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Zack Snyder’s Justice League

4 ore di film. Che sorprendentemente non stanca, se non fosse per le umane contingenti necessità: la pipì, un caffè… Ma la fascinazione e la tensione narrativa sono tali che non si vuole interrompere, e non si vede l’ora di togliere dalla pausa la visione casalinga a cui la pandemia ha consegnato quest’opera magna, ché di questo si tratta. E non bisogna essere dei nerd appassionati dei fumetti DC Comics, o degli adolescenti ossessionati dai supereroi, per apprezzare questo film che ha il respiro solenne di quei classici del cinema dove l’eroe era sempre solitario e con qualcosa in più: Spartacus, Ben-Hur, Ercole, ma anche Mosè e Gesù e Lawrence d’Arabia e, unica donna eroina del cinema epico, Cleopatra; personaggi il cui super potere era la forza fisica ma anche l’integrità morale, o l’astuzia, o la fede, come anche l’orgoglio o l’amore o la follia, una caratteristica che diventata estrema si fa segno caratteristico e, dunque, super potere. Chi non ha amato quei film?

The Great Comic Book Conflagration | Lapham's Quarterly

Ciò che ci tiene lontani dall’universo dei moderni super eroi è la loro modernità. Segno del nostro disprezzo aprioristico per tutto ciò che non sia classico, che non venga dalla letteratura alta o dai miti della nostra storia millenaria. Questi sono eroi in maschera, che abitano una mitologia nata dalla fantasia di nostri contemporanei d’oltre oceano come letteratura di quart’ordine per ragazzi, da leggere nel tempo libero o di nascosto; fino a quando questa letteratura non è esplosa come fenomeno di massa che ha spinto di lato sugli scaffali i classici, e gli scarni albi a fumetti sono diventati patinati libri di graphic novels per quei ragazzini che diventando adulti si sono affrancati dai sensi di colpa e di inferiorità e hanno scelto di credere in Superman.

Justice League, tutti gli Easter Egg nascosti nella Snyder Cut!

A mio avviso è questo il senso del contendere: è in atto una rivoluzione culturale dove un Paese relativamente nuovo ma soprattutto potente e pervasivo, gli Stati Uniti, sta ridisegnando per sé, ed esportando nel mondo, una nuova mitologia fatta a proprio consumo e a propria somiglianza, che non disdegna di cercare connessioni con le vecchie mitologie europee così come non si fa scrupolo nel polverizzarle per impastare nuovi idoli. Il punto è che siamo coevi e testimoni di questo cambiamento e – o restiamo indietro fedeli agli antichi miti – o ci incamminiamo in questo futuro incerto e in continua trasformazione. I sacerdoti non abitano più all’ombra delle piramidi o nei retrobottega del Monte Olimpo, e anche lo sfarzo ostentato del Vaticano è in crisi di identità, mentre dalle parti della Mecca continuano a girare attorno al monolite nero avvitandosi su se stessi in un passato sterile che, senza un suo futuro, vuole imporsi nel nostro con la forza. Gli dèi indù respirano lievi e in buona salute rinvigorendosi nelle teorie degli antichi visitatori alieni, mentre i filosofi con gli occhi a mandorla seguono il mondo con sempiterno distacco. E in questo vecchio mondo così ricco di espressioni mitiche, i nuovi sacerdoti americani ancora non sanno di essere dei sacerdoti e operano per quello che al momento sono: creatori di fumetti e di film fantasy, inventori di miti che hanno già nel mondo milioni di adepti. E l’azione di fede richiesta è onesta e dichiarata: compri, paghi, leggi, vedi. Non c’è l’inganno del sacrificio da offrire, dell’obolo da dare, dell’indulgenza da acquistare o dell’otto-per-mille da versare. Del resto sono già del 1971 i “New Gods”, il gruppo dei primi supereroi DC Comics inventati e disegnata da Jack Kirby, e a cui questa Lega di Giustizieri si ispira direttamente.

Tu lo conosci, Joker?

Il punto è che in questa rivoluzione in atto ci sono molti creatori con visioni diverse, differenti espressioni creative che immaginano mondi diversi che poi entrano in collisione fra loro, personaggi che in un mondo vivono e in un altro muoiono – e allora che si fa? Ecco il multiverso, il multi universo, i mondi paralleli dove possono esistere contemporaneamente i diversi scismi, cattolici protestanti e ortodossi che coesistono senza più darsi battaglia e ognuno raccontare il mondo che vuole, il Batman di Christian Bale che convive col Batman di Ben Affleck, il Joker di Heath Ledger che vivrà per sempre nonostante quello di Jack Nicholson, mentre il Joker di Jared Leto sfida dal multiverso il Joker di Joaquin Phoenix. Per dirne una: Harley Quinn qui è morta per mano dell’ex fidanzato Joker ma in un altro universo cinematografico, “Birds of Prey” è viva e vegeta. Ma questo multiverso è al momento un mondo ideale verso cui aspirare, chiusi in casa davanti ai nostri personali schermi, al riparo da virus pandemici, senza più gli scontri fisici e sanguinari dei crociati o il pericolo degli ordigni esplosivi nei bar, dove guardiamo combattere i nostri nuovi dèi che possiamo mettere in pausa quando vogliamo.

Superman: il mantello usato da Christopher Reeve è il più costoso tra  quelli per supereroi

Zack Snyder debutta come regista nel 2004 con “La notte dei morti viventi”, blockbuster remake del capolavoro horror dell’allora debuttante (1968) George A. Romero. Continua con un altro campione d’incassi e firma la regia di “300” dalla graphic novel di George Miller. Ma è nel 2013 che entra nell’universo DC Comics col suo Superman “L’Uomo d’Acciaio”. Prima di questo Superman ricordavamo i quattro film con Christopher Reeve degli anni ’80. Nel 2006 c’è stato il “Batman Returns” firmato da Bryan Singer in libera uscita dagli X-Men della Marvel, e benché generalmente apprezzato dalla critica, a parte il protagonista Brandon Routh, non ha incassato quanto sperato ed è rimasto un episodio unico. Si arriva dunque all’idea di un altro reboot e il pacchetto – con il beneplacito di Christopher Nolan fra i produttori, già regista della rilettura dark e decadente della trilogia di Batman con Chrstian Bale – viene affidato a Zack Snyder, che ne condivide la visionarietà: siamo in un’epoca in cui i supereroi perdono innocenza e purezza e si incupiscono come gli umani su cui dovrebbero vegliare. I supereroi ora soffrono come noi umani, hanno dubbi e sensi di colpa, sentono la loro inadeguatezza e patiscono anche fragilità sentimentali: se da un lato ci consola vederli uguali a noi, dall’altro non ci fanno più sognare l’alterità della perfezione dei muscoli dell’intelligenza e dei superpoteri: sognavamo di affrancarci nel loro Olimpo e invece sono scesi fra noi. Le maschere acquisiscono umana complessità e psicologica profondità. E’ come se Arlecchino soffrisse di disturbo della personalità o Colombina di scarsa autostima femminile: non ci sono più certezze, non c’è più un supereroe che risponde alle nostre domande perché troppo impegnato a dipanare i propri dubbi, il futuro è apocalittico e senza lieti fine, lo schermo non è più fatto di colori puliti ed è un grigio mondo polveroso e post apocalittico.

Who Are Zack Snyder's Kids? A Look at His Personal Life and Children
La famiglia Snyder, Autumn è la terza da destra

Dopo “L’Uomo d’Acciaio” Zack Snyder ci serve la morte di Superman in “Batman V Superman: Down of Justice” che è anche il debutto di Ben Affleck come Uomo Ragno, un Batman stazzonato e con la barba incolta che niente ha da invidiare al Cavaliere Oscuro di Christian Bale e Christopher Nolan. Ed eccoci al terzo capitolo, quel “Justice League” che ha causato tanti guai. Circa a metà lavorazione il regista ha lasciato il set a causa di un grave lutto personale: la figlia 20enne Autumn muore suicida per cause mantenute riservate. Il regista Joss Whedon, già nel novero degli sceneggiatori, viene scelto da Snyder per concludere le riprese e curare la post produzione, che in film di questa portata e di questo genere sono un fondamentale segmento di regia. Il progetto sfugge di mano e il risultato è un film bocciato su tutti i fronti. A quel punto, critica e fan, ormai pienamente consapevoli di quanto fosse accaduto alla lavorazione, hanno cominciato a chiedersi cosa avrebbe potuto essere il film che non è più stato – e si è crea una petizione, cui hanno aderito anche alcuni membri del cast e della produzione, per avere uno Snyder Cut, una versione rivista e corretta dal regista.

Roberto Recchioni's - Zack Snyder's Justice League - La Recensione

Ma la Warner Bros. dichiarò che non era prevista la distribuzione di nessuna versione alternativa del film e anzi era già in lavorazione il sequel. Salvo poi cedere alle enormi pressioni – che in termini economici erano potenzialmente gli enormi profitti che “Justice League” non aveva garantito – e annunciare nel maggio 2020, in piena pandemia, che ci sarebbe stata la director’s cut distribuita on demand da HBO Max nel formato di miniserie di quattro episodi da un’ora.

il-casanova-di-federico-fellini-locandina-italiana-264035 - Chiamamicitta

Che nella versione del regista, ora al timone dell’operazione, per la quale ha ricevuto carta bianca e anche altri soldi per girare nuove scene, è diventato questo film di quattro ore completamente nuovo, col suo nome nel titolo, anche più grosso del titolo, cosa che a mia memoria era solo accaduto per “Il Casanova di Federico Fellini” nel 1976, e solo dopo che Fellini aveva lavorato per decenni mentre Zach Snyder è arrivato a questo in quindici anni circa. (Se ci sono altri film col nome del regista nel titolo per favore fatemi sapere così li aggiungo.)

Zack Snyder's Justice League - Film (2021)

Molto del materiale pubblicitario è in bianco e nero e il film è stato rilasciato nel formato 4:3, il quasi quadrato molto in uso fino agli anni ’50, che è anche l’ultimo periodo glorioso del bianco e nero. Ma probabilmente questa ispirazione (che io direi glamorous) e l’onda pubblicitaria da cavalcare sono venute dopo. La ragione sterilmente tecnica è che il formato era l’ideale, anche per la grande risoluzione pixel, ad essere proiettato nelle sale IMAX della HBO; ma poi è stato mantenuto anche per la sola pubblicazione on demand. L’altra ragione è che Snyder voleva una cesura e un cambio stilistico con la precedente Justice League, e va detto che aveva cominciato a sperimentare questo formato, che affascina anche il suo amico Christopher Nolan, già girando alcune scene del precedente “Batman v Superman: Dawn of Justice” che però è stato rilasciato nel classico wide screen 2,39:1. Sull’argomento il regista ha dato questa dichiarazione: “Il mio intento era che il film, l’intero film, venisse riprodotto in un gigantesco rapporto di aspetto 4:3 su uno schermo IMAX gigante. I supereroi tendono ad essere, come figure, meno orizzontali. Forse Superman quando vola, ma quando è in piedi è più in verticale. Tutto è composto e ripreso in questo modo. Si tratta di un’estetica completamente diversa.”

Zack Snyder's Justice League, recensione - Multiplayer.it

Il regista, cioè l’autore, ovvero il creatore – come definirlo? – nel ridisegnare i suoi nuovi dèi si spinge oltre il semplice o semplificante o semplicistico? – come definirlo? – film di supereroi, fumetto in movimento, e ne fa un film drammatico con l’andamento largo e solenne dei classici, dove gli eroi si mischiano alle persone reali e si prendono tutto il tempo necessario per raccontare la loro storia, umana o sovrumana poco importa, conta solo la profondità del racconto, le relazioni, l’ambiente, la personalizzazione dei singoli drammi. Sono personaggi che potrebbero essere stati raccontati da David Lean o Ingmar Bergman, da Michelangelo Antonioni o Martin Scorsese, le cui battaglie diventano apocalittiche perché è in gioco il destino dell’intera umanità. Gli effetti speciali e le scene d’azione cedono il passo ai drammi individuali che a loro volta confluiscono in un dramma epico in cui fra i comuni mortali vivono i supereroi, ma anche un essere umano il cui superpotere è la ricchezza, Bruce Wayne-Batman, e un uomo che è mezzo macchina, Victor Stone-Cyborg: una diversità di generi che pacificamente convive in un mondo ideale.

Ann Sarnoff, prima donna a ricoprire la carica di amministratore delegato della Warner Bros. (una Sorella nel regno dei Fratelli) all’uscita di “Justice League” aveva escluso sia il director’s cut che un eventuale sequel, dichiarando: “Vogliamo voci diverse. Certi fan che vogliono solo una voce potrebbero essere delusi, ma chiediamo loro di essere pazienti e di vedere quello che abbiamo in ballo, dato che anche le altre voci hanno delle storie altrettanto avvincenti da raccontare”. I fatti l’hanno smentita. E’ notizia recentissima di quest’altra sua dichiarazione: “Apprezzo che io fan adorino il lavoro di Zack e siamo molto grati per i suoi numerosi contributi alla DC. Siamo davvero felici che abbia potuto dare vita alla sua visione della Justice League perché questo non era in programma fino a circa un anno fa. Con ciò arriva il completamento della sua trilogia. Siamo molto felici di averlo fatto, ma siamo molto entusiasti dei piani che abbiamo per tutti i personaggi DC multidimensionali che vengono sviluppati in questo momento.” Evidentemente Sister Bros. non ama Zack Snyder ma staremo a vedere se i fatti la smentiranno ancora una volta. Gli americani, maestri di sintesi, hanno coniato il termine Snyderverse per parlare dell’universo di Zack Snyder e il movimento è potente e le prospettive di monetizzarlo sono ingenti. L’unico ostacolo reale è la pandemia che sta tenendo nei cassetti grandi film come l’ultimo 007 ultimo di Daniel Craig, per evitare che vengano svenduti on line e in tv.

Interpreti e personaggi principali:
Ben Affleck: Bruce Wayne / Batman
Henry Cavill: Clark Kent / Kal-El / Superman
Amy Adams: Lois Lane
Gal Gadot: Diana Prince / Wonder Woman
Ray Fisher: Victor Stone / Cyborg
Jason Momoa: Arthur Curry / Aquaman
Ezra Miller: Barry Allen / Flash
Willem Dafoe: Nuidis Vulko
Jesse Eisenberg: Lex Luthor
Jeremy Irons: Alfred Pennyworth
Diane Lane: Martha Kent
Connie Nielsen: Ippolita
J. K. Simmons: James Gordon
Amber Heard: Mera
Billy Crudup: Harry Allen, padre di Barry
Joe Morton: Silas Stone
Zheng Kai: Ryan Choi
 Lisa Loven Kongsli: Menalippe

Intravediamo
Robin Wright come Antiope
e Joe Manganiello come Deathstroke.

Alita, Oscar al servizio di un Manga da Oscar

E’ davvero solo un giocattolone fantastico? E’ quello che dicono due giovani mamme che hanno accompagnato i figli preadolescenti. E’ un giocattolone fantastico ma a mio avviso senza il solo e senza quel tono di sufficienza, e anzi se devo mettere un accento tonale trascrivo in grassetto l’aggettivo fantastico. Basti ricordare che uno dei primi capolavori cinematografici è “Viaggio nella Luna” di Georges Méliès, il primo giocattolone fantastico della storia del cinema da cui discende tutto il cinema fantasy dei nostri tempi. Quindi niente sufficienza ma molto rispetto per il genere.

Alita è un manga giapponese dell’autore Yukito Kishiro e devo ammettere che non sono un cultore del genere: si è diffuso in Italia negli anni ’90 e io all’epoca non pensavo più ai fumetti (ahimè!). Poco male, James Cameron (Terminator, Titanic, Avatar…) lo è, e da anni cercava di realizzare questo film per il quale ha finalmente trovato la sua interprete perfetta in Rosa Salazar a cui la computer grafica fa gli occhi più grandi, oggi tipici dei manga giapponesi, ma per il cui capostipite (Kimba il leone bianco) l’autore Osamu Tezuka si è ispirato al “Bambi” di Disney (1942) che poi per “Il Re Leone” si è a sua volta ispirato al manga di Osamu: ritorni e rimandi culturali della creatività. Ma attenzione: Cameron qui è sceneggiatore e produttore e la regia è affidata al Robert Rodriguez pupillo e amico di Quentin Tarantino e regista di film pulp come “Sin City” e “Machete” ma anche di teenager movie come “Spy Kids”: la combinazione perfetta per un manga in film.

In linea con il post-apocalittico tipico di tante creazioni giapponesi che hanno introiettato nel loro immaginario la tragedia dell’atomica, Alita è un cyborg in un futuro distopico la cui ambientazione somiglia a quella di “Blade Runner” ma senza la pioggia. E se il giocattolone fantastico ci fa sognare a occhi aperti – spettacolari le battaglie fra cyborg – non manca lo spessore di una storia che racconta la ricerca di una identità e nella quale non può mancare l’amore, ovviamente fra segreti da svelare e agnizioni finali.

Come mega produzioni passate con supereroi che ha visto nei ruoli di supporto (genitori, zii, amici, nemici…) attori di primissimo piano (ricordiamo Marlon Brando e Gene Hackman nel primo “Superman” del 1978) qui c’è uno schieramento di premi Oscar non da poco: il “cattivo” Christoph Waltz come buono e i “buoni” che qui fanno i cattivi sono Jennifer Connelly e Mahershala Ali. Lui, nello specifico, dopo una lunga carriera cine-tv e l’Oscar come Non Protagonista nel 2017 è ora lanciatissimo: al cinema è anche in “Green Book” già Golden Globe e in corsa per l’Oscar e in televisione è eccellente protagonista della terza serie di “True Detective” in onda su Sky.

Il film è sia adrenalinico che emozionante e il tema della storia è un traffico illecito di parti umane che tanto ricorda la cronaca nera reale. Superlativi i look cattivissimi dei cattivissimi cyborg nei quali si fa fatica a riconoscere gli attori che prestano solo il volto, ritoccatissimo, e a volte solo la voce: Ed Skrein, Michelle Rodriguez (già con James Cameron in “Avatar” e nei due “Machete” con Robert Rodriguez, nessuna parentela e solo omonimia), Jackie Earle Haley è il meno riconoscibile gigantesco Grewishka, il veterano Jeff Fahey con spaventoso quartetto di cani cyborg, Eiza Gonzales, Derek Mears, Leonard Wu. Fra i buoni ci sono: il teenager innamorato Keehan Johnson, l’infermiera Idara Victor, i teppistelli Jorge Lendeborg jr e Lana Condor. In rapidissime inquadrature compaiono anche Kasper Van Dien e Jai Courtney che non è neanche menzionato nei titoli: o i loro personaggi sono stati sacrificati nel montaggio o avranno uno sviluppo nei sequel… eh già, ci saranno dei sequel, il manga è composto da ben 9 libri e il film non ha un vero finale: ci lascia in sospeso con un primo piano sul ghigno del super cattivissimo di cui si è parlato in tutto il film e che nell’inquadratura finale è niente meno che Edward Norton – il quale nel 2008 si era cimentato nel genere co-sceneggiando e interpretando “L’incredibile Hulk” e poi litigando con la produzione che aveva tagliato le scene in cui “recitava” a favore di quelle di azione: nei film seguenti lo ha sostituito Mark Ruffalo che ora fa i soldi con le partecipazioni agli Avengers e gira anche film in cui “recita”. Gente che viene, gente che va… tanto per citare il glorioso film 1932 “Grand Hotel”.

Deadpool 2, un irriverente di successo

“Deadpool 2” continua il successo del 2016 con protagonista un supereroe chiacchierone sporco e sporcaccione, che dice sempre cazzo, fuck nell’originale, in tutte le più fantasiose declinazioni; ma la più immaginifica è in bocca al cattivo: “Ti sciolgo e ti trasformo in un piercing per il mio cazzo!” (cock nell’originale). Brillantemente interpretato da Ryan Reynolds, che qui mette mano anche alla sceneggiatura, Deadpool è divertente proprio perché è irriverente verso tutti e tutto, infrangendo la quarta parete,  rivolgendosi non solo al pubblico ma anche commentando lo stesso film e criticando la sceneggiatura in un cortocircuito fra personaggio creato e momento creativo che potrebbe risultare un pasticcio ma che invece è brillantemente risolto. Qualcosa sfugge alla comprensione, data l’elevata presenza di riferimenti, sempre irrituali, ad altri film e personaggi della Mattel, alla cultura pop americana, allo star-system e addirittura alla stessa carriera di Ryan Reynolds: in uno dei finali multipli tipici della saga, per correggere gli errori temporali il personaggio uccide l’attore nel momento in cui decise nel 2011 di interpretare il “Green Lantern” della concorrente DC Comics e che fu un fiasco. Considerata la divertita ed esibita scurrilità il film ha come target dichiarato gli adolescenti e non è quindi un caso se un adolescente sovrappeso e frustrato è il coprotagonista Russell “Firefist” interpretato da Julian Dennison. Del primo film ritroviamo la fidanzata – Morena Baccarin, l’amico coglione – T.J. Miller, la vecchia amica cieca – Leslie Uggams, e Testata Mutante che è Brianna Hildebrand, oltre a Colosso che è solo visual effect, cui si aggiungono un energico Cable che non ha superpoteri ma solo supertecnologia dato che viene dal futuro,  interpretato da un divertito Josh Brolin;  c’è poi Domino che è Zazie Beetz e Eddie Marsan nel ruolo del cattivo preside, torturatore di poveri fanciulli coi superpoteri, trasfigurazione di quegli integralisti religiosi che vorrebbero debellare qualsiasi diversità sessuale e identitaria nel mondo reale. E non a caso Testata Mutante qui ha una fidanzata – interpretata da Karan Soni – e Deadpool, come stagista degli X-Men si rivolge a loro con un politicamente corretto X-People, non prima di aver provato a fondare una propria squadra come X-Force dato che X-Men gli sembra sessuofobo. E per finire le curiosità: Ryan Reynolds nell’originale dà la voce a Fenomeno creato in CGI e ci sono rapidissimi cammei di Hugh Jackman, James McAvoy, Evan Peters, Nicholas Hoult e Tye Sheridan come X-Men; Matt Damon e Alan Tudyk compaiono come due contadini e Brad Pitt è lo Svanitore della X-Force creata da Deadpool e subito risibilmente annientata da un vento troppo impetuoso. Se non si è allergici alle parolacce e si ha molto senso dell’umorismo il film è assai divertente e promette sequel a iosa.

Wonder Woman, che la saga abbia inizio

Con Superman e Batman fa parte del trittico di supereroi di punta della DC Comics e ha il suo debutto cinematografico nel finale di “Batman v Superman: Dawn of Justice” proprio insieme ai due super. Creata nel 1941 come icona femminista a riequilibrare il super testosterone dei suddetti eroi, negli anni ’50 ha avuto un forte declino dovuto a una certa opposizione politica, che la vedeva fuorviante per la sana crescita delle fanciulle americane, ed è stata ridisegnata come una Wonder Girl dai sani principi domestici: perdendo la sua carica “eversiva” il personaggio ha perso mordente e lettori. Successivamente, da ’68 in poi, il personaggio è stato ripreso e ridisegnato più volte, anche azzerando la sua storia per riscriverla e il personaggio cinematografico attuale è il frutto di tutto questo.

Una tecnologica W.W. in tacchi a spillo riceve da Bruce Wayne (Batman) una vecchia foto che la ritrae con un gruppo di combattenti durante la seconda guerra mondiale e da qui inizia il racconto cinematografico che di flashback in flashback ci riporta in una favolistica Grecia antica, e più precisamente nella mitica isola di Themyscira fumettisticamente nota anche come Isola del Paradiso. Qui, regno delle Amazzoni, la piccola non ancora eroina cresce con l’ansia di venire addestrata alla lotta, osteggiata dall’ansiosa regina madre Ippolita e incoraggiata dalla zia generalessa Antiope; la storia segue il suo corso e Diana, così si chiama la fanciulla, diventa un’abilissima guerriera perché in possesso di poteri segreti dovuti ai suoi natali finora tenutoli segreti: Ippolita l’ha generata con Zeus…

Ma non stiamo qui a raccontare la trama. Quello che per me conta dire è che il film, un po’ farraginoso nell’avvio fatto appunto di flashback nel flashback –  necessari per raccontare la genesi del personaggio – non manca di spettacolari momenti di battaglia e di gustosi momenti che caratterizzano il femminismo del personaggio con poche pungenti battute. Sempre interessante la rivisitazione di una Seconda Guerra Mondiale in cui si muovono i super eroi, e in questo W.W. fa idealmente coppia con Capitan America nato proprio per veicolare lo spirito patriottico degli americani. Qui il cattivo di turno è il fantanazista Ludendorff che si fortifica inalando una fialetta di gas a ricordo di come i veri nazisti facessero largo uso di cocaina. Ma c’è un altro cattivo assai più pericoloso, ovvero il dio Ares, fratellastro di Diana che evidentemente è la stessa dea greco-romana tornata come super eroina. Il personaggio cinematografico risulta ben tracciato e vincente ed è assai probabile che sia l’inizio di una proficua saga: dipende dal risultato globale al botteghino.

Il lancio pubblicitario dice che è la prima super eroina ad essere protagonista di un film tutto suo, ed è una bugia: ricordiamo la “Catwoman” interpretata da Halle Berry che non ha avuto seguiti cinematografici e il cui fascino resta inferiore, a mio avviso, a quello della Catwoman di Michelle Pfeiffer apparsa come antagonista del Batman con Michael Keaton in “Batman, il ritorno”. E a proposito di super eroi cinematografici che non hanno avuto superato l’approvazione del pubblico ricordiamo e rendiamo onore a: “The Punisher” con Thomas Jane del 2004; “The Green Hornet” con Seth Rogen del 2011; “Ant-Man” con Paul Rudd del 2015; “Deadpool” con Ryan Reynold del 2016 di cui ancora non si sa l’esito finale; e i Fantastici 4 che hanno debuttato del 2005, hanno avuto un sequel nel 2007 e nel 2015 è stato rifatto con un nuovo cast.

Il cast. L’eroina è interpretata dall’israeliana Gal Gadot, la cui scelta ha creato non pochi malumori fra le attrici statunitensi. L’eroe americano Steve Trevor che coinvolge la nostra nella lotta ai cattivi nazisti è Chris Pine in libera uscita dai panni del Capitano Kirk della nuova serie di Star Trek. La generalessa Antiope è Robin Wright a cui era stato offerto il ruolo più nobile e presente della regina Ippolita, ma la star ha intelligente scelto il ruolo più piccolo e pregnante, più da combattente che da madre ansiosa. Il ruolo della regina era stato offerto anche a Nicole Kidman, che ha declinato, ed è poi andato alla danese naturalizzata statunitense Connie Nielsen. Il generale tedesco cocainomane è Danny Huston e la spagnola Elena Anaya è l’interessante figura della ricercatrice al servizio del Reich della quale avrei voluto sapere di più. David Thewlis è l’ambiguo sostenitore inglese Sir Patrick Morgan e Lucy Davis la segretaria che diventerà amica di W.W. Saïd Taghmaoui e Ewen Bremner fanno parte dell’improbabile gruppo d’assalto nella foto ricordo che l’eroina riceve a inizio film e dalla quale parte il racconto. Dirige con mano sicura Patty Jenkins e il film si chiude con una mail di ringraziamento a Bruce Wayne/Batman che ultimamente aveva il volto abbastanza inespressivo di Ben Affleck, ma come sappiamo il mondo dei supereroi è sempre in fermento.

Suicide Squad, tempi duri per i troppo buoni

Tempi duri per i troppo buoni e tempi super duri per i super buoni super eroi: Superman è morto, si è sacrificato per l’umanità in “Batman V Superman”. E morto Superman ci informano che c’è un vuoto di supereroi che combattano il male a fianco del Bene e delle forze dell’ordine… E le forze dell’ordine non sono più i buoni poliziotti di quartiere dei bei tempi andati ma l’esercito super forzuto e super tecnologico perché i super cattivi non mettono più a soqquadro una città come Gotham City ma l’intera nazione e l’intero pianeta. E il Bene non è più di questo mondo dato che ormai siamo tutti cattivi a cominciare da chi ha in mano le chiavi del potere: specchio dei tempi. Qui la vera super cattiva è la super agente dei servizi  segreti Amanda Weller che per salvare il mondo mette insieme “il peggio del peggio” a suo dire, meta-umani che tiene imprigionati e con i quali forma questa squadra suicida che manda in battaglia senza allenamento e senza motivazioni, se non con il ricatto della morte certa se si ammutinano e il ricatto morale che fa leva sulle loro debolezze: perché scopriamo subito che questi super cattivi non sono altro che amorevoli e tormentati padri di famiglia e ragazzine che sognano l’anello al dito: hanno solo avuto la disgrazia di vivere nel lato oscuro della società.

La cattivissima Weller è interpretata da Viola Davis, attrice super candidata e super premiata altrove che con la sua faccia rotonda da casalinga del sud che sforna torte di mele sembra quantomai fuori posto in questo ruolo: ma il suo ruolo nella serie tv “Le regole del delitto perfetto” le ha conferito autorevolezza e la sua facciotta qui volutamente inespressiva conferisce al personaggio una ferocia inaudita.

La squadra dei cattivi è variegata e gustosa. E’ capitanata dal Deadshot di Will Smith, un super killer a pagamento che non sbaglia mai un colpo, col quale l’attore – che si era già misurato con un supereroe negativo e cialtrone in “Hancock” – torna a fare squadra dopo i suoi film egocentrici da protagonista assoluto e anche interprete solitario, tutt’al più affiancato dal figlio Jaden. Ma pare che l’assegno valga la pena.

Però il personaggio più riuscito è Harley Quinn, spalla del Joker nei fumetti qui promossa a super protagonista: bella, sexy, ironica, simpatica e psicopatica è un mix perfetto che tiene testa a tutti i personaggi ed è la vera anima del film, dato che gli altri della squadra non sono così sexy e ironici e psicopatici come dovrebbero essere. E’ interpretata dall’attrice modella australiana Margot Robbie già sullo schermo con Will Smith in “Focus – Niente è come sembra” e con DiCaprio in “The Wolf of Wall Street”. Data la riuscita del personaggio, scrittura più interpretazione, non mi stupirei se ai piani alti stessero già pensando di promuoverla protagonista di uno spin-off come è successo al Wolwerine degli X-Men.

E veniamo al Joker che gioca fuori squadra e contro la squadra per liberare la sua beneamata psicopatica anima gemella. Dopo il fantastico Joker di Jack Nicholson e quello ammaliante e doloroso di Heath Ledger che è diventato mitico anche per la prematura scomparsa dell’attore che ha ricevuto l’Oscar postumo. Questo Joker di Jared Leto è: insomma. L’attore è bravo interessante e selettivo, e ha vinto Golden Globe, Screen Actors Guild Award e Oscar per il ruolo del travestito in “Dallas Buyers Club” e mi chiedo quando lo rivedremo con la sua vera faccia. Questo Joker, opportunamente ridisegnato, è più un dandy punk che lascia sospeso il giudizio in attesa degli ulteriori sviluppi.

Altro personaggio ben riuscito è l’Incantatrice, una strega risorta da un passato ultra remoto con un look molto accattivante, molto cattiva, ragion d’essere oscura come le sue origini e malvagia ufficiale in questo plot narrativo dove i malvagi allignano in ogni ambiente e a qualsiasi livello: lei perlomeno è puro spirito e non ha bisogno di maschere ma solo del corpo di un’innocente fanciulla da abitare. Anche questo ruolo è interpretato da una modella, anzi una super model, come si dice in vero inglese, quello che noi diciamo top model inventandoci un inglese da rotocalco: Cara Delevingne che sfoggia l’abito oscuro e fuligginoso della strega come su una passerella di Milano. Questa Incantatrice ricorda, perlomeno nel look, la dea Astarte, ma nel film rimane senza nome e senza storia perché non finalizzati al racconto.

Innamorato della fanciulla abitata dall’Incantatrice è il colonnello dell’esercito Rick Flag, un duro dal cuore tenero che ha in mano le sorti della squadra e dell’impresa, ligio al dovere e fedele all’amore – interessante combinazione – interpretato da Joel Kinnaman attore svedese che si è fatto conoscere negli USA come protagonista della serie thriller “The Killing”, rifacimento di una serie danese; ma prima aveva avuto un ruolo in “Millennium, uomini che odiano le donne” rifacimento del film svedese e poi è protagonista dell’ultimo “Robocop” rifacimento dell’originale del 1987. Di rifacimento in rifacimento Kinnaman finalmente ha potuto disegnare un personaggio tutto suo in questo film che sembra essere il primo di una serie.

Gli altri della squadra suicida sono: El Diablo, tormentato personaggio pirico tipo La Torcia dei Fantastici Quattro, interpreto da Jay Hernandez, mentre Jai Courtney interpreta Captain Boomerang, un campagnolo australiano che impugna boomerang tecnologici, che risulta il personaggio meno riuscito e con minor spessore per il quale l’attore fa tutte le smorfie possibili per dargli un carattere che non ha per difetto di sceneggiatura. Completano la squadra Killer Croc, feroce ma non troppo ibrido umano-coccodrillo sotto la cui spessa pelle si nasconde il nero Adewale Akinnuoye-Agbaje e la giapponese Katana, che ovviamente si fa spazio a colpi di katana, la spada giapponese che intrappola le anime di coloro che uccide, e poiché con quella stessa lama gli è stato ucciso il marito ogni tanto la poveretta ci parla per parlare all’anima dell’amato: l’interprete è Karen Fukuhara e a questo punto siamo sul limite ultimo del ridicolo, ridicolo che viene sfiorato anche, purtroppo, nell’ovvio pirotecnissimo finale, ma si sa che stiamo assistendo a una favola. Nel cast Ike Barinholtz come divertito e cinica canaglia guardia carceraria; Adam Beach, attore di origine pellerossa che ha avuto ruoli di rilievo in cinema e tv e che qui si sacrifica nel ruolo della canaglia meta-umana che subito tenta di disertare e viene ucciso a scopo dimostrativo e intimidatorio; Scott Eastwood, figlio di Clint, come capitano dell’esercito. E’ accreditato nel film anche Ben Affleck che intravediamo appena in un flash-back, irriconoscibile e con la barba sfatta di un paio di giorni sotto la maschera di Batman sopravvissuto allo scontro recente in cui Superman ci ha lasciato le penne e la calzamaglia. Batman ha sempre flirtato col suo lato oscuro… ma addirittura smettere di radersi!

Nell’insieme, per gli amanti del genere, il film è piacevolissimo anche per l’attenzione all’estetica fatta di colori acidi e fosforescenti che risaltano nel buio e nel grigiore della (meta)realtà, in sintonia con i titoli di coda che vanno visti tutti fino in fondo perché subito dopo c’è un altro pezzo di film che introduce il prossimo della serie. E c’è da dire che il film è tutta farina del sacco di David Ayer che lo ha scritto e diretto, apparentemente senza collaboratori e intermediari, e che davvero ha il merito di aver creato un mondo immaginario tutto suo, difetti compresi.

X-Men, giorni di un futuro passato

Li ho visti tutti, mi piacciono i super eroi e gli effetti speciali… ma, come pure si dice: visto uno visti tutti. In questo caso basta che sullo schermo scorrano le prime immagini e rivediamo i soliti super perché nella mente ritornino fatti e situazioni, tessitura della trama e dei rapporti fra i personaggi, a dimostrazione che dopo anni la saga è entrata a far parte della nostra cultura cinematografica. Dopo che in “X Men – L’Inizio” il cast si è arricchito con Michael Fassbender e James McAvoy come Magneto e Xavier da giovani, mentre da vecchi e originali sono Ian Mckellen e Patrick Stewart, non si poteva più fare a meno delle nuove star più sexy delle vecchie e così in questo capitolo passato e presente coesistono in una trama sempre ben costruita ma di cui poco ci importa se ci sono delle belle battaglie fra super poteri. Altre star irrinunciabili Halle Berry come stanca Storm, Hugh Jackman come Wolverine che incomincia a mostrare troppe rughe e Jennifer Lawrence in grandissima ascesa dopo i due “Hunger Games” e l’Oscar per “Il lato positivo”. New entry con super poteri nuovi e spettacolari, che proprio per questo sono la parte migliore del film, è Evan Peters star del fanta-horror tv “American Horror Story” qui nei panni di Quicksilver mentre nel viavai di supereroi ritroviamo Ellen Page/Kitty Pride, Nicholas Hoult/Beast, Shawn Hashmore/Iceman.

Nel composizione di quest’ultimo cast c’è il colpo di genio che è anche la grande occasione mancata per dare un colpo d’ala al film di genere: il bravissimo attore nano Peter Dinklage, già Golden Globe per il televisivo “Il Trono di Spade”, qui è nei panni del professore cattivo che vuole annientare gli x-men. La genialità sta nell’avergli dato il ruolo di persecutore dei mutanti – ma non la motivazione: il suo essere un mutante di bassa statura ma senza super poteri. E’ chiaro che in questo genere di film non c’è spazio per la psicologia ma sarebbero bastate un paio di battute ben piazzate per fare del nano un gigante di frustrazione e cattiveria. Siamo più dalle parte dell’attore di successo che acquista potere contrattuale e scavalcando i ruoli interpreta personaggi scritti per “normo dotati”, come a dire che la sua bravura di interprete ci fa dimenticare che è nano: accadde lo stesso a Whoopy Goldberg negli anni ’90, quando reduce dal successo de “Il colore viola” ricoprì dei ruoli scritti per attrici bianche e anche lì il talento scavalcava i generi… ma a dimostrazione che la potenza dell’interprete non sempre è convincente come asso piglia tutto, quella carriera piano piano finì: è una sorta di razzismo di ritorno, dove per dimostrare che non si è razzisti si passa sopra le naturali differenze come se non esistessero. Mentre il non-razzismo sta nell’accettare e valorizzare queste differenze. Speriamo dunque che Peter Dinklage non finisca anche lui nel tritacarne dello star system.