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The Father – il cinema 2020-21 disperso nella pandemia

Nel 2020 i cinema hanno timidamente riaperto in estate per richiudere subito dopo. Nel 2021 si va al cinema col green pass ma le sale sono praticamente deserte: gli spettatori sono decimati dalla pandemia e non mancano solo quelli che non hanno il green pass; fra quelli che ce l’hanno non tutti ritengono opportuno, o necessario, tornare al cinema, e i pochi volenterosi spettatori rimasti sono ulteriormente scoraggiati dall’obbligo della mascherina FFP2. I film usciti in sala passano subito sulle piattaforme web e in tv.

Come “Comedians” un altro film tratto, ma forse è più corretto dire sviluppato, da un’opera teatrale, e che è anche l’opera prima cinematografica del suo autore, il drammaturgo francese Florian Zeller, che ha scritto un’opera sorprendente ma che è stato anche capace, in pochi anni, di raccogliere il massimo dei consensi mondiali con il massimo dell’esposizione.

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Alessandro Haber con Lucrezia Lante Della Rovere

Dopo l’acclamato debutto francese nel 2012, la pièce è stata tradotta dal britannico Christopher Hampton che l’ha messa in scena a Londra l’anno successivo, e da lì in poi – forte della veicolazione della lingua inglese – il dramma teatrale è stato rappresentato in tutto il mondo; in Italia è stato realizzato dal regista Piero Maccarinelli nel 2017 con l’interpretazione di Alessandro Haber e Lucrezia Lante Della Rovere.

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Jean Rochefort

Del 2015 è il primo adattamento cinematografico, il francese “Florida” diretto da Philippe Le Guay con protagonista l’eclettico commediante, anche frequentatore dei set italiani, Jean Rochefort, alla sua ultima interpretazione; un film che nella scrittura non vede coinvolto il suo autore teatrale e che prende lo spunto del dramma per farne una storia con altre ispirazioni, sin dal titolo.

Quell’operazione non deve aver soddisfatto Florian Zeller, che ora coinvolge l’inglese che l’ha fatto conoscere al mondo, Christopher Hampton, per scrivere la sceneggiatura di un nuovo film; e per non sbagliare stavolta lo dirige pure, debuttando come regista cinematografico con un film in lingua inglese, con grandi interpreti già premiati con l’Oscar, e pronto già sulla carta a raccogliere ulteriori consensi. Ne è protagonista il grandioso Anthony Hopkins, premio Oscar nel 1992 per “Il Silenzio degli Innocenti”, cui gli sceneggiatori pensano sin da subito chiamando Anthony il suo personaggio. La figlia è interpretata da Olivia Colman, Oscar 2019 per “La Favorita”, e per entrambi mi limito a ricordare solo gli Oscar dato che gli scaffali dei loro premi sono più che pieni.

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Frank Langella e Kathryn Erbe nella messa in scena di Broadway del 2016

Il film, come il dramma teatrale, racconta la perdita della memoria, e dell’intera personalità, a causa della degenerazione progressiva dovuta all’Alzheimer, ma è nuovo e vincente, oltre che narrativamente affascinante e coinvolgente, il racconto dal punto di vista del malato: il dramma comincia come un thriller psicologico in cui l’uomo sembra al centro di un oscuro complotto per cui gli vengono tolti i suoi punti di riferimento, e viene inspiegabilmente ingannato da estranei che si sostituiscono ai suoi familiari: qui c’è il colpo di genio dell’autore, quello di fare interpretare a dei doppi i ruoli dei coprotagonisti, facendoci così precipitare all’interno dello spaesamento del protagonista che non riconosce più le persone: sua figlia, che nel film è fisicamente doppiata da un’altra attrice di gran classe, Olivia Williams, mentre il genero ostile interpretato da un altro protagonista del cinema internazionale, Rufus Sewell, ha il suo doppio nel caratterista di provenienza brillante Mark Gatiss, il quale dà alla sua interpretazione un ghigno che vuole essere rassicurante ma che è molto inquietante; conclude il ristretto cast la più giovane Imogen Poots nel ruolo della badante.

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L’autore regista debuttante firma un film di altissimo livello, coinvolgente e spiazzante, come deve essere stato il suo dramma teatrale per chi ha avuto l’opportunità di vederlo: uno spazio scenico che a poco a poco si spogliava di tutti i suoi arredi, come espediente concettuale e visivo della progressione dello svuotamento della mente del protagonista, che alla fine si ritrovava nella stanza di un ospizio per lungo degenti; e se nel dramma teatrale c’era la figlia ad assisterlo, nel film resta a prendersi cura di lui la sconosciuta che ora è un’infermiera. Uno svuotamento di spazi che non è possibile rendere al cinema dove il racconto deve essere più naturalistico e meno simbolico, così la scrittura esplora altre vie narrative: i silenzi, le solitudini dei personaggi e i dettagli minimi, i sogni e le visioni che arrivano improvvisi dietro porte che si aprono su altri spazi e altre epoche, in uno spiazzamento che una scrittura esemplare diventa interpretazione magistrale. Premio Oscar ad Anthony Hopkins, candidature a Olivia Colman e alla sceneggiatura, candidature anche come Miglior Film, Miglior Montaggio e Migliore Scenografia. E ancora mi limito agli Oscar. Qui da noi la BiM ha ritenuto opportuno distribuire il film con lo stupido sottotitolo “Nulla è come sembra” facendolo sembrare una sciocca commedia degli equivoci. Era stato presentato in anteprima al Sundance Film Festival nel gennaio 2020 e successivamente è uscito nelle sale di New York e Los Angeles, poi chiuse per la pandemia, così è stato distribuito on demand; in Europa si è affacciato nelle sale nel 2021 e in qualsiasi uscita ha fatto sempre eccellenti incassi.

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Fra le curiosità va detto che Hopkins con i suoi 83 anni si è piazzato come il più vecchio a ricevere il premio da protagonista: il detentore del primato per anzianità era il 76enne Henry Fonda che però aveva ricevuto nel 1981 l’Oscar onorario e l’anno dopo quello come Non Protagonista per “Sul Lago Dorato”; per trovare il protagonista più anziano bisogna risalire al 1970 e al 62enne John Wayne “Il Grinta”. Il miglior Non Protagonista più vecchio al momento è il recentemente scomparso Christopher Plummer per “Beginners” 2012. Fra le donne le più anziane detentrici del primato sono Jessica Tandy, 80 anni, protagonista per “A spasso con Daisy” 1980 e Peggy Ashcroft, 77 anni, non protagonista in “Passaggio in India” 1985.

Vale la pena ricordare che questo non è il primo film sull’Alzheimer, benché sia il primo che racconta il punto di vista del malato. Per chi volesse recuperarli ci sono stati l’inglese “Iris – Un Amore Vero” del 2001 con Judi Dench e Kate Winslet nel ruolo di Iris nelle diverse età e con Jim Broadbent vincitore dell’Oscar, diretti da Richard Eyre. “Lontano da Lei” del 2006 diretto da Sarah Polley con Julie Christie candidata all’Oscar e premiata con il Golden Globe. Del 2010 è il Sud Coreano “Poetry” di Lee Chang-dong, premiato per la sceneggiatura a Cannes. Del 2011 è l’iraniano “Una Separazione” di Asghar Farhadi, Orso d’Oro a Berlino, Golden Globe e Oscar.

Se ne conclude che l’Alzheimer, restando un dramma per chi lo vive su di sé e per le loro famiglie, si conferma un dramma sempre vincente per l’industria dell’intrattenimento.