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Omaggio a Piera Degli Esposti

Il 14 agosto del 2021 se n’è andata anche Piera Degli Esposti, 83enne, e se n’è andata così come se ne doveva andare, essendo stata operata a 39 anni di pleurectomia, ovvero a causa di un tumore le sono state rimosse entrambe le pleure, che sono le membrane che avvolgono i polmoni. Ha trascorso un lungo periodo in un sanatorio e ha poi ricordato che per darsi forza si alzava ogni mattina con una canzone in testa, come quando da ragazzina lavorava in una sartoria della nativa Bologna e cantava mentalmente per far passare il tempo. “Io volevo essere un’atleta, ho la fissa del nuoto, alle Olimpiadi mi affascinano quelli che spiccano i salti e l’asta sta lì in bilico: mi interessa la forza di volontà di quel momento, ho una passione per il corpo che ha questa gran energia e concentrazione. Infatti non mi piaceva fare cinema perché, nonostante abbia iniziato con i Taviani, Pasolini, Zampa, lo giudicavo troppo centimetrale, mi sentivo stretta nell’inquadratura.E quanta forza di volontà ed esercizio deve esserle costata la recitazione, soprattutto quella teatrale, che è fatta di diaframma e di respiri lunghi che sostengono la battuta, che danno forza alla voce. La sua voce cinematograficamente un po’ così, un po’ graffiata, caratteristica di chi fuma troppo, e da spettatori comuni non ci era dato sapere quale grande sofferenza e attenzione ed esercizio c’erano invece dietro. Per la sua particolare voce Eduardo De Filippo l’aveva definita “o verbo nuovo”.

Si forma artisticamente nel teatro sperimentale facendo un percorso con Carmelo Bene; tenta il salto stilistico ma viene respinta dall’Accademia Nazionale di Arte Drammatica, non si dà però per vinta e si unisce al Teatro 101, spazio che dalla metà degli anni ’60 fa innovazione e cultura teatrale, spazio in cui incontra Gigi Proietti che diverrà suo grande amico e dove comincia a lavorare diretta da Antonio Calenda; poi passa al Teatro Stabile dell’Aquila dove sarà prim’attrice in spettacoli classici come “La figlia di Jorio” e “Antonio e Cleopatra”. Nel frattempo ha esordito in tivù nel “Conte di Montecristo” del 1966 e l’anno successivo comincia a fare il cinema dove sarà un’interprete molto amata da autori come i Taviani, Pasolini, Ferreri, Moretti, Bellocchio, Tornatore, Sorrentino e con la Lina Wertmuller della fase calante dopo i successi con la coppia Giannini-Melato, girerà tre film. Nel 1980 arriva nelle librerie “Storia di Piera”, storia della sua infanzia e grande successo di vendite scritto con la sua amica di sempre Dacia Maraini; romanzo da cui tre anni dopo Marco Ferreri girerà il film omonimo con Isabelle Huppert come Piera e Hanna Schygulla come sua madre, che a Cannes vinse il premio per la migliore interprete femminile. Marco Ferreri la stima in modo speciale, e più che impiegarla come attrice preferisce usare il suo talento di scrittrice e sempre in coppia con Dacia Maraini la preferisce sceneggiatrice, oltre che della sua storia, la storia di Piera, anche di “Il futuro è donna”.

E’ protagonista assoluta di questo film del 1989, “Il decimo clandestino”, sceneggiato dalla Wertmuller da un racconto di Giovanni Guareschi, quello di Don Camillo e Peppone, e prodotto per la tivù di Mediaset. Proprio perché prodotto tivù non ci sono locandine e anche le foto del set sono assai scarse, ed è evidente che non è stato considerato un prodotto di punta. Rattrista, anche, nelle scarse note che sul web accennano al film, leggere il nome della protagonista dopo quello della più/altrimenti celebrata coprotagonista Dominique Sanda, e addirittura ci sono casi in cui Piera non è neanche citata.

Da un fotogramma tv i nove bambini tutti arrampicati su un albero, come uccellini pronti a spiccare il volo o come frutti pronti da spiccare, in un’inquadratura surreale che vale tutto il lavoro di Lina Wertmuller.

La storia è quella di una vedova che dalla campagna si trasferisce in città, a Bologna, per aprire una bottega di primizie alimentari, ma ha con sé una nidiata di nove figli e non riuscendo a trovare un alloggio, perché nessuno vuole così tanti bambini in giro, si finge sola e in un palazzo nobiliare riesce a prendere in affitto una mansarda dai proprietari borghesi, come essi stessi si definiscono. I nove bambini in età scalare dai 12 ai 2 sono talmente ubbidienti e bene ammaestrati da passare inosservati alla portinaia, la mattina presto e a notte fonda, e sono nove dei clandestini cui fa riferimento il titolo, ma l’inganno non può evidentemente durare. Surreale, e a tratti grottesco, conserva lo spirito di Guareschi che viene esaltato dalla regia di una Lina Wertmuller ancora in grado di dire la sua, poiché il surreale e il grottesco sono da sempre il suo pane quotidiano. Trova in Piera Degli Esposti una protagonista in stato di grazia, sempre lieve e sorridente anche nei momenti più difficili fa brillare questo piccolo film con la sua gioia di vita. Non sono da meno i nove bambini che recitano tutti in presa diretta, e non dev’essere stato facile dirigerli, e imprimono al film una freschezza rara che fa seguire la visione con un sorriso, lo stesso che la protagonista esibisce dall’inizio alla fine, senza mai abbattersi e sempre gioendo alla vita, sulle note di “Azzurro” portata al successo da Adriano Celentano ma scritta da Paolo Conte, canzone che torna in molti diversi arrangiamenti, dall’aria con violini al carillon.

Giorgio Trestini

Coprotagonista, dicevo, la francese Dominique Sanda, che sul grande schermo ha avuto i suoi anni migliori nei Settanta, diretta da maestri come De Sica, Bertolucci, Visconti, Bolognini, Cavani; qui nel ruolo della rigida borghese padrona di casa che nasconde un doloroso segreto: il decimo clandestino, la cui scoperta toglie il sorriso alla nostra protagonista. Nel ruolo di suo marito lo sconosciuto tedesco Hartmut Becker, scritturato per evidenti ragioni di mercato e coproduzione, attore fondamentalmente televisivo nella natia Germania con un paio di partecipazioni nell’Ispettore Derrick che molto seguito ha avuto da noi. Un altro ruolo di peso, quello del lattaio vicino di bottega (con sfacciata pubblicità della Granarolo) è andato a Giorgio Trestini, anch’egli della provincia bolognese, qui forse (limitatamente alla mia conoscenza) nel suo ruolo più impegnativo dato che più spesso è riconoscibile, per la sua faccia e il suo fisico, in piccoli ruoli e figurazioni come uomo di fatica, energumeno e malvivente, raramente in divisa di poliziotto: era nel cast di “Milano calibro 9”.

Quando nel novembre dello scorso anno se ne andò Gigi Proietti, Piera Degli Esposti ebbe a dire: “Sono senza parole, sono addolorata, sono colpita che un uomo cui mi sentivo legata da oltre cinquant’anni, un artista della portata di Gigi Proietti, se ne sia andato via prima di me.” Era consapevole della sua fragilità. Con Proietti condivideva il senso del cognome: i proietti e gli esposti erano i trovatelli, i figli di nessuno, quelli che una volta venivano abbandonati davanti ai portoni dei conventi e delle chiese, ma non era questa antica provenienza oggi curiosità lessicale che li legava, quanto piuttosto l’essersi riconosciuti simili, ribelli, insofferenti alle catalogazioni. Avevano praticamente cominciato insieme e si erano ritrovati in palcoscenico nella messa in scena di “Operetta” di Witold Gombrowicz all’epoca del Teatro 101 di Roma, ai tempi del teatro di ricerca e sperimentazione e proprio in quello spettacolo, a suo dire, emersero le loro differenti specificità che li avrebbe condotti su binari diversi e paralleli, ed erano sempre rimasti in contatto con stima e affetto reciproci: “Siamo cresciuti in modo differente, ma siamo stati due ragazzi che si sono entusiasticamente sottoposti a un tirocinio uguale, con risultati speculari”. Nel giugno di quest’anno Piera è entrata in ospedale per complicazioni polmonari, le sue di sempre, quelle che le hanno spezzato il respiro e fatto di lei un’attrice unica. E con l’ultimo respiro mi piace pensare che sia tornata nel respiro universale.