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La commare secca, opera prima di Bernardo Bertolucci

1962. Il 21enne Bernando Bertolucci debutta come regista cinematografico sotto l’ala protettiva di Pier Paolo Pasolini che a sua volta aveva debuttato l’anno prima come regista con “Accattone”. Il ragazzo Bertolucci nasce bene, è figlio del poeta Attilio di cui sembra voler seguire la traccia e da Parma si trasferisce a Roma per iscriversi a Lettere a “La Sapienza”. Pubblica anche il suo primo e unico libro di poesie, che vince anche un premio, ma il caso vuole che suo vicino di casa è Pier Paolo Pasolini e il giovanotto – già cinéphile innamorato della francese “nouvelle vague” che reputa a quel momento l’unico cinema possibile (e si dà pure delle arie parlando con accento francese, come ricorda in un’intervista) – lascia l’università e la poesia per la settima arte, e fa da assistente a Pasolini che sta per debuttare come regista. Su quel set, tra l’altro, allaccia una relazione con l’attrice Adriana Asti, più grande di lui di 10 anni, che sarà poi protagonista della sua opera seconda “Prima della rivoluzione”. Ha girato solo due cortometraggi amatoriali, da adolescente, e non sa niente di cinema ma le circostanze fortuite e le fortunate stelle lo portano ad essere il più giovane regista cinematografico, come lui stesso racconta in questa intervista.

Ahilui, il film è pasoliniano. Lo scrittore-saggista-poeta ora anche regista ha già creato un suo stile e un suo genere alla prima regia. Suo il soggetto, dove continua la narrativa dei suoi primi romanzi “Ragazzi di vita” e “Una vita violenta”, “suoi” i ragazzi di borgata, i ragazzi di vita presi dalla strada con quelle facce che ancora oggi diremmo “pasoliniane”, suo il romanesco – per il quale è aiutato dall’amico e sodale (anche attore e poi regista) Sergio Citti, che ha collaborato alla sceneggiatura del debuttante Bertolucci creando un romanesco quasi poetico – “aho, te fai aspetta’ più dei miracoli! – letterario e del tempo che fu, niente a che vedere col romanesco odierno assai incarognito, gutturale e biascicato dei borgatari di oggi, incattiviti dalle droghe e dal crimine che si è fatto, da scippi e borseggi, organizzato e letale: basta andare a verificare in un’altra opera prima, “La terra dell’abbastanza” dei Fratelli D’Innocenzo.

Un film pasoliniano anche a dispetto degli sforzi del giovane regista, dunque, che gira un film sempre in movimento in contrasto con le scene statiche e pittoriche di Pasolini. E questo movimento mi è saltato subito agli occhi, sin dall’inizio del film che si apre allo spazio e al movimento con una bellissima sequenza che va a scoprire il cadavere della prostituta. Un film capito poco dai contemporanei, ma anche dai posteri se consideriamo che per “Il Merenghetti”, dizionario del cinema edito nel ben più tardo 1993, il film è un esercizio di stile appesantito dalla preziosità del racconto d’autore e da uno sguardo liricheggiante che deve troppo alla volontà di fare un cinema d’autore. Beh sì, il 21enne Bertolucci ha voluto fare un cinema d’autore: chi non lo avrebbe voluto al posto suo? e a mio modesto parere ci riesce, e alla grande: dirige bene gli interpreti, muove con sicurezza – e anche arroganza? – la macchina da presa, e costruisce scene e sequenze che nulla hanno da invidiare ai professionisti di lungo corso: il ragazzo è stato baciato dalla fortuna perché la Fortuna lo aveva già scelto come futuro maestro del cinema italiano e internazionale. Qui una delle immagini che ho fotografato dallo schermo a dimostrazione del suo già indiscutibile gusto visivo.

Il film, che forse nelle prime intenzioni di Pasolini doveva essere un thriller, un’indagine su un assassinio, diventa invece – per il suo indagare nelle borgate – un’indagine sociale, un affresco sulla varia umanità che brulica ai confini della città e nel confidente buio dei parchi notturni. E la visione di Bertolucci, che segue i movimenti e lo scorrere del tempo, rafforzano e magnificano il lato umano del film. Che ha una costruzione perfetta, a capitoli: agli interrogatori, che poi si aprono ai racconti dei protagonisti, si inframmezzano i quadri privati in cui la futura vittima si prepara alla nottata che sappiamo fatale. Punti di raccordo di tutti i racconti sono un momento e un luogo. Il momento è un violento acquazzone nel primo pomeriggio che costringe i personaggi a uno fermo riflessivo, il luogo è il parco di notte in cui la prostituta batte, e in cui tutti i personaggi convergono allo stesso momento. Nella narrazione è il Parco Paolino, oggi Parco Schuster, che si estende fra la Basilica di San Paolo e la via Ostiense, allora periferia assai più estrema di oggi. E a tal proposito ho voluto indagare sul “com’era” e il “com’è” il via Trionfale 160 in cui abita il primo interrogato. Nella prima immagine il fotogramma del film, con una baracca su un montarozzo, nella seconda il Google che mostra palazzine moderne.

Il cast, benché composto sia da professionisti che non, risulta assai omogeneo, e anche questo va a merito del regista. Fra i professionisti va ricordato, in testa, Gianni Bonagura, che solo in voce interpreta il commissario che tiene gli interrogatori. Poi, ben mischiate ai volti di strada, ci sono Carlotta Barilli, Gabriella Giorgelli e Marisa Solinas.

Fra i non professionisti “con pedigree” vanno annotati il debuttante Silvio Laurenzi nel ruolo dell’omosessuale predatore in cui Pasolini dichiaratamente riscrive se stesso: un omosessuale vecchio stile come fortunatamente non ce ne sono quasi più, di quelli dediti all’esclusiva ricerca del “maschio vero”, l’immaginifico eterosessuale. Laurenzi, come i borgatari, recita se stesso recitando un copione, e si avvierà a una carriera in bilico fra quella di costumista cinematografico e macchietta gay nelle commedie sexy all’italiana; ma la sua dedizione al cinema, su qualsiasi versante si fosse espressa, nel 2009 viene premiata con la medaglia d’oro “Una vita per il cinema”.

Fra tanto romanesco di borgata il racconto esplora altri linguaggi: il napoletano, il pugliese, il calabrese, il friulano. Quest’ultimo nella figura dell’assassino, interpretato da un Renato Troiani che, in quanto friulano, viene sicuramente dal giro di Pasolini, bolognese di nascita ma veneto e friulano nella formativa infanzia. Il ruolo del militare calabrese (opportunamente doppiato) è invece affidato al volto solare dell’americano Allen Midgette, un bel ragazzone che in cerca di esperienze è arrivato in Italia col suo amico pittore Bill Morrow, a sua volta amico di Elsa Morante, e subito entrato nella cerchia di Pasolini. Dopo questa esperienza torna a New York, e come pittore ispirato dall’arte nativa americana, entra nella “Factory” di Andy Warhol, col quale gira due film; poi torna in Italia per piccoli ruoli e comparsate che l’amico Bertolucci gli propone in “Prima della rivoluzione”, “La strategia del ragno” e “Novecento”.

Il film è disponibile online diviso in due tempi in due pagine diverse sul sito dailymotion. Qui il primo tempo: https://www.dailymotion.com/video/x6yjarz. E qui il secondo: https://www.dailymotion.com/video/x6yh57v. Buona visione!