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X-Men, giorni di un futuro passato

Li ho visti tutti, mi piacciono i super eroi e gli effetti speciali… ma, come pure si dice: visto uno visti tutti. In questo caso basta che sullo schermo scorrano le prime immagini e rivediamo i soliti super perché nella mente ritornino fatti e situazioni, tessitura della trama e dei rapporti fra i personaggi, a dimostrazione che dopo anni la saga è entrata a far parte della nostra cultura cinematografica. Dopo che in “X Men – L’Inizio” il cast si è arricchito con Michael Fassbender e James McAvoy come Magneto e Xavier da giovani, mentre da vecchi e originali sono Ian Mckellen e Patrick Stewart, non si poteva più fare a meno delle nuove star più sexy delle vecchie e così in questo capitolo passato e presente coesistono in una trama sempre ben costruita ma di cui poco ci importa se ci sono delle belle battaglie fra super poteri. Altre star irrinunciabili Halle Berry come stanca Storm, Hugh Jackman come Wolverine che incomincia a mostrare troppe rughe e Jennifer Lawrence in grandissima ascesa dopo i due “Hunger Games” e l’Oscar per “Il lato positivo”. New entry con super poteri nuovi e spettacolari, che proprio per questo sono la parte migliore del film, è Evan Peters star del fanta-horror tv “American Horror Story” qui nei panni di Quicksilver mentre nel viavai di supereroi ritroviamo Ellen Page/Kitty Pride, Nicholas Hoult/Beast, Shawn Hashmore/Iceman.

Nel composizione di quest’ultimo cast c’è il colpo di genio che è anche la grande occasione mancata per dare un colpo d’ala al film di genere: il bravissimo attore nano Peter Dinklage, già Golden Globe per il televisivo “Il Trono di Spade”, qui è nei panni del professore cattivo che vuole annientare gli x-men. La genialità sta nell’avergli dato il ruolo di persecutore dei mutanti – ma non la motivazione: il suo essere un mutante di bassa statura ma senza super poteri. E’ chiaro che in questo genere di film non c’è spazio per la psicologia ma sarebbero bastate un paio di battute ben piazzate per fare del nano un gigante di frustrazione e cattiveria. Siamo più dalle parte dell’attore di successo che acquista potere contrattuale e scavalcando i ruoli interpreta personaggi scritti per “normo dotati”, come a dire che la sua bravura di interprete ci fa dimenticare che è nano: accadde lo stesso a Whoopy Goldberg negli anni ’90, quando reduce dal successo de “Il colore viola” ricoprì dei ruoli scritti per attrici bianche e anche lì il talento scavalcava i generi… ma a dimostrazione che la potenza dell’interprete non sempre è convincente come asso piglia tutto, quella carriera piano piano finì: è una sorta di razzismo di ritorno, dove per dimostrare che non si è razzisti si passa sopra le naturali differenze come se non esistessero. Mentre il non-razzismo sta nell’accettare e valorizzare queste differenze. Speriamo dunque che Peter Dinklage non finisca anche lui nel tritacarne dello star system.