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L’uomo in più – opera prima di Paolo Sorrentino

L'uomo in più – PM

Esattamente venti anni fa, nel 2001, debuttava col suo primo lungometraggio quel Paolo Sorrentino che dodici anni dopo, chi l’avrebbe mai detto, avrebbe vinto l’Oscar con “La grande bellezza”. Napoletano del Vomero, a 16 anni era rimasto orfano di entrambi i genitori e, come lui stesso considera, deve la vita a Maradona perché finalmente il padre gli aveva concesso di seguire la squadra del Napoli in trasferta, e mentre lui era fuori i genitori morirono nel sonno avvelenati dal monossido di carbonio per una stufa difettosa. Dopo qualche anno infruttuoso all’università decide di darsi completamente al cinema dove aveva cominciato a muoversi e lavora come ispettore di produzione, assistente alla regia e poi aiuto regia, che è un gradino più su, poi comincia a scrivere sceneggiature anche per la tv finché a 28 anni scrive e dirige il suo primo cortometraggio, e solo tre anni dopo scrive e dirige questo suo primo lungometraggio col quale vince il Nastro d’Argento come miglior regista esordiente, il Ciak d’Oro per la migliore sceneggiatura e la Grolla d’Oro al protagonista Toni Servillo.

Toni Servillo e Mario Martone

Toni Servillo era passato dal teatro al cinema debuttando con un altro regista debuttante, Mario Martone, per il quale reciterà in quattro film; ma sarà questo ulteriore regista alla sua opera prima a fargli ottenere il primo riconoscimento e la conseguente notorietà, e per il quale diverrà l’attore feticcio interpretando per lui Giulio Andreotti in “Il Divo”, poi l’iconico e laconico Jep Gambardella, il giornalista protagonista di “La grande bellezza” e ancora Silvio Berlusconi nel dittico “Loro”. Torna recentemente a lavorare con Mario Martone per interpretare l’attore e commediografo napoletano Mario Scarpetta in “Qui rido io” le cui riprese sono iniziate appena un mese prima della diffusione della pandemia e la cui lavorazione è continuata nelle difficoltà che sappiamo, e che attualmente è si può vedere in streaming.

L'uomo in più - Italy For Movies

L’altro protagonista del film è Andrea Renzi che con Mario Martone aveva debuttato 14enne a teatro, dove prosegue proficuamente la sua attività alternandola con cinema e televisione ma senza mai assurgere alle vette di notorietà e premiazioni del suo coprotagonista: in effetti qui esibisce un bel volto cinematografico ma una recitazione ancora un po’ manierata, di gran lunga più indietro rispetto al sornione Servillo già dotato di quella grande presenza scenica che non passa inosservata.

Paolo Sorrentino per la sua opera prima mette in scena due mondi che ben conosce e ama: il calcio e la canzonetta popolare, dato che si era cimentato nella scrittura di una sceneggiatura per un film, mai realizzato, sui neomelodici napoletani. Sono protagonisti due uomini diversissimi fra loro ma omonimi, si chiamano entrambi Antonio Pisapia, e non si conoscono direttamente benché noti l’uno all’altro essendo dei personaggi pubblici: uno è un calciatore famoso, timido e introverso, l’altro detto Tony Pisapia è un cantante egocentrico e sbruffone che soffre di essere sempre un passo indietro all’odiato Fred Bongusto nel cui stile e nel cui tempo si muove: Toni Servillo canta le canzoni originali, scritte dal regista insieme a suo fratello Peppe Servillo degli Avion Travel.

Agostino Di Bartolomei, Roma 1978-79.jpg

Il film si colloca in un non immediatamente comprensibile 1980 dato che la vicenda si sarebbe potuta svolgere nel presente narrativo, e già qui mostra una prima debolezza stilistica: il 1980 non è raccontato né visibile, non vi sono precisi riferimenti culturali o sociali, né stilistici nell’ambientazione, scene e costumi, e solo nel cantante si riconosce un abbigliamento desueto ma che può essere inteso come stile personale di un cantante fuori tempo, come in effetti viene raccontato. Per capire il perché di questa collocazione temporale bisogna sapere che il personaggio del calciatore è ispirato ad Agostino Di Bartolomei e al suo tempo; era un uomo schivo e riservato come i calciatori notoriamente non sono, e fu il capitano della Roma che aveva perso contro il Liverpool nella Coppa dei Campioni del 1984; viene ricordato dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio come “Un capitano vero, un leader silenzioso, simbolo di un calcio romantico fatto di cuore, polmoni e grinta. E di talento, perché Ago ne aveva da vendere.” Si suicidò con un colpo di pistola e sulle prime si ipotizzarono problemi finanziari, ma poi il ritrovamento di un suo biglietto chiarì le ragioni del gesto: “Mi sento chiuso in un buco” una laconica e definitiva accusa al suo mondo che gli aveva chiuso le porte e lo stava dimenticando.

Ragioni sentimentali, dunque, quelle che hanno spinto Sorrentino a fare il suo primo film collocandolo in questo imprecisato 1980. Ma già si delinea il suo stile e le sue tematiche: quello dell’uomo in purgatorio, che vive ai margini della società che lo esprime, per forza o per scelta, laconico anche quando è logorroico perché anche se parla molto dice poco, e che si muove in un mondo fatto di situazioni sospese, di un passato irrisolto e di un futuro improbabile. Il calciatore è stato messo al tappeto da un calcio che gli ha rotto i legamenti, una ritorsione perché non ha voluto truccare una partita; il cantante finisce in galera per aver fatto sesso con una 16enne che in verità lo ha circuito, ma lui era troppo fatto di cocaina per preoccuparsi dell’età della ragazza. Il primo, non potendo più giocare, prende il patentino di allenatore ma il suo club non lo considera, il secondo esce di prigione e non trova più contratti. Lo sportivo cerca di ricollocarsi nel mondo immobiliare, il cantante pensa di rilevare una trattoria di pesce. Si sfiorano, si riconoscono, passano oltre. L’uomo in più del titolo è direttamente ispirato allo schema a quattro punte applicato dall’allenatore Ezio Glerean con il Cittadella alla fine degli anni ’90, dunque molto in anticipo e ridicolizzato nel 1980 del racconto.

La struttura del film anticipa lo stile che Sorrentino metterà a punto già nel film successivo “Le conseguenze dell’amore”, ulteriore e maggior successo; l’atmosfera rarefatta e il tempo come sospeso in cui i suoi protagonisti si muoveranno qui non sono ancora totalmente centrati e il ritmo del film ne risente: è una partitura musicale che procede per sbalzi e tentativi, dilazioni e accelerazioni non completamente equilibrati che però segnano il punto nel monologo finale del cantante melodico che si è tolto la folta parrucca nera con ciuffo e confessa in diretta tv l’inconfessabile, dopo aver vendicato il suo omonimo in un afflato di immedesimazione: se c’era un Antonio Pisapia in più, quello che è rimasto fa quello che l’altro avrebbe dovuto e non ha avuto la forza di fare perché troppo brava persona: col suo finale il debuttante Paolo Sorrentino allunga una mano sui premi e sui film che verranno. Ma grazie anche a Toni Servillo, ovviamente, e non lo dimenticherà.