Archivi categoria: l’inquilino del terzo piano

L’inquilino del terzo piano – rivisto in tv

1976. Roman Polanski viene da successi internazionali come “Rosemary’s Baby”, cui “l’Inquilino” si accomuna per le atmosfere di horror quotidiano che scaturiscono da relazioni sociali degenerate, e “Chinatown”, ultimo film americano del regista polacco; che però è anche reduce dal criticato “Macbeth” per i nudi ma soprattutto per le scene di cupa violenza che, come dissero le critiche allora, erano forse dovute al trauma che Polanski aveva subito: l’assassinio ad opera della setta di Charles Manson della moglie incinta, Sharon Tate, a due settimane dal parto.

Quando lo vidi al cinema avevo 17 anni: mi inquietò ma non capii molto e rivederlo a così tanti anni di distanza è stato illuminante. Trovo che Polanski come protagonista sia insieme il punto di forza e il punto debole. Con la sua faccia ordinaria è perfetto come impiegato sopraffatto dalle circostanze: vi mette se stesso, la sua nazionalità polacca, le sue difficoltà a inserirsi in nuovi ambienti e culture. Il film, che ha nel cast interpreti sia francesi che americani, viene girato nelle due lingue, e in post produzione doppiato per i rispettivi mercati: lui si doppia col suo accento polacco sia in inglese che in francese e anche italiano facendone davvero un’opera sua a tutto tondo. Ma come attore oggi trovo che non fosse all’altezza: a mio avviso non interpreta adeguatamente la progressione di follia in cui precipita il personaggio, così che a un certo punto la follia arriva come all’improvviso. Di tutt’altro tono la regia, sempre sicura nel condurre lo spettatore in questa spirale insensata di persecuzioni e trasfigurazioni.

La sceneggiatura che Polanski ha scritto insieme a Gérard Brach è tratta dal romanzo di Roland Topor, attore (in Italia sarà nel film “Ratataplan” di Maurizio Nichetti, 1979) ma anche scrittore illustratore scenografo e altro ancora, ebreo polacco nato nel 1938 e rifugiato con la famiglia in Savoia per sfuggire ai nazisti che nel ’39 invasero la Polonia. Nei primi anni ’60 sarà tra i fondatori del movimento surrealista Panico, assieme a Fernando Arrabal e Alejandro Jodorowsky: frequentazioni e umori creativi che certamente pervadono il suo romanzo “Le locataire chimérique” inizialmente tradotto in Italia come “L’inquilino stregato” prima che il film lo sdoganasse come “del terzo piano”: non ho letto il romanzo ma leggo delle sue atmosfere surreali e fortemente simboliche, che però Polanski trasferisce in una quotidiano naturalismo, straniante e davvero angosciante che, come nel romanzo, non trova una vera spiegazione nel finale che chiude il cerchio con l’inizio: è un rompicapo psicologico in cui ognuno può trovare ciò che vuole secondo le proprie immaginazione e sensibilità. In ogni caso il film, non amato dal pubblico e dalla critica contemporanei, rimane un gioiello di genialità.

il cast è ricco e variegato e in ruoli di contorno troviamo interpreti già acclamati a riprova del fatto che Roman Polanski era già nell’empireo dei grandi registi del cinema internazionale con cui tutti vogliono lavorare: altrimenti non si spiega Isabelle Adjani, fresca di Oscar e di David di Donatello per “Adele H” di François Truffaut, come spalla in un ruolo senza particolare appeal. Altrettanto sprecata mi pare Shelley Winters, due Oscar e due candidature in una carriera atipica fatta di protagoniste come di secondi ruoli: nell’Inquilino fa la portinaia e da spettatore mi aspetto sempre che il suo personaggio decolli, dato il peso dell’interprete, ma così non è. Nel ruolo dell’inquietante padrone di casa c’è la vecchia star hollywoodiana Melvyn Douglas (Oscar 1964) e in quello dell’altrettanto inquietante vicina troviamo Jo Van Fleet (Oscar 1956). Altri interpreti del cinema francese. già noti e che lo saranno in futuro: Lila Kedrova (Oscar 1965), Claude Piéplu, Rufus, Michel Blanc e Josiane Balasko.

Un remake? Forse con Johnny Depp.