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La più grande storia mai raccontata – omaggio a Max Von Sydow

Nell’occasione della morte del 90enne grande attore svedese, Sky lo ricorda mandando in onda, piuttosto che uno dei suoi tanti film girati con Ingman Bergman, di cui è stato attore feticcio, il suo grandioso debutto a Hollywood nel ruolo di Gesù, e dunque il primo film in cui recita in inglese. Il film è la versione di 3 ore e 25 minuti, quella media, dato che ne esiste una ridotta di 2,35 e una originale di 4,30. Un pomeriggio davanti la tv che sarà il cinema da vedere nelle prossime settimane di cautela da coronavirus.

1965. Max Von Sydow è già un attore affermato in patria: ha girato nove film sette dei quali con Bergman. E George Stevens, il potente produttore regista hollywoodiano lo sceglie per dare al suo Gesù un volto nuovo, non noto, slegato da inevitabili rimandi ad altri ruoli e pettegolezzi privati.

Bisogna ricordare che a Hollywood erano gli anni dei kolossal epici e biblici: è del 1956 “I Dieci Comandamenti” di Cecil B. De Mille a produzione Paramount, e gli altri studios cercavano progetti simili. Le radici di questo film sono in una produzione radiofonica che con lo stesso titolo mandava in onda puntate di mezz’ora ispirate ai Vangeli, nel già lontano 1947. Il successo della trasmissione fu tale che ne venne ricavato un libro di cui Darryl F. Zanuck, produttore della 20Th Century Fox, acquisì i diritti cinematografici, senza però mai avviare il progetto. Nel frattempo “I Dieci Comandamenti” ha già spopolato in sala, ha ricevuto 7 nomination agli Oscar, e stupito il mondo intero coi suoi originalissimi effetti speciali. E dobbiamo arrivare al 1958, l’anno in cui George Stevens, mentre stava producendo e dirigendo “Il diario di Anna Frank”, si rese conto che lo studio possedeva quei diritti e finalmente avviò il progetto. Passarono altri due anni per la stesura della sceneggiatura e, più o meno in contemporanea, lo studio rivale Metro Goldwyn Mayer, stava lavorando al “Re dei Re” che uscì in sala nel 1961. Questo non scoraggiò George Stevens, certo della maggiore grandiosità del suo film, talmente grandioso che la Metro Goldwyn Mayer si sfilò dal progetto in quanto erano già stati spesi più di due milioni di dollari senza che fosse stato girato un solo metro di pellicola. In effetti il regista-produttore si era fatto prendere la mano dalla sua grandiosa visione e aveva ingaggiato Carl Sandburg, poeta Premio Pulitzer, per collaborare alla sceneggiatura, e l’illustratore-pittore francese André Girard perché realizzasse 352 dipinti a olio da usare come storyboard. Inoltre pare che volò fino a Roma, per andare in Vaticano a chiedere consigli a papa Giovanni XXIII.

In effetti la grandiosità del film, oltre che nella durata e nel cast che annovera numerose star in ruoli secondari se non addirittura figurazioni mute, sta proprio nella sua statica struttura a quadri che sembrano vere e proprie pitture, con una magistrale disposizione delle figure nello spazio e una superba illuminazione, con la scena finale del Monte Calvario che sembra una composizione degna di Bruegel. Questa staticità, però, insieme alla ieraticità del Gesù che per lo più parla secondo le parole attribuitegli nei vangeli, dà al film una solennità lenta, in alcuni casi eccessiva, e anche le scene in movimento come la Via Crucis risultano statiche: ma è evidente che si tratta di una scelta stilistica ben precisa, certamente ispirata dal prezioso storyboard a olio, da apprezzare o meno secondo la personale disposizione dello spettatore. C’è da segnalare che George Stevens si è avvalso del sostanziale aiuto di due altri quotati registi, però non accreditati: David Lean (che aveva già all’attivo “Il ponte sul fiume Kwai” e “Lawrence d’Arabia”) girò il lungo prologo con Erode il Grande (Claude Rains) e il figlio Erode Antipa (José Ferrer); mentre Jean Negulesco, regista di un “Titanic” del 1953 ma più attivo nella commedia, girò le sequenze “mobili” per le vie di Gerusalemme. Alla fine, con 20 milioni di dollari al netto delle spese di edizione e promozione, è il più costoso film girato negli Stati Uniti fino a quel momento. Il piano di lavorazione prevedeva tre mesi di riprese ma alla fine ne occorsero nove, e nel frattempo morì il vecchio attore Joseph Schildkraut, qui nel ruolo di Nicodemo, che con Stevens era stato il papà di Anna Frank, così che alcune scene dovettero essere riscritte; mentre Joanna Dunham, nel ruolo di Maria di Magdala qui unificato con l’Adultera che Gesù salva dalla lapidazione, rimase incinta e i costumi dovettero essere riprogettati così come le inquadrature.

Il resto del cast è spettacolare, proprio da più grande storia mai raccontata. Nei ruoli principali Charlton Heston è Giovanni il Battista e Telly (Aristotelis) Savalas è Ponzio Pilato; Martin Landau è Caifa mentre Giuda, che in questo film ha grande spazio e si suicida buttandosi nel fuoco sacro dei sacrifici, anziché impiccarsi come da Scritture, è interpretato dal giovane scozzese David McCallum arrivato alla fama con la serie tv “Organizzazione U.N.C.L.E.” e che non ha proseguito con una grande carriera cinematografica, per poi tornare alla fama in tempi recenti come l’anziano dottor Ducky Mallard nella longeva serie tv “N.C.I.S.”. Poi ci sono: Donald Pleasence come Diavolo tentatore nel deserto e che continua la sua attività in città; Sal Mineo come storpio risanato, Gary Raymond come Pietro e Roddy McDowall come Matteo; e in ruoli via via sempre più piccoli: Dorothy McGuire come Vergine Maria che nell’arco dei trentatré anni della vita di suo figlio non invecchia di un giorno, e Robert Loggia che come Giuseppe è poco più che un figurante; è ben più visibile la prima star nera di Hollywood, Sidney Poitier, come Simone di Cirene che per un tratto della via Crucis condivide con Gesù il peso della croce, e non dice una sola parola; mentre John Wayne, come centurione Longino, col suo vocione ben noto al grande pubblico, dice solo la celebre frase: “Quest’uomo era davvero il Figlio di Dio”; poco più che comparse sono Angela Lansbury come Claudia Procula moglie di Ponzio Pilato, Carrol Baker come Veronica e Shelley Winters come donna risanata – solo per ricordare i nomi più noti.

Di Max Von Sydow, il protagonista appena scomparso, rest da dire che dopo questo film, pur continuando a collaborare in patria con Bergman, divenne una star holliwoodiana, e vale la pena ricordare la sua partecipazione a “L’Esorcista” 1973, “I tre giorni del Condor” 1975, il fantasy “Flash Gordon” del 1980 dove c’erano anche le nostre Ornella Muti e Mariangela Melato, e in tempi più recenti “Star Wars, il risveglio della forza” 2015 e una partecipazione nella serie tv “Il Trono di Spade”. Negli anni ’70 ha lavorato in Italia in film importanti di importanti registi: “Cuore di cane” di Alberto Lattuada, “Cadaveri eccellenti” di Francesco Rosi e “Il Deserto dei Tartari” di Valerio Zurlini, e conclude l’avventura italiana con il curioso film di Mauro Bolognini “Gran bollito” che ripercorre la vicenda reale della serial killer detta “la saponificatrice di Correggio” per avere sciolto nella soda caustica tre donne; del film era protagonista Shelley Winters e Max Von Sydow vi interpretava il doppio ruolo di una delle tre vittime e del capo della polizia; gli altri due attori en travesti erano Renato Pozzetto e Alberto Lionello, in doppio ruolo come carabiniere e bancario. Della sua tranquilla vita privata non c’è molto da dire: è morto a Parigi accudito dalla seconda moglie francese, matrimonio in seguito al quale ottenne la cittadinanza francese. Come dire: per essere dei grandi artisti non è necessaria la sregolatezza. Rimane di lui un Gesù che coi suoi intensi occhi azzurri ha pervaso l’immaginario americano, come è evidente nelle tre seguenti immagini: nella prima Max Von Sydow, nella seconda il Gesù dell’iconografia popolare, nella terza il Gesù interpretato da Robert Powell nel film del 1977 di Franco Zeffirelli, regista sempre attento al mercato americano.