, e alla quale piacque il progetto; così, sognando in grande, i due piccioncini strinsero un accordo: lui le vendette i diritti del suo terminator per un dollaro e lei si impegnò a lanciarsi come produttrice del loro primo film; gli suggerì anche alcune modifiche allo script e d’amore e d’accordo fu accreditata come sceneggiatrice; solo in seguito, ad amore e collaborazione conclusi, lui dichiarò che effettivamente lei non aveva scritto nulla: al capitolo amori e disamori.

Il soggetto si definì come oggi lo conosciamo: dal futuro 2029 con la terra cosparsa di teschi e in cui sopravvivono un manipolo di umani che combattono contro le distruttrici macchine padrone del mondo, arrivano nel presente narrativo, il 1984, il cyborg che deve uccidere Sarah Connor, futura madre del leader della resistenza John Connor che condurrà gli umani alla vittoria, e il combattente Kyle Reese inviato da Connor per proteggere la donna. Al momento di definire il cast, James Cameron voleva, come cyborg, il suo amico Lance Henriksen che aveva diretto in “Piraña paura”, e per convincere i produttori si presentò all’incontro con l’attore già in costume da terminator. La produzione voleva anche una star, per favorire il successo economico, e propose per il ruolo del buono Kyle Reese, il culturista austriaco Arnold Scwarzenegger che aveva sfondato al botteghino con “Conan il Barbaro” e stava girando il sequel “Conan il Distruttore”, ma Cameron non era convinto perché Scwarzy era troppo grosso e il suo amico Lance al confronto sarebbe risultato troppo mingherlino; allora i produttori rilanciarono proponendo come terminator Sylvester Stallone e Mel Gibson, ma entrambi rifiutarono; fu fatto anche il nome del nero O. J. Simpson ma Cameron non riusciva a immaginarlo nel ruolo dell’assassino: sarebbero dovuti passare altri dieci anni perché la realtà superasse la finzione, quando a O. J. Simpson, nonostante la controversa assoluzione giuridica, rimarrà incollata per sempre l’immagine di duplice assassino, della moglie e dell’amante.

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Tuttavia, James Cameron accettò con molte riserve di incontrare Arnold Schwarzenegger per parlare del ruolo del buono, ma il culturista lo sorprese parlandogli di come immaginava l’interpretazione del cattivo e il resto è storia: il caro amico Lance Henriksen dovette farsi da parte e accettare un ruolo secondario, (sarà un androide per la regia di Cameron nel secondo capitolo di “Alien”) e Schwarzy firmò per essere il terminator nonostante i suoi palesi dubbi: sul set del secondo Conan dichiarò a un giornalista “E’ un film di merda che sto facendo, mi prenderà un paio di settimane”. Pensava che interpretare un robot in contemporanea al barbaro Conan sarebbe stato un interessante cambio di passo artistico, e anche qualora fosse stato un flop non avrebbe danneggiato la sua carriera. Al contrario, invece, la consolidò e fece di lui una vera star. All’epoca Scwarzy aveva ancora un forte accento tedesco e questo caratterizzò il suo terminator senza necessità di effetti sonori aggiuntivi: in tutto pronuncia 18 battute e meno di 100 parole; poiché non riusciva a pronunciare la frase I’ll be back cercò di far cambiare la forma contratta in quella completa I will be back spiegando che riteneva che il suo personaggio robotico doveva usare un linguaggio dichiarativo privo di contrazioni colloquiali; Cameron s’impuntò e alla fine l’austriaco pronunciò la frase meglio che poteva, creando inconsapevolmente una frase-icona che poi ripeterà in tanti altri film. Nello sconsiderato doppiaggio italiano I’ll be back diventa un aspetto fuori che non si lega con l’azione, quando il terminator torna sfondando l’ingresso con l’automobile.

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Michael Biehn interpreta l’altro protagonista, il combattente venuto dal futuro a salvare la madre del salvatore. “Terminator” fu il suo primo film di successo e con Cameron girerà anche il secondo “Alien” e “The Abyss”, poi la sua carriera procederà in film secondari o con ruoli secondari. Forse le aspettative create dal suo primo clamoroso successo hanno fuorviato le sue scelte future, perché è rimbalzato fra ruoli inspiegabilmente rifiutati e altri che non è riuscito ad agguantare arrivando sempre secondo. Anche Linda Hamilton, la protagonista femminile, è rimasta in qualche modo bruciata da “Terminator” e non ha più interpretato film o ruoli degni di particolare nota; solo il suo personaggio ha avuto più lunga vita nella serie tv “Terminator: The Sarah Connor Chronicles” interpretata però da Lena Headey. Tornerà in “Terminator 2 – Il Giorno del Giudizio” e nel sesto della serie “Terminator – Destino Oscuro” che è il sequel diretto del secondo ignorando tutti gli altri film che si sono succeduti. Staremo a vedere cosa succede…