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Paura e Desiderio, opera prima di Stanley Kubrick

1953. Il 25enne Stanley Kubrick è già fotografo per la rivista “Look” ma vuole fare il cinema e produce e dirige il corto “Il giorno del combattimento” un documentario basato su un suo servizio fotografico per la rivista, che segue la preparazione di un pugile. Lo vende alla RKO che gli commissiona un secondo corto documentario, “Flying Padre”, su un prete di provincia che raggiunge i suoi parrocchiani sparsi su un’ampia area conn un Piper, un aereo leggero. Queste due esperienze bastano al giovanotto per lanciarsi nella produzione di questo suo primo lungometraggio narrativo di poco più di un’ora. Gira in un mese con una troupe di 14 persone: 5 attori, 5 tecnici (fra cui il regista e la moglie Toba Metz come segretaria e di edizione) e 4 braccianti messicani, tutti accampati in tenda sulle montagne dove fu girato il film.

La sceneggiatura è di Howard Sackler, compagno di liceo del regista e prossimo Premio Pulitzer nel 1969, che sarà anche sceneggiatore di “Lo squalo 2” dopo aver revisionato (non accreditato) lo script dell’originale “Lo squalo” creando il celebre monologo del capitano Quint. Ma in questa sua prima sceneggiatura Sackler pecca di gioventù, come il suo amico regista – ma siamo consapevoli che la gioventù è una “malattia” da cui si guarisce (generalmente ma non sempre). Fortemente influenzato dal drammaturgo Eugene O’Neill e innamorato del dramma esoterico di Shakespeare “La tempesta”, scrive una sceneggiatura molto teatrale, con lunghi monologhi e disquisizioni filosofiche. Se a questo aggiungiamo che la visionarietà di Kubrick è fortemente influenzata dall’espressionismo del russo Ėjzenštejn, il risultato sarà quanto meno bislacco: un film di guerra che diventa dramma esistenziale che è anche un esercizio di stile per entrambi. Bisogna dire però che già in questo suo primo film, Kubrick, come per il resto della sua cinematografia composta da 13 titoli che gli sono valsi in complessivo 13 nomination agli Oscar, sarà anche direttore della fotografia e montatore.

I critici, in genere, furono abbastanza generosi: lo trovarono sperimentale e anche brillante e indimenticabile, come pure discontinuo e in parte raffazzonato, con una sceneggiatura più intellettuale che esplosiva e un cast più loquace che espressivo. Il pubblico però lo boicottò senza appello, e lo stesso regista ne prese le distanze e addirittura, considerandolo davvero inguardabile, acquisì tutte le copie del film e le distrusse insieme ai negativi, così che per per decenni fu introvabile; ma qualche copia era rimasta e grazie a quelle oggi possiamo rivedere il film, rimasterizzato, uscito nelle sale italiane nel 2013 con un doppiaggio curato per l’occorrenza: un doppiaggio moderno che resta “scollato” dal film e dalle sue immagini in bianco e nero, perché non ha quel suono un po’ nasale che hanno i sonori dell’epoca, originali o doppiaggi che siano – per cui è più godibile in lingua originale sottotitolata.

Quattro militari sono sopravvissuti allo schianto del loro aereo e si rendono subito conto di essere dietro le linee nemiche di cui spiano un acquartieramento; devono appropriarsi del loro aereo per potere uscire da lì e nel loro vagabondare si imbattono in una donna locale che fanno prigioniera e che incarnerà il “desiderio” del titolo. La storia, benché ispirata dalla guerra di Corea allora in corso, non identifica in alcun modo i soldati protagonisti né i loro nemici: come ci dice la voce narrante, essi parlano la nostra lingua e sono del nostro tempo ma la patria è solo nella loro mente. E’ una sorta di escursione filosofica sul militarismo e la guerra, la vita e la morte. Ed è un film da recuperare in quanto è il primo dei tre film sull’antimilitarismo di Kubrick insieme a “Orizzonti di gloria” e “Full metal jacket”.

Il cast mette insieme gli sconosciuti Kenneth Harp nel doppio ruolo del sergente e del generale nemico e Steve Coit nel doppio ruolo di soldato e capitano nemico: per il primo questo sarà l’unico film e in futuro farà qualcosa in tv, mentre per il secondo è l’inizio di una proficua carriera come caratterista. L’originario giamaicano Frank Silvera ha già all’attivo un paio di film e sarà uno degli esponenti dei “latini” che daranno dignità agli attori ispanici-americani così come Sidney Poitier la diede ai neri. Conclude il quartetto dei protagonisti il ragazzo del gruppo scoperto in un teatro off di Broadway, l’esordiente Paul Mazursky al quale sono destinate le scene e i monologhi più complessi, poetici e visionari insieme, drammatici al limite del grottesco, cui il ragazzo si dà con grande adesione ma che suscitano le risate più fragorose fra il pubblico. Paul Mazursky, pur continuando sporadicamente la carriera di attore, darà il meglio di sé come regista cult fra gli anni ’70 e ’80, fra i cui titoli basta ricordare “Stop a Greenwich Village” e “Una donna tutta sola”. Unica donna del film è Virginia Leith, modella, qui quasi muta, che proseguirà una carriera cine-tv con ruoli di secondo piano e un veloce primo piano sui tabloid per essersi fatta vedere in giro con Marlon Brando.

Laddove questo “Paura e Desiderio” fosse stato un film di un regista rimasto sconosciuto si sarebbe potuto archiviare come un filmetto stravagante e decisamente non riuscito – ma trattandosi dell’opera prima di Stanley Kubrick va visto nella prospettiva dell’intera filmografia dell’ingombrante cineasta che fra tanti capolavori ha inanellato anche qualche deludente film.