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5 è il numero pefetto – opera prima di Igort

Il fumettista Igort, Igor Tuveri, passa alla regia e trasforma in film la sua graphic novel omonima. Ma non è il primo fumettista a saltare lo steccato, prima di lui c’è stato Gipi, Gian Alfonso Pacinotti, che per il suo debutto cinematografico “L’ultimo terrestre” del 2011 sceglie di ispirarsi alla graphic novel di un altro autore ma in seguito, nei due successivi film, diventa anche attore. Igort, fumettista di fama internazionale, negli anni si è fatto le ossa nel cinema come sceneggiatore e dopo un documentario su Andy Warhol scrive a quattro mani col regista debuttante Leonardo Guerra Seràgnoli “Last Summer” e poi partecipa alla sceneggiatura di “L’Accabadora” di Enrico Pau dal romanzo di Michela Murgia.

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Il fumetto “5 è il numero perfetto”, dopo 10 anni di lavorazione – disegnare prende molto tempo – arriva alla stampa nel 2002 edito dalla Coconino Press che Igort ha contribuito a fondare, e diviene uno dei suoi best seller: praticamente da allora, e grazie anche alle sue fruttuose frequentazioni cinematografiche, Igort pensa di realizzare il film: impiegherà 13 anni in cui scriverà 10 differenti sceneggiature prima di arrivare alla pre-produzione; e dato che una cosa chiama l’altra e Igort vende molto, è stato pubblicato anche un libro sulla lavorazione del film: chiamasi merchandising. Detto questo, il film anche se non perfetto come il 5 del titolo, è comunque molto interessante perché trasportando il piatto bianco e nero dipinto di blu della pagina – allo schermo, arricchisce la storia di una fantasmagoria di colori e di azioni stilizzate, e omaggi stilistici che si fanno a loro volta stile proprio. Da buon cineasta provetto tradisce il fumetto per creare un’opera che viva di vita propria.

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Palazzo d’Afflitto
Palazzo dello Spagnolo - Monumento - Palazzo
Palazzo dello Spagnolo

Per vivificare la sua visione si avvale dell’apporto di eccellenti professionisti e alla bellissima fotografia c’è il danese Nicolaj Brüel che con “Dogman” di Matteo Garrone ha vinto il David di Donatello, e ha poi continuato il sodalizio con “Pinocchio”. La scenografia di Nello Giorgetti è ricca di quei dettagli anni ’70 che la storia, ambientata nel 1972, richiede, e reinventa una Napoli dove l’iper realismo dei dettagli – la cabina col telefono a gettoni, la grande insegna Campari, la Seicento Multipla con le portiere controvento, la Bianchina, i manifesti pubblicitari – si fa scenario di un set immaginario dove anche i luoghi cult del cinema partenopeo – i vicoli antichi e la scenografia “naturale” dei palazzi che abbiamo visto in decine di film – diventano scenario immaginifico, nebuloso, assai lontana dalla Napoli iper-realistica dei recenti film di camorra. Anche i costumi di Nicoletta Taranta, il cui compito è stato quello di trasferire la bidimensionalità monocromatica del fumetto in costumi, tridimensionali funzionali colorati e reinventati mantenendo la linea della storia, contribuiscono a creare lo stile visivo del film. Per dirla in breve sono stati tutti candidati ai David di Donatello 2020.

Dick Tracy | COMICSANDO comic art blog
Dick Tracy di Chester Gould

Anche la scelta del cast è molto felice: professionisti ai quali potersi affidare a occhi chiusi, ma che dovevano rispecchiare le caratteristiche dei personaggi del fumetto per non deluderne i fan. Toni Servillo con naso posticcio e impermeabile è un Dick Tracy di una camorra che non c’è più, e sparatorie e scene di azione omaggiano sia Sergio Leone – che anche la musica del duo D-Ross & Startuffo riecheggia omaggiando Ennio Morricone – sia il kung-fu che in quegli anni ’70 arrivava da Hong Kong nei nostri cinema, e non è un caso se il protagonista, Peppino Lo Cicero, fa un salto in sala a vedere “Cinque dita di violenza”: un omaggio al cinema d’oriente e a quegli odierni cineasti che già erano interessati a portare in film la graphic novel di Igort: il cinese di Canton John Woo, il cinese di Hong Kong Johnnie To e il giapponese Takashi Miike – ricordando anche che Igort ha vissuto in Giappone e proprio lì ha cominciato a disegnare “5 è il numero perfetto”. L’imperfezione del film, per quel che mi riguarda, sta in una certa lentezza narrativa, necessaria in un plot che comincia come una storia di vendetta e diventa un percorso riflessivo, ma che a tratti sfugge di mano al regista che, in ogni caso, confeziona un’opera notevole.

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Vincenzo Nemolato

Affiancano Toni Servillo, Carlo Buccirosso, a mio avviso un po’ sottotono rispetto all’impianto complessivo, e una Valeria Golino dal grilletto facile in stile Nikita che è l’unica a portare a casa il David di Donatello: un ruolo più in azione che di interpretazione, e un premio che sa di contentino per gli altri mancati riconoscimenti. Lorenzo Lancellotti è Nino, il figlio di Peppino; Vincenzo Nemolato, che già di suo ha una faccia da fumetto e un talento sicuro, già visto con un importante ruolo in “Martin Eden”, è Mr Ics con parrucca rock’n’roll; Nello Mascia è il dottore e Gigio Morra il boss Don Lava; nel ruolo del gobbo che non era nel fumetto c’è Giovanni Ludeno, che nell’ultima stagione “1992-1993-1994” ha avuto un ruolo di rilievo nel pool di Mani Pulite sostituendo l’attore Domenico Diele che si è bruciato la carriera finendo in carcere con l’accusa di omicidio stradale, aggravato dal fatto che già aveva la patente sospesa per guida con uso di eroina, reiterando e aggravando il crimine; a interpretare l’afrocrinito guappo Ciro c’è Emanuele Valenti, visto recentemente nel cast Rai di “L’amica geniale” nel ruolo dell’untuoso padre di famiglia che insidia una delle due protagoniste. Nel finale del film, ambientato nell’immaginifico stato del Parador (Paraguay+Ecuador?) in Centro-America, il barbiere cui Peppino svela l’ultimo mistero del suo dramma personale è interpretato da Marcello Romolo, che recentemente è stato protagonista di puntata come morituro Papa Francesco II nel televisivo Sky “The New Pope” di Paolo Sorrentino. Nomi e volti non tutti noti al grande pubblico che contribuiscono alla riuscita dell’insolito film. Film insolito per cinema italiano, beninteso.

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