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Carrie, lo sguardo di Satana – rivisto in tv

1976. Brian De Palma (che nei titoli di questo film è Depalma) è già un regista acclamato e con una sua precisa linea narrativa: è passato per la commedia ma la sua strada, è ormai chiaro, saranno il thriller e l’horror: è di due anni prima il grandioso (incompreso alla sua prima uscita) horror rock “Il fantasma del palcoscenico” e l’attesa per questo “Carrie” è tanta. L’ispirazione è il romanzo di un 29enne al suo debutto letterario: Stephen King, che all’inizio non credeva nella qualità della sua scrittura e fu spinto dalla moglie a mandare il manoscritto agli editori: da allora non si è più fermato ed è autore di più di 80 titoli; dopo Shakespeare, Agatha Christie e Conan Doyle, è l’autore più adattato per il cinema, oltre a essere il più censurato nelle scuole statunitensi.

Il romanzo, c’è da dire, ha le sue ingenuità che si trasferiscono al film il quale, visto oggi, sembra un B movie. Salta subito all’occhio che il perverso e malato puritanesimo della madre di Carrie, da cui nasce il disagio emotivo della ragazza, non è spiegato, se non frettolosamente alla fine; tutti i dialoghi sono superficiali e retorici, tipici dei romanzetti d’appendice e dei film di second’ordine e il talento che il regista ha mostrato nei suoi lavori precedenti qui sembra al servizio di una scrittura approssimativa che insegue solo il sensazionalismo di una trama ben congegnata ma rozzamente realizzata. Di fatto il film fu un successo clamoroso, candidatura all’Oscar per Sissy Spacek e al Gonden Globe per Piper Laurie nel ruolo della madre, e si impose come capostipite di un genere maleficamente assai proficuo: il teenager horror.

Perché alla fine questo è: un film per teenager con al centro del racconto il famigerato ballo di fine anno, evento che non appartiene alla nostra cultura e che abbiamo imparato a conoscere dal cinema statunitense: momento topico della cultura adolescenziale americana e topos narrativo in cui ne succedono sempre di ogni – come direbbe un adolescente oggi.

Anche l’adolescenza dell’epoca è visibilmente fasulla: Sissy Spacek all’epoca aveva ben 27 anni, e poteva essere credibile anche come 18enne, ma non certo come ragazzina più o meno 14enne alla quale vengono le prime mestruazioni sotto la doccia della scuola, dopo la partita di basket, fra compagne che la ridicolizzano e tormentano, oggi si dice bullizzano. Lunga sequenza, questa della doccia, che deve aver contribuito al successo in sala: Depalma indugia a lungo sul corpo efebico della protagonista, ammicca con riprese da preambolo erotico, così come prima si è aggirato a lungo fra i vapori dello spogliatoio dove vagano nude e complottiste lolite. Anche gli effetti speciali horror del gran ballo sembrano abbastanza ridicoli: non per rudimentalità dei mezzi dell’epoca ma per la già nota creatività del regista.

Il bello del ballo è William Katt, che due anni dopo è stato protagonista del successo internazionale “Un mercoledì da leoni” di John Milius e ha poi avuto una carriera in discesa. La super cattiva era Nancy Allen che ha continuato con De Palma, che nel frattempo ha sposato, nei suoi film successivi ed è stata protagonista dei primi tre Robocop. La cattiva pentita che cede il suo bello a Carrie per il ballo era Amy Irwing che sarà di nuovo con De Palma in “Fury” ma soprattutto sarà per tre anni compagna di Steven Spielberg, col quale rompe giusto in tempo per perdere il ruolo della coprotagonista in “I predatori dell’arca perduta” e successivi tre sequel; salvo poi rimettersi insieme e sposarsi nel 1984, fare un figlio e divorziare nell’89 con una buonuscita di 100 milioni di dollari: niente male. Nel 1988 è stata la voce del cartoon Jessica Rabbit in “Che fine ha fatto Roger Rabbit?” di Robert Zemeckis. Completa il quartetto degli amici-nemici il giovane John Travolta che aveva debuttato l’anno prima con un ruolo secondario in un horror secondario “Il maligno” con Ernest Borgnine, e l’anno dopo diventerà una star con “La febbre del sabato sera” di John Badham. Betty Buckley, al suo debutto cinematografico, è la comprensiva insegnante di educazione fisica, che difende e sostiene la maltrattata ragazza, ma che non si salva dalla telecinetica furia distruttiva di Carrie, il cui “sguardo di Satana” è solo il sottotitolo italiano in un film che non ha niente a che vedere con Satana.

Carrie ha avuto un sequel nel 1999 “Carrie 2 – La furia” dove ritroviamo Amy Irving, che era sopravvissuta, che più di vent’anni dopo fa la psicologa nella stessa scuola dove in pratica si ripetono gli stessi eventi con un’altra studentessa telecinetica con madre pazza e bullizzata dai compagni di scuola. Nel 2002 esce un altro “Carrie” film tv e nel 2013 un remake per il quale il distributore italiano ha la trovata di anteporre il vecchio sottotitolo al titolo: “Lo sguardo di Satana – Carrie”, film che l'”Alleanza delle donne giornaliste cinematografiche” lo nominò come “remake che non avrebbe dovuto essere fatto”. C’è di buono che la protagonista Chloë Grace Moretz ha 16 anni, e che la psicopatia della madre è stata sviluppata e approfondita tanto da attirare come interprete Julianne Moore. Anche il romanzo, con l’occasione, è uscito in una versione aggiornata. Il film, di certo migliore dell’originale per composizione e realizzazione, non ebbe il successo sperato perché i film cult non si toccano. E basta.