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Lo Sceicco Bianco – opera prima di Federico Fellini

1952. la Seconda Guerra Mondiale è finita da appena 7 anni e l’Italia si ricostruisce. Nel cinema nasce il “neorealismo” dalla necessità di realizzare film a basso costo, ma anche dalla spinta narrativa, ideale e stilistica di trovare interpreti e tematiche più vicini alla gente comune che non si riconosceva nei film dei “telefoni bianchi”, sottogenere della commedia, che raccontava la benestante borghesia che coi suoi telefoni bianchi, appunto, come status symbol, si distingueva dalla gente comune che, quando li aveva, i telefoni erano neri, di bakelite. Ma soprattutto è il periodo dei film melodrammatici (“I figli non si vendono”, “Gli innocenti pagano”) e di cappa e spada (“A fil di spada”, “Maschera nera”) , come di commedie leggere (“Lo sai che i papaveri”, “Bellezze in motoscooter”) e di rivisitazioni belliche (“Eran trecento… – La Spigolatrice di Sapri”, “Ombre su Trieste”); ma il 1952 è anche l’anno del primo “Don Camillo” mentre Totò fa un film dietro l’altro.

Federico Fellini, di cui quest’anno si celebra il centenario della nascita con ricche retrospettive in tv, ha 32 anni e un ricco curriculum: è disegnatore satirico per il Marc’Aurelio, creatore di gag per comici da avanspettacolo che passano al cinema come Macario, e autore di copioni teatrali per Aldo Fabrizi; poi diventa prolifico autore radiofonico; negli anni ’40 comincia l’apprendistato come sceneggiatore cinematografico e il suo battesimo dietro la macchina da presa avviene sul set del neorealista e antifascista “Paisà”, come assistente di Roberto Rossellini, girandone una sequenza in assenza del regista titolare. Come regista debutta firmando a quattro mani con Alberto Lattuada “Luci del varietà”, un film che esplora uno dei topos che accompagneranno Fellini in tutta la sua cinematografia: l’avanspettacolo, con tutti i suoi retroscena e grottesche miserie.

Ma “Lo Sceicco Bianco” è la sua vera opera prima. Scritto insieme a Tullio Pinelli, Ennio Flaiano e Michelangelo Antonioni, il copione sembrava destinato alla regia di quest’ultimo, ma è stato in lizza anche Lattuada, prima che si concretizzasse la regia del Nostro. Il titolo si riferisce al personaggio protagonista di un fotoromanzo a puntate, quando i fotoromanzi erano il cinema dei poveri: “State facendo un film?” chiede il bagnante che si aggira curioso sul set sulla spiaggia di Ostia, “Quasi” risponde una delle “belle Sulamite” che affollano un cast di “attori” e “attrici” in costumi esotici.

Vale la pena ricordare che la “bella Sulamita” è un personaggio del “Cantico dei Cantici” reso diversamente popolare dalla rivista radiofonica parodistica “I Quattro Moschettieri”, 1934-1937, che lo inserì fra i personaggi fantastici e ricorrenti nella trasmissione. A questo programma e ai suoi personaggi si è ispirata la collezione di figurine che la Ferrero ha lanciato sul mercato per fronteggiare la crisi causata dalla tassa sullo zucchero, e la “bella” era una delle figurine più ricercate, insieme all’introvabile Feroce Saladino che ispirò il film omonimo di Mario Bonnard con Angelo Musco e Rosina Anselmi, con una giovanissima Alida Valli nei panni della Bella Sulamita e il diciasettenne Alberto Sordi in un piccolo ruolo.

Lo Sceicco Bianco del fotoromanzo è interpretato nel film da Fernando Rivoli, una di quelle maschere tipiche, il cialtrone, altrimenti definito come “italiano medio”, su cui costruirà la sua carriera Alberto Sordi, spesso collaborando a soggetti e sceneggiature, e in quegli anni già attore giunto alla popolarità; il suo Sceicco Bianco, però, benché titolo del film, non ne è il protagonista. Protagonisti sono una coppia di coniugi, interpretati da Leopoldo Trieste e Brunella Bovo, che dalla provincia arrivano a Roma in un viaggio di nozze di 48 ore e con un programma da maratona fitto di impegni che ovviamente salterà per aria, dato che la sposina, con il nomignolo di Bambola Appassionata aveva scritto allo Sceicco Bianco che in segreto le faceva sognare avventure esotiche. Fingendo di fare un bagno caldo, che in albergo costa un extra di 200 lire, scappa per avere un incontro fugace col suo mito, ma viene irretita dalla troupe di rudi romanacci in costume e portata sul set a 26 km dalla capitale, dove viene addirittura abbigliata per partecipare alla fotostoria: è il coronamento di un sogno innocente e insieme la perdita dell’innocenza, mentre in città il maritino, con cui non ha ancora “consumato” le nozze, fa i salti mortali per nascondere la sua assenza agli altolocati parenti romani.

A distanza di tanti decenni il film scorre veloce meglio di tante commedie odierne, perché girato con mano sicura da un regista quasi esordiente che dirige magnificamente gli attori, muove la macchina da presa con maestria e costruisce sequenze con un dinamismo ultra moderno; Leopoldo Trieste è l’interprete ideale di questo provincialotto spaesato cui il destino gioca uno scherzo – per lui crudele ma per noi pubblico, risibile. Mentre sulla spiaggia va in scena il primo capitolo di quello che sarà il mondo felliniano: il sogno e i suoi retroscena grotteschi, l’illusione e la cartapesta di cui sarà fatto tutto il suo cinema. Il risultato al botteghino non fu eclatante ma il film ottenne ottime critiche: fu definito comico, e in effetti lo è, ma oggi diremmo “brillante” dato che nel frattempo la comicità, nel cinema italiano, ha percorso vie sempre più becere.

Nota in chiusura. Fellini ha inserito nel film un cammeo per sua moglie, Giulietta Masina, nei panni di una improbabile – per garbo ed eleganza – prostituta di strada, una tale Cabiria che nel 1957 avrà un film tutto suo, “Le notti di Cabiria” che porterà a Fellini il suo primo Oscar.