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Maria Stuarda, Regina di Scozia – con l’omaggio a Glenda Jackson nell’occasione della sua scomparsa

Il 15 giugno 2023 Glenda Jackson se n’è andata a 87 anni e per omaggiarla con qualcuno dei suoi migliori film c’è davvero poco sul mercato italiano di piattaforme web e canali televisivi. L’ideale sarebbe stato rivederla in una delle sue due interpretazioni che le valsero l’Oscar: “Donne in amore” del 1969 diretto da Ken Russell o “Un tocco di classe” del 1973 diretto da Melvin Frank. Ma molti altri titoli avrebbero potuto rappresentarla: da “L’altra faccia dell’amore” sempre di Russell del 1970 a “Domenica, maledetta domenica” di John Schlesinger del 1971, a “Una romantica donna inglese” di Joseph Losey del 1975: una carriera strepitosa che ha cavalcato intensamente tutti gli anni Settanta e Ottanta prima di ritirarsi nel 1992 per dedicarsi alla carriera politica dove per 23 anni ininterrotti è stata deputata parlamentare per il Partito Laburista. E devo confessare che come spettatore ho sentito la sua mancanza.

Glenda Farrell

Glenda May Jackson deve il suo primo nome alla passione che sua madre aveva per l’attrice holliwoodiana Glenda Farrell che in quel 1936, anno di nascita della nostra, era una brillante star del nuovissimo cinema sonoro, ma oggi dimenticata; e la Jackson con la sua popolarità ha contribuito a diffondere quel nome nel mondo: attualmente in Italia si contano circa 500 Glenda: nome di origine gallese che significa “buona e santa” ma che attualmente non gode più di molta popolarità. La giovane Glenda era la maggiore di quattro figli in una famiglia di operai che faticava ad arrivare a fine mese; cominciò a calcare le scene da adolescente, e doveva essere davvero brava se vinse una borsa di studio alla Royal Academy of Dramatic Art di Londra dove si trasferì dalla provincia, per poi debuttare professionalmente in teatro; ma sul finire di quegli anni ’50 non riuscì più a mantenersi col lavoro di attrice e passò da un lavoretto all’altro, impieghi che in futuro definì “una serie di lavori che distruggono l’anima”.

Debuttò al cinema nel 1963 con un piccolissimo ruolo nemmeno accreditato e poi per quattro anni si unì alla compagnia teatrale di Peter Brook che metteva in scena il suo “Teatro della Crudeltà” con la Royal Shakespeare Company: la meno che 30enne Glenda vi interpretò la detenuta di un manicomio che a sua volta interpretava Charlotte Corday, l’assassina di Jean-Paul Marat nel dramma “Marat/Sade” di Peter Weiss: roba d’altissimo livello che andò a Parigi e Broadway facendo discutere pubblico e critica, e da cui l’autore nel 1967 ne sviluppò il film omonimo in cui Glenda riprese i suoi ruoli. Nello stesso anno fu anche Ofelia nell’Amleto messo in scena da Peter Hall, un’Ofelia che secondo la critica era l’unica vista fino a quel momento in grado di interpretare lei stessa il principe Amleto. Si arriva al 1969 e al suo ruolo da protagonista nel controverso “Donne in amore” di Ken Russell che le valse il primo Oscar, appunto.

Del 1971 è questo film storico dove interpreta Elisabetta I, un ruolo amato dalle dive di tutto il mondo, a partire dal dramma teatrale “Mary Stuart” o “Maria Stuarda” italianizzato, che il tedesco Friedrich Schiller scrisse nel 1800 e che sin dal titolo pone come protagonista Maria di Scozia in drammatico contrasto con Elisabetta d’Inghilterra, la prima descritta come vittima sacrificale e la seconda come gelida macchinatrice, ruoli ambitissimi che nelle storiche versioni italiane ha visto confrontarsi Sarah Ferrati ed Elena Zareschi nel 1958, Anna Proclemer e Lilla Brignone nel 1965, e Valentina Cortese con Rossella Falk per la regia di Franco Zeffirelli nel 1983 che fecero scintille dentro e fuori la scena. E ad entrambe le regine, separatamente, sono stati dedicati film sin dall’epoca del muto: è del 1895 il cortometraggio “The Execution of Mary, Queen of Scots” diretto dall’americano Alfred Clark e prodotto dall’inventore Thomas Edison, ed è il primo film storico e il primo a utilizzare effetti speciali: l’attrice sul ceppo viene sostituita da un manichino che viene decapitato, e la scena fu così realistica che impressiono moltissimo il pubblico che credette che un’attrice si fosse sacrificata per il ruolo. Edison produsse nel 1913 un altro “Mary Stuart” meno cruento e più in linea con le produzioni più rassicuranti.

Del 1936 è “Maria di Scozia” diretto svogliatamente da John Ford, veicolo per la star Katharine Hepburn che si rifà al dramma teatrale dell’americano Maxwell Anderson, e vede nel ruolo di Elisabetta Florence Eldridge, moglie di Fredrich March che nel film interpreta il Conte di Bothwell, storico amante di Elisabetta. Fra le curiosità di questo film c’è che Ford fece girare alcune scene al suo aiuto britannico Leslie Goodwins che però non venne accreditato, e la stessa Hepburn fece la sua unica esperienza da regista dirigendo una scena che Ford voleva tagliare perché non gli piaceva, e fu aiutata nell’impresa dal coprotagonista March: il regista li lasciò giocare a fare i registi e alla fine montò la scena nel film dietro personalissime pesanti pressioni: all’epoca aveva una storia con la Hepburn. Per quel ruolo si era proposta Ginger Rogers ma la produzione RKO la rifiutò ritenendo che la sua immagine non fosse in linea con il ruolo. Dopo questo film del 1971 “Maria Regina di Scozia” è di nuovo sullo schermo nel 2018, regia di Josie Rourke con le odierne dive Saoirse Ronan e Margot Robbie. Assai più corposo è invece l’elenco dei film dedicati a Elisabetta I a cominciare dal muto del 1912 “Les Amours de la reine Élisabeth” con Sarah Bernhardt, passando per i due film con Bette Davis “Il conte di Essex” diretto da Michael Curtiz nel 1939 e “Il favorito della Regina” del 1955 diretto da Henry Coster; non sorvolando sull’Elisabetta en travesti di Quentin Crisp in “Orlando” diretto da Sally Potter nel 1992 e chiudendo l’incompleto elenco con dittico interpretato da Cate Blanchett e diretto da Shekhar Kapur: “Elizabeth” 1998 e “Elizabeth: the Golden Age” del 2007.

Il film del 1971, che ciclicamente passa sulla meritevole Cine34 e che ha come primo nome Vanessa Redgrave nel ruolo del titolo, ha ancora un suo fascino narrativo esponenzialmente aumentato dal fascino delle due interpreti, considerando però che come tutti i film storici ha delle inesattezze. La vicenda delle due regine, che può apparire lineare è in realtà molto complessa e la stessa narrazione contiene tante sotto storie diverse da cui si possono trarre sempre diversi punti di vista narrativi. Nello specifico Maria viene qui raccontata come una donna innamorata dell’amore e che per amore commette diversi errori – messa in contrasto con Elisabetta che pur concedendosi amanti prestanti non si è mai concessa l’amore: doveva aver tenuto in mente la sorte di sua madre Anna Bolena, una delle mogli di Enrico VIII che fu regale uxoricida seriale. E poi c’è il sempre presente contrasto politico-religioso cavalcato dalla Chiesa Cattolica contro il Protestantesimo.

L’inesattezza storica da sempre perpetrata sin dal dramma di Schiller è l’incontro tra le due regine, che il drammaturgo tedesco racconta come segreto e dunque verosimile anche se non vero, e da lui in poi c’è sempre un incontro più o meno segreto fra le due regine perché un confronto diretto fra due protagoniste di tale portata è un elemento spettacolare irrinunciabile, con buona pace dell’accuratezza storica che da sempre molto sopporta. Negli altri ruoli di rilievo del film Patrick McGoohan interpreta Giacomo Stuart il fratello traditore di Maria, Trevor Howard è Sir William Cecil il consigliere di Elisabetta; il 25enne in rapida ascesa Timothy Dalton, che più avanti vestirà i panni di 007, qui è decolorato biondo e interpreta in modo assai convincente il vanesio Lord Henry Darnley che la lungimirante Elisabetta invia alla corte di Maria perché la regina scozzese se ne innamori e lo sposi, detto fatto: succede che anche nel privato che il bel Dalton fa girare la testa alla Redgrave di nove anni più anziana, in un’epoca in cui la differenza di età contava. Nigel Davenport interpreta l’ambiguo Conte di Bothwell e Ian Holm interpreta il cortigiano italiano Davide Rizzio, altrove Riccio.

Ma torniamo alla nostra Glenda Jackson. Lasciò la recitazione nel 1991 e l’ultimo film che ha girato prima di dedicarsi completamente alla carriera politica, da persona seria, è stato il prequel di quel “Donne in amore” che le aveva dato fama circa vent’anni prima, sempre tratto dai romanzi di David H. Lawrence e sempre diretto dal suo amico Ken Russell nel 1989.

Glenda si era interessata alla politica sin da giovanissima: a 16 anni si era iscritta al Labour Party, un’alleanza di area socialista corrispondente al nostro centro-sinistra, e qualche anno dopo, già attrice, fu una delle figure pubbliche che legò il suo nome all’Anti-Nazi League, mentre da parlamentare fu un’accanita avversaria della Lady di Ferro Margareth Thatcher e del suo governo conservatore, tanto da farle dichiarare che vi si sarebbe opposta “con qualsiasi cosa fosse legale”; e quando il governo passò al Partito Laburista con Tony Blair, lei fu nominata sottosegretario con delega ai trasporti londinesi. Ma da sensibile politica con anima profondamente radicata nella Sinistra divenne critica anche nei confronti del suo stesso primo ministro allorché Blair alzò i costi delle tasse universitarie, finché nel 2005 non lo sfidò frontalmente dichiarando di volersi candidare contro di lui. E va da sé che era anche anti monarchica. Poi nel 2011 annunciò il suo ritiro dalla carriera politica presumendo che il Parlamento eletto l’anno prima sarebbe durato fino al 2015: “Avrò quasi 80 anni e per allora sarà il momento che qualcun altro abbia il seggio”. Era stata circa 23 anni nella politica attiva e lo scorso anno si tolse un altro sassolino dalla scarpa dichiarando che quando lei era stata eletta in Parlamento nel 1992, quell’assemblea non si era dimostrata accogliente nei suoi confronti in quanto donna.

come Re Lear

Nel 2015 tornò a recitare per la gioia di molti fans, prima in radio e poi in palcoscenico interpretando il “Re Lear” di William Shakespeare, lei che da giovane era stata indicata come possibile Amleto; interpretazione per la quale la critica scrisse: “Glenda Jackson è straordinaria come Re Lear. Senza se e senza ma. Tornando sul palco all’età di 80 anni, 25 anni dopo la sua ultima esibizione, ha compiuto una di quelle imprese dell’ultima ora per lo sforzo umano, e di cui sicuramente si parlerà per gli anni a venire.”

E nel 2019, dopo 27 anni di assenza, tornò a recitare nel dramma televisivo “Elizabeth is missing” dove interpreta un’ottantenne con l’Alzheimer, film per il quale vinse il BAFTA e l’Emmy Award. Ha fatto in tempo a girare un ultimo film per il cinema tornando a fare coppia con Michael Caine, di tre anni più vecchio dunque 90enne, con cui aveva girato “Una romantica donna inglese”, oggi nel film sulla terza età “The Great Escaper” che dovrebbe uscire entro quest’anno: un’occasione da non mancare per tornare al cinema in sala.