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Il Filo Nascosto, molto ben nascosto

Sul manifesto, in testa, prima del titolo e degli attori, campeggia un “Mozzafiato” e la battuta è facile: per i troppi sbadigli. Ma al di là della facile battuta devo dire che non ho sbadigliato, solo perché sono molto ben avvezzo a film dall’andamento lento.

Da cotanto regista, Paul Thomas Anderson, autore di film come “Boogie Nights”, “Magnolia”, “The Master” e “Il Petroliere” con cui uno straordinario Daniel Day-Lewis ebbe un meritatissimo Oscar, mi sarei aspettato più attenzione al ritmo, che qui, nella sua lentezza, vuole essere avvolgente, come le stoffe degli abiti che vestono il bel mondo, ma che forse si affida, come in trance, alla recitazione degli interpreti – o per meglio dire “dell’interprete”: Daniel Day-Lewis ha dichiarato che questo sarebbe stato il suo ultimo film. Non sappiamo se ha problemi di salute o è solo un’esigenza esistenziale o un capriccio attoriale ma ne prendiamo atto senza crederci fino in fondo. Di fatto la regia ha ritagliato l’intero film sull’interpretazione del protagonista (che sicuramente avrebbe gradito un altro Oscar a chiusura carriera) facendo un pessimo servizio al film nel quale non accade nulla e stiamo lì a subire, come le due eccellentissime coprotagoniste, i capricci e l’irascibilità della star della moda sempre imbronciato nell’atto creativo: diciamolo pure, l’interprete è sempre eccellente ma come film di fine carriera avrebbe dovuto aspettare un’altra occasione perché qui c’è poco da gridare al miracolo o cadere in deliquio per la sua performance. Molto meglio le altre due interpreti, Vicky Krieps e Lesley Manville.

La prima interpreta una cameriera, poi amante dello stilista, che per me già si candida all’applauso alla prima apparizione dove è talmente brava e compenetrata nel ruolo che riesce ad arrossire senza effetti speciali: sorprendente. Lussemburghese, è qui al suo primo ruolo da protagonista in un film mainstream con grande distribuzione e pubblicità “mozzafiato”.

La seconda, Lesley Manville, è un’attrice britannica di lungo corso non nuova a candidature e premi. Interpreta la silente sorella dello stilista, quella che fa i conti sui registri e con le intemperanze del fratello, e manda avanti la baracca: riesce ad essere glaciale e umana insieme: altra interprete superba.

Il filo nascosto fa riferimento all’abitudine dello stilista di nascondere qualcosa, un bigliettino o una scritta ricamata, fra le cuciture dell’abito, per dargli un’anima segreta. Ma diventerà anche il filo nascosto che lo lega alla non ordinariamente bella ma intraprendente Alma; poi, un colpo di scena finale che più che “mozzafiato” direi improbabile, arriva quasi all’improvviso in un racconto che vuole svoltare nell’ambiguo ma che rimane piatto e insensato: lo stesso racconto nelle mani di un Roman Polanski sarebbe stato veramente mozzafiato. Il trailer racconta il film con un ritmo intrigante che il film non ha.

L’unico Oscar è andato ai costumi, e in un film che parla di moda anni ’50 vorrei vedere. E l’unica cosa che mi ha intrigato è quando lo stilista, in crisi e incompreso per il gusto che cambia – siamo a ridosso della rivoluzione di Mary Quant con la minigonna – se la prende con l’invenzione di una paroletta di cui non capisce il senso: chic. E mi fa il paio con il poeta Guido Gozzano che negli anni ’20 del secolo scorso deprecava l’invenzione di quel brutto termine: signorina, come diminutivo di signora. Perché in una lingua viva che si evolve insieme al costume anche le parole hanno un inizio, in qualche modo e da qualche parte. “Chic” pare provenga – fra altre ipotesi – dalla Francia dell’inizio del Novecento e veniva scritta “chique”, l’etimo pare provenga dal tedesco “schick – abito”. E Il dizionario Larousse ipotizza l’origine del termine al diciassettesimo secolo, quando al tempo di Luigi XIII, una persona abile a destreggiarsi con la legge veniva soprannominato “chicane”, con il significato di “cavillo”. Il significato della parola “chic” con il tempo e la diffusione nel mondo è mutato e viene usato anche al di fuori della moda.

Con buona pace dell’autore e del suo personaggio il film è soltanto chic, nient’altro.