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Interceptor – Il guerriero della strada (Mad Max 2)

Alla fine della lavorazione il riscontro più immediato l’ha avuto lo sfasciacarrozze dato il gran numero di veicoli distrutti, col drammatico risvolto che anche diversi stuntmen sono finiti all’ospedale – tanto che George Miller fu definito “il Djaghilev dei derby di demolizione” qui ricordando che Sergej Djaghilev fu un impresario teatrale russo organizzatore di spettacoli di balletti vissuto a cavallo fra l’800 e il 900: dunque la colta definizione fa riferimento al mondo del balletto e alle sue coreografie, implicitamente definendo coreografici i vari inseguimenti fra veicoli con successivi incidenti spettacolari: e in effetti questo sono, e la capacità di Miller di creare quelle scene, coreografia più violenza più impatti distruttivi, è all’epoca un grande novità narrativa che influenzerà tanto cinema, come detto nel precedente capitolo, fino ad arrivare a un’altra saga spettacolare: “Fast & Furious” che in un paio di sequenze del film capostipite copia questo film. Inoltre Steven Spielberg (reduce dal successo di “E.T.”) fu talmente impressionato dalle scene di azione che offrì a Miller la regia di uno degli episodi del film ispirato alla serie fantasy tv “Ai confini della realtà” co-firmato dai due insieme a Joe Dante e John Landis, che sarà per Miller il primo lavoro hollywoodiano.

Ma prima: dopo il milionario successo del primo film creato con poche centinaia di migliaia di dollari ma soprattutto tanta creatività derivata da studio passione e conoscenza, Hollywood offrì a Miller la regia di quello che sarebbe diventato il capostipite di un’altra saga action: “Rambo”; ma l’autore, cui giustamente si ascriveva la rinascita del cinema australiano, volle proseguire per la sua strada che prevedeva un film sul rock & roll di cui poi non se ne fece più niente. A quel punto cominciò a pensare a un sequel di “Interceptor”, tanto più che avendo un budget decuplicato avrebbe potuto creare il mondo distopico che nel suo film di debutto era solo accennato. E poiché era un autore che, benché amando l’azione, era anche di buone letture, per scrivere questo sequel fu ispirato oltre che dalla sua cultura strettamente cinematografica – i western con i selvaggi che inseguono le carovane, il pistolero solitario e taciturno di Sergio Leone, la paranoia per la catastrofe atomica che Stanley Kubrick aveva raccontato in chiave grottesca con “Il Dottor Stranamore” (1964), la cinematografia di Akira Kurosawa che tanto cinema occidentale ha ispirato – c’era la letteratura vera e propria: “1984” di George Orwell che racconta il disfacimento delle regole sociali, e soprattutto i miti greci raccontati e comparati da Joseph Campbell in “L’eroe dai mille volti” che a sua volta rileggeva i miti greci nell’ottica psicanalitica degli archetipi secondo Gustav Jung: roba per palati fini.

A questo retroterra culturale si aggiungono gli ineguagliabili grandi spazi selvaggi australiani che sono gli scenari ideali per un film post-apocalittico. Facendo dei nomi specifici Miller ha dichiarato di ispirarsi a quelli che ha definito “registi del montaggio”: “Hitchcock, Carol Reed, Howard Hawks. Quelli che hanno montato i film nella loro testa prima ancora che il film venisse girato.” Sul suo lavoro ha poi detto: “Certamente non vorrei che questo film venisse visto solo come pura fantasia d’evasione. È anche tutto questo, certo, ma un film che ti stimola solo a livello emotivo di base non è molto efficace. Questo è un racconto mitologico in cui Max intraprende un viaggio durante il quale impara alcune cose su sé stesso. Puoi paragonarlo a un western – sono cresciuto con questi film e sono molto importanti per me – ma penso che questo tipo di storia venga raccontata più volte in molte culture. ‘Road Warrior’ è un ibrido: in parte Hollywood, in parte samurai, in parte film d’arte europeo.”

Sia come sia George Miller girò il suo sequel con molti più soldi, molte più macchinine da distruggere che ridisegnate in modo assai eccentrico saranno molto copiate per il mercato, un autotreno e addirittura un piccolo elicottero. Si arricchì anche la parte visiva decisamente punk con i costumi di Norma Moriceau che sdoganò nella cultura di massa i sottogeneri cyberpunk e dieselpunk, con il make-up in linea di Lesley Vanderwalt. Terry Hayes era entrato come co-sceneggiatore e co-produttore mentre Brian Hannant si aggiunse come co-sceneggiatore e regista della seconda unità; il socio iniziale di Miller, Byron Kennedy, era rimasto a capo del processo produttivo di questo film che inaugurerà il ritorno al passato, a un barbarico medioevo futuribile, e se rivedendolo oggi la sua carica innovativa non ci stupisce più è proprio perché è stato molto molto copiato.

La grande esplosione della raffineria fu la più grande esplosione cinematografica mai realizzata fino a quel momento in Australia.

Ancora una volta la trama è semplice e i dialoghi scarni: come nei western l’eroe solitario che tutto ha perduto si schiera dalla parte dei più deboli, non per altruismo ma per interesse personale: per lui non esiste il dualismo bene-male ma solo la sua personale sopravvivenza. E l’oggetto del contendere non sono le terre né l’oro del vecchio west ma il carburante di cui si nutrono le cattivissime automobili. Contrariamente al primo capitolo, che era già innovativo ma del tutto sviluppato per mancanza di fondi, questo sequel fu osannato dalla critica internazionale che lo definì uno dei migliori film di quell’anno, il 1981. E che film uscirono quell’anno? A cominciare da “1997: Fuga da New York” di John Carpenter direttamente ispirato da Mad Max ci furono “I Predatori dell’Arca Perduta” di Steven Spielberg, gli sportivi “Fuga per la Vittoria” di John Huston e “Momenti di Gloria” di Hugh Hudson, e i melodrammi “Il postino suona sempre due volte” di Bob Rafelson e “Ufficiale e Gentiluomo” di Taylor Hackford. E fra gli italiani, giusto per curiosità casalinga: “Ricomincio da tre” di Massimo Troisi, “Il Marchese del Grillo” di Mauro Monicelli e “Fracchia, la belva umana” di Neri Parenti.

Il cast. Mel Gibson torna come protagonista mostrando ora sulla tempia sinistra una ciocca grigio-bionda: un vezzo del make-up. E come detto parla pochissimo: dice solo 16 le battute, che poi sarebbero 15 se si considera che “Sono venuto solo per la benzina” la ripete due volte. A fargli da spalla comica molto più loquace – un espediente narrativo molto in linea con i buddy-buddy movies dove accanto al duro c’è sempre un clown – c’è il neozelandese Bruce Spence che tornerà con un diverso personaggio nel prossimo sequel. L’accampamento dei buoni è capitanato da Pappagallo, proprio in italiano, interpretato dall’inglese Michael Preston ex pugile poi cantante e poi attore tv; gli sono accanto come sexy guerriere Virginia Hey, già modella e attrice di pubblicità qui al suo debutto cinematografico se si escludono minuscole partecipazioni, e Arkie Whiteley.

Bruce Spence

C’è poi l’azzeccatissimo personaggino di Feral Kid, anch’egli silenzioso, il ragazzino selvaggio interpretato da Emil Minty che farà altri tre film e poi abbandonerà il cinema: oggi è un gioielliere. Solo a fine film scopriremo che l’anziana voce narrante che all’inizio introduce la narrazione è il suo personaggio da vecchio. Nel doppiaggio italiano è il veterano Mario Mìlita più popolare come voce del nonno Simpson.

Vernon Wells

Il capo dei cattivissimi è il sempre mascherato perché sfigurato Lord Humungus, interpretato dal culturista svedese Kjell Nilsson che reciterà solo in altri due film. L’altro bisteccone cattivissimo con cresta è l’attore Vernon Wells che rifarà la parodia dello stesso personaggio nella commedia americana per adolescenti “La donna esplosiva” di John Hughes, e che oltre a essere un interprete cine-televisivo è anche un doppiatore.

Insieme a Max torna anche il suo cane che non è lo stesso cane del primo film: è stato scelto in un canile della zona e addestrato appositamente per il film, e siccome era un trovatello senza nome la troupe lo chiamò semplicemente Dog; il quale però aveva un problema: non sopportava i rombi dei motori, gli facevano troppa paura, e per manifestare il suo disagio per un paio di volte liberò lo sfintere nell’Interceptor di Max: e ben fece perché così gli procurarono dei tappi per le orecchie fatti su misura. Spoiler: nel film Dog viene ammazzato dai punkabbestia ma una volta finite le riprese venne adottato da uno della troupe tecnica. Altra curiosità: l’outback australiano rendeva alla perfezione la desolazione postatomica, unitamente al fatto che è una zona in cui piove pochissimo durante l’anno: senonché durante le riprese, dopo quattro anni senza una goccia di pioggia, venne giù un acquazzone che bloccò i lavori per più di una settimana.

Questo secondo capitolo di Mad Max si aggiudicò numerose candidature e fra i premi ottenne la miglior regia all’AFI Award, Australian Film Institute Award che dopo il 2012 è diventato AACTA Award, Australian Academy of Cinema and Television Arts Award. Miglior film straniero (o internazionale) al Los Angeles Film Critics Association Award, al Festival del Film Fantastico di Avoriaz e al Saturn Award, premio specialistico per il fantasy e l’horror. Prossimo appuntamento “Mad Max oltre la sfera del tuono” che ha rischiato di non essere realizzato a causa di un drammatico incidente.