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Casablanca, Casablanca – opera prima di Francesco Nuti per ricordare la sua scomparsa

Il mio sincero omaggio a Francesco Nuti scomparso dopo un’agonia durata esattamente vent’anni. E ribadisco sincero perché non ero un suo fan, non ho mai visto prima nessuno dei suoi film, né al cinema né nei successivi passaggi televisivi: i personaggi che nascono dal cabaret, e parlo di questa forma di cabaret piacione e onnicomprensivo che si è sviluppata in Italia, restano per me marchiati e macchiati per sempre, a meno che poi non producano cinematograficamente qualcosa di veramente eccezionale, ma il più delle volte si limitano a riprodurre gli stessi modelli narrativi ed espressivi dilatati dal più consono quarto d’ora televisivo all’inutile ora e mezza cinematografica. E Francesco Nuti non è sfuggito al cliché.

Fiorentino dop ha cominciato a calcare le ribalte amatoriali ancora studente scrivendosi da sé i suoi monologhi finché poco più che ventenne (intanto aveva cominciato a lavorare come operaio in un’industria tessile di Prato) entra a far parte del preesistente gruppo toscano dei Giancattivi formato da Athina Cenci e Alessandro Benvenuti con un terzo elemento sempre in entrata e uscita fino all’arrivo del nostro; il trio aveva già un proprio pubblico grazie anche a dei programmi locali di Radio Rai e l’ingresso di Nuti coincide con il programma televisivo Rai1 “Non Stop” degli anni 1977-78 che aumenterà esponenzialmente la loro popolarità; nel 1981 esordiscono al cinema con l’opera prima di Benvenuti che scrive e dirige “Ad ovest di Paperino” che riproponendo il repertorio cabarettistico è molto apprezzato dal pubblico e frutta al suo autore il Nastro d’Argento come miglior regista esordiente e le candidature ai David di Donatello sempre come regista esordiente, oltre alle candidature come miglior attore esordiente insieme alla Cenci candidata miglior attrice esordiente.

Nessun premio e nessuna candidature per Francesco Nuti che dev’esserci rimasto malissimo se già durante la lavorazione del film aveva discusso aspramente coi colleghi, e non era la prima volta: anche in lui covava la creatività e la velleità dell’autore, o comunque la forza espressiva del solista che aveva già sperimentato nei suoi esordi amatoriali, e le dinamiche del trio gli stavano strette: dopo cinque anni di collaborazione lascia il gruppo che sostituendolo sopravvive solo altri tre anni. Francesco comincia la sua collaborazione cinematografica col regista romano Maurizio Ponzi che fino a quel momento aveva all’attivo tre film drammatici poco visti, e insieme arrivano al successo girando tre commedie in due anni: “Madonna che silenzio c’è stasera” “Io, Chiara e lo Scuro” col quale Nuti si aggiudica sia il David di Donatello che il Nastro d’Argento, finalmente, come miglior protagonista e “Son contento”; tre film di cui è anche co-autore delle sceneggiature, ma anche con Ponzi qualcosa ha smesso di funzionare: di fatto l’attore vuol fare tutto da sé, è il momento di passare alla regia.

Esordisce nel 1985 con questo “Casablanca, Casablanca” che è il seguito del fortunato “Io, Chiara e lo Scuro” che gli erano valsi i desiderati riconoscimenti e in cui mantiene il suo personaggio di giovane stralunato e un po’ disadattato: tanto simpatico al pubblico femminile in cui suscita istinti materni, come altrettanto simpatico è al pubblico maschile perché per metà vi si riconosce e per l’altra metà è rassicurante perché non è un maschio alfa; ma soprattutto Nuti continua la narrativa sull’interessante spaccato sul mondo del biliardo che poco viene raccontato al cinema: ci sono molti film con scene di biliardo ma pochi sono incentrati su questa specialità e non si può non ricordare “Lo spaccone” con Paul Newman diretto da Robert Rossen nel 1961, film che ebbe anche un tardivo sequel nel 1986 con un anziano Newman che se la vedrà col giovane rampante Tom Cruise in “Il colore dei soldi” di Martin Scorsese. I film di Francesco Nuti sul biliardo, ne farà un terzo nel 1998, “Il signor Quindicipalle”, hanno il merito di aprire il sipario su un mondo sconosciuto ai più.

La sua è una davvero triste scomparsa: triste per le circostanze e tristissima per l’intempestività dato che è passata totalmente ignorata da tutte le tv che a rete unificata hanno raccontato – fino all’esaurimento degli argomenti e della pazienza dei telespettatori – la dipartita di Silvio Berlusconi avvenuta lo stesso 12 giugno 2023: vale sempre l’amaro adagio latino “ubi maior minor cessat”.

Questo è il primo suo film (e forse anche l’ultimo) che vedo, confermando il mio personale gusto: Francesco Nuti ha messo in scena la sua malinconica simpatia, da interprete maturo, con guizzi di profondità espressiva che arricchiscono la leggerezza di un racconto che arriva a sfiorare l’incongruenza: il suo film sorvola sulla logica per mettere insieme ispirazioni diverse, e inzeppa di bischerate toscane un’esile trama sempre prevedibile fra schermaglie amorose e voglia di riscatto, una trama che si fa ancora più incredibile quando s’invola nell’onirico: anche la narrazione surreale deve avere una sua logica interna, altrimenti è fine a sé stessa. Non bastano i bravi interpreti né la naturale simpatia a dare spessore e credibilità alla storia che si fa interessante e ritmicamente emozionante solo nel raccontare la tesa partita a biliardo nella finale del campionato che si svolge a Casablanca, Marocco, dove il racconto si sposta e dà all’autore l’opportunità, un po’ scontata a dire il vero, di proiettarsi nella Casablanca del 1942 ricostruita all’epoca negli studi della Warner Bros. Con la citazione il film si fa favola e diventa ancor più, semmai è possibile, accattivante, e per i miei gusti anche stucchevole: è un film rassicurante, per le grandi platee, che nel suo tempo ha colto nel segno: grandi incassi al botteghino, secondo David di Donatello come attore e miglior regista esordiente al Festival internazionale del cinema di San Sebastián. Nel resto del cast si porta dietro dal primo film la protagonista Giuliana De Sio; lo Scuro del primo titolo che è anche il vero soprannome del campione di biliardo fiorentino Marcello Lotti che nei due film è sé stesso, qui doppiato da Franco Odoardi; e l’anziano amico Novelli Novelli; all’attore polacco allora di gran moda perché reduce da grandi successi internazionali, Daniel Olbrychski, doppiato da Ennio Coltorti, affida il ruolo dell’antagonista in amore.

La seconda metà degli anni Ottanta sono per lui all’insegna del successo. Realizza altri 5 film e si concede anche il lusso della canzone: nel 1988 partecipa al Festival di Sanremo con la canzone “Sarà per te” con la quale si piazza dodicesimo, e poi nel ’92 duetterà con Mietta nella canzone “Lasciami respirare” scritta da Biagio Antonacci.

Nel 1994 finalmente esce, dopo vari disguidi e ritardi, l’ambizioso e travagliatissimo “OcchioPinocchio” per il quale i Cecchi Gori, padre e figlio, che avevano stanziato 30 miliardi di lire, un budget già spropositato e anche poco accorto per una bislacca commedia italiana con un protagonista sconosciuto all’estero, ché solo con una distribuzione internazionale avrebbero potuto recuperare le spese e sperare anche in un guadagno; non basterà neanche l’ambientazione statunitense, e sforarono pure di altri 13 miliardi: la pressione sanguigna era alle stelle; il film sarebbe dovuto uscire nel Natale 1993 ma la lavorazione era in clamoroso ritardo e a complicare le cose avvenne anche la morte del patron Mario Cecchi Gori nel novembre del ’93. Il figlio Vittorio Cecchi Gori si fece prendere dal panico – come dargli torto avendo ereditato quella patata bollente? – e appoggiato dall’allora socio in affari Berlusconi nella Penta Film ruppe ogni rapporto con Nuti e smantellò i set di Cinecittà. Nuti avviò un’azione legale per poter proseguire la lavorazione e i due addivennero a un accordo: montaggio del girato senza ulteriori indugi e altre riprese se strettamente necessarie; l’autore Francesco Nuti sborsò di tasca propria ben due miliardi per poter concludere il film, che si rivelò un fiasco clamoroso: incassò in tutto solo 4 miliardi degli oltre 30 spesi e anche il giudizio della critica non fu lusinghiero. Solo guardando il manifesto, bello in sé, è evidente che non è più il Francesco Nuti un po’ romantico un po’ bischero e molto rassicurante di tutti i suoi precedenti film.

Va da sé che scottatissimo dal clamoroso insuccesso tenta di rimettersi sulla via maestra e quattro anni dopo torna al biliardo con “Il signor Quindicipalle”, concludendo un trittico, ma il film non incontra il favore dei precedenti. C’era un quarto film in cui avrebbe voluto tornare a impugnare la stecca da biliardo: un post-apocalittico da girare nelle campagne fiorentine in coppia con l’altro toscano Roberto Benigni come fratelli che gestiscono l’unico casello ferroviario rimasto, titolo “I casellanti”. Non sapremo mai quanto Benigni, diversissimo da Nuti, fosse interessato al progetto che per il suo autore avrebbe significato un nuovo punto di partenza mentre per l’acclamatissimo già premio Oscar Benigni, si sarebbe trattato di cosa?

Al volgere del nuovo millennio, che per lui sono la seconda metà dei quarant’anni, gira altri due film con esito altrettanto tiepido al botteghino: il suo pubblico – che non era il suo ma era ed è di chiunque lo faccia sorridere senza troppi pensieri – lo ha abbandonato: lo ha sostituito con un altro bischero fiorentino, Leonardo Pieraccioni, suo amico ed epigono di dieci anni più giovane, altro campione di commedie sentimentali, anch’egli con film exploit campioni d’incassi, ma che dopo quei primi fuochi d’artificio è stato anche lui ridimensionato dalle durissime logiche del mercato.

Arriviamo al 2003, esattamente vent’anni fa. Francesco è caduto in una profonda depressione, è alcolista, e finisce col tentare il suicidio aprendo il gas ma viene salvato in extremis dai pompieri. Si parlerà di incidente domestico ma poco prima aveva telefonato a un amico dicendogli che voleva farla finita, e l’amico ha allertato i vigili del fuoco che l’hanno trovato a letto, in stato confusionale per abuso di alcol, e il gas aperto in cucina: più che un tentato suicidio una disperata ed estrema richiesta di aiuto. Senza considerare che nell’appartamento con lui c’era l’ignara madre. All’ospedale decide di sottoporsi a cure psichiatriche: “Sto male. – dichiarerà – Ho 48 anni e siccome ho una malattia, che è l’alcolismo e che sto ormai superando, non mi fanno più lavorare. Ma io sono stato un uomo d’oro del cinema italiano”.

Nel 2005, a cinquant’anni, gira il suo ultimo film in un ruolo per lui inconsueto e finalmente maturo diretto da Claudio Fragasso nel thriller poliziesco “Concorso di colpa” dove è un ispettore di polizia che alla fine degli anni ’70 indaga su un delitto che l’omicidio di Aldo Moro ha messo in ombra: uno di quei ruoli in cui avrebbe potuto spaziare ed eccellere se avesse avuto l’umiltà di affidare il suo indiscusso talento di attore ad altri registi e sceneggiatori. Un ruolo da protagonista assoluto, anche sulla locandina, perché ne ha umanamente bisogno, con l’antico amico e compagno d’avventure Alessandro Benvenuti a fargli da discreta spalla e garanzia per un ritorno al botteghino. E c’è da dire che Benvenuti nel frattempo si è accreditato come autore cinematografico in grado di spaziare affrontando temi svariati e seri in chiave brillante e in film corali: la famiglia, la politica, la prostituzione, l’autismo, l’industria, l’avvento dei reality show. Attualmente impegnato a teatro Benvenuti dice di non avere altro da dire al cinema e con la scomparsa di Nuti rivela un sogno ormai per sempre irrealizzabile: recitare insieme a teatro “Aspettando Godot” di Samuel Beckett.

Purtroppo l’ultimo film girato è brutto, stroncato dalla critica e ignorato dal pubblico. Francesco non uscirà più dalla sua nuvola nera. L’anno dopo, una sua intervista a Radio 24 viene interrotta a causa del suo forte stato di alterazione. Ai primi del settembre 2006 un vero incidente domestico: cade dalle scale procurandosi un ematoma che lo condurrà al coma dal quale uscirà dopo un intervento d’urgenza alla testa, segue un lungo periodo di riabilitazione neuromotoria: dal giorno di quell’incidente è costretto su una sedia a rotelle e ha perso l’uso della parola. La figlia Ginevra lo assiste, il fratello Giovanni, medico, che si era pubblicamente preso l’impossibile e amoroso incarico di rimetterlo in piedi e ridargli la parola, intanto gli fa da portavoce: “Francesco aveva scritto due sceneggiature: le racconterà lui quando sarà pronto. Con Francesco abbiamo iniziato a scrivere a quattro mani un libro di poesie: c’è già il titolo, ‘Poesie raccolte’. Ha anche iniziato a dipingere. Per me è guarito e sul suo futuro deciderà lui. Se qualcuno si chiede come mai non è qui stasera (si presentava in una discoteca di Firenze il libro di Matteo Norcini ‘Francesco Nuti. La vera storia di un grande talento’ edito da Ibiskos) dico che Francesco è un narcisista e un perfezionista: verrà davanti ai giornalisti quando si sentirà di farlo”.

Riapparirà in in pubblico nel 2010 al cinema Eden di Prato in occasione della presentazione del CD “Le note di Cecco” realizzato dal fratello Giovanni con Marco Baracchino che raccoglie le colonne sonore dei film di Cecco-Francesco alcune delle quali scritte da Giovanni che è anche musicista. Torna anche su Rai2 ospite a “I fatti vostri” dove mostrò all’Italia intera i danni neurologici conseguenti all’incidente: l’incapacità di parlare e di muoversi; portò una lettera scritta dal fratello Giovanni che idealmente dava voce ai suoi pensieri e in cui affermava la sua tenacia nel continuare a vivere. A seguire fu ospite di Barbara D’Urso a Canale 5 in “Stasera che sera!” dove la conduttrice ex attrice che negli anni si era già trovata al centro di disparate controversie, senza andare troppo per il sottile non esitò a fare televisione spazzatura spettacolarizzando la grave disabilità di Nuti: il programma fu chiuso.

Sempre Giovanni Nuti cura la sua autobiografia edita da Rizzoli “Sono un bravo ragazzo – Andata, caduta e ritorno”, 2011. Tre anni dopo partecipò ad una festa organizzata per il suo 59º compleanno dagli amici di sempre Carlo Conti, Giorgio Panariello, Leonardo Pieraccioni e Marco Masini, al Mandela Forum di Firenze alla quale parteciparono circa 7000 persone: un bagno di affettuosa folla che deve avergli molto scaldato il cuore. Nel 2016 l’ennesima caduta e il ricovero in gravissime condizioni al CTO di Firenze. Nel 2019 gli è stato conferito il Premio Artistico Internazionale e cinematografico Vincenzo Crocitti “alla carriera”, ritirato per lui dalla figlia che aveva precedentemente dichiarato: “Francesco è e sarà sempre il mio papà anche se non può più parlare, muovere le mani e camminare ed è giusto che mi occupi di lui.” Va ricordato che il riconoscimento alla carriera, l’unico assegnatogli, è intitolato a un grande caratterista romano morto 61enne dopo una lunga malattia.

All’epoca del suo primo incidente domestico Francesco aveva detto alla madre: “Portami via da Roma quando muoio, così nessuno mi potrà vedere.” Poi la vita ha preso naturalmente il sopravvento e si è fatto vedere: muore a 61 anni con il corpo e il volto stravolti dal tempo e dalla lunga agonia. Non pubblico le sue ultime immagini perché credo sia doveroso ricordarlo col suo sorriso che gli arricciava il viso, triste e impertinente insieme.