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Non odiare – opera prima di Mauro Mancini

Intensa opera prima di Mauro Mancini, regista con un curriculum di tutto rispetto fra corti, documentari e pubblicità che hanno rastrellato premi e riconoscimenti. Per questo suo primo lungometraggio, che ha scritto con Davide Lisino, si è lasciato ispirare da un fatto di cronaca: in Germania, un chirurgo ebreo si rifiuta di operare un paziente con tatuaggio nazista, e passa i bisturi a un collega; siamo di fronte a un dilemma: mantenere fede al Giuramento di Ippocrate o seguire la propria coscienza di uomo? Simone Segre, il protagonista di questa storia, non ha dubbi e come il chirurgo tedesco segue la sua coscienza: omette di soccorrere un uomo vittima di incidente stradale quando vede la svastica che ha tatuata sul petto. Ma qui prende il via il suo tormento e indaga sull’uomo e sulla sua famiglia, tre figli: la maggiore Marica che viveva lontana, a Roma, l’adolescente Marcello che è un fervente neonazista e il piccolo e confuso Paolo. Col suo senso di colpa, Simone cerca di aiutare Marica assumendola come colf e poi si scontra con Marcello che non accetta che la sorella faccia la serva a un ebreo.

E’ un film sulle colpe e sui sensi di colpa di ognuno, e anche un film sulle identità: Simone Segre è figlio di un sopravvissuto all’olocausto ma sembra aver dimenticato le sue origini, su cui adesso torna a riflettere e a indagare dopo l’incontro-scontro con i neonazisti, perché per conoscere bisogna capire e per capire bisogna conoscersi. E come dice il regista in un’intervista: è anche un film sull’indifferenza diffusa in cui viviamo, pervasi da una realtà fatta di social in cui prestiamo un’attenzione assai labile alla cronaca, cliccando un like e passando subito oltre senza approfondire nulla.

Un debutto assai interessante, maturo e profondo, in controtendenza: che guarda al passato per indagare il presente, senza spiegarlo però, senza cercare facili soluzioni né avere punti di vista morali e moralistici; scegliendo di raccontare la pericolosa e poco indagata realtà del neonazismo, spesso minimizzato come espressione folcloristica di un manipolo di facinorosi ma che rappresentano la vera anima nera della nostra società.

Abbiamo qui registrato altri debutti cinematografici, quello romanissimo dei fratelli D’Innocenzo (già al lavoro per Sky su una serie noir romana) con “La terra dell’abbastanza”; poi alla loro opera seconda, “Favolacce” (visto in tv) che a Berlino 2020 ha vinto il premio per la sceneggiatura, restano nel loro ambiente suburbano romanesco e cambiano solo registro narrativo, da drammatico a grottesco, mettendo insieme un cast di professionisti e non, che col loro incomprensibile biascicare, lo stesso con cui si esprimono i due fratelli e che necessita di sottotitoli, mi ha davvero dato ai nervi e mal predisposto sulle prossime fatiche dei gemelli. Altro interessante debutto è l’horror di atmosfera “The Nest” di Roberto De Feo che guarda a un genere rimasto di nicchia nel mercato italiano, nonostante la gigantesca presenza di Dario Argento, e si allinea sul mainstream internazionale. C’è poi stato l’onesto debutto di Stefano Cipani con “Mio fratello rincorre i dinosauri”, veicolato dal successo del libro da cui è tratto il film. Lascia ben sperare Marco D’Amore, Nastro d’Argento 2020 Miglior Regista Esordiente, che ha debuttato con “L’immortale”, un film di genere, spin-off e cross-over della serie di cui è protagonista, “Gomorra”; D’Amore, già attivo nella scrittura e nella produzione, sono certo che ci riserverà interessanti sorprese. Concludo l’incompleta carrellata col fumettista Igort che ha messo in film la sua graphic novel “5 è il numero perfetto”, sorta di unicum nel nostro panorama.

“Non odiare” è stato l’unico film italiano in concorso a Venezia 2020, molto applaudito da pubblico e critica, che ha portato ad Alessandro Gassmann il meritato Premio Pasinetti per la migliore interpretazione maschile: un’interpretazione intensa fatta di molti silenzi, com’era già nella prima sceneggiatura e che lui stesso ha chiesto di accentuare; premiato anche il quasi debuttante, qui al suo primo ruolo da protagonista, Luka Zunic, nome slavo ma nato a Riva del Garda, Premio NuovoImaie Talent Award. Niente premi per la terza protagonista, la pescarese Sara Serraiocco, che però si conferma come sicura promessa femminile del cinema italiano: nessun premio ma tanti riconoscimenti.

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Il film ha tanti punti di forza: oltre alle interpretazioni, una sceneggiatura intelligente e accurata; l’ambientazione in una non riconoscibile Trieste che colloca l’azione in un fuligginoso mitteleuropa, per rendere la cui luce particolare e imprimere cupezza, il regista ha scelto un direttore della fotografia polacco con un suo background culturale ben preciso, Mike Stern Sterzyński; la solitudine dei personaggi che non hanno una vita sentimentale ma sono raccontati come simboli assoluti, esempi, esemplificazioni di varia umanità. Unica forzatura, a mio avviso, è lo scivolone narrativo in un bacio non necessario fra il medico di mezza età e la giovane cameriera: drammaturgicamente era necessario un abbraccio, che si sarebbe potuto risolvere in un abbraccio padre-figlia, senza arrivare all’imbarazzante e imbarazzato bacio che però gli interpreti hanno reso con grande sensibilità. Per il resto, ogni cosa al suo posto: l’ebreo non praticante che ritrova l’orgoglio della fede e dell’identità, pur scoprendo le ambiguità del padre che per sopravvivere all’olocausto è stato collaborazionista; il giovane neonazista indottrinato ma ignorante dell’ambiguità che lo circonda, che alla fine trova una salvifica via di fuga; il bambino che non vuole dispiacere il fratello neonazista ma che non sa riconoscere gli ebrei alla sola vista, che poi sulla tomba del padre fa il saluto nazista per ammonirci che piccoli nazisti crescono, grazie alla confusione e all’ignoranza in cui vivono; la giovane donna totalmente consapevole quanto assolutamente inabile a mettere insieme le tessere di un arduo mosaico. La cifra del film è nel suo antefatto apparentemente slegato dalla storia: il protagonista da bambino è costretto dal padre a una dolorosissima scelta, perché la vita non farà sconti e bisognerà sempre compiere scelte dolorose, discutibili, assolutamente personali.