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Frankenstein – l’originale del 1931

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Fa sempre bene fare un salto nel passato per dare spessore al nostro presente. Frankenstein è famosissimo nell’immaginario cinematografico e popolare, per certi versi più dell’originale letterario da cui proviene, e i sequel le parodie e i remake e le citazioni non si contano. Ma la cosa più sorprendente è che ormai chiamiamo Frankenstein il mostro, o la creatura come è stata definita, mentre in realtà è il nome del suo creatore, che così ha traslato il suo cognome, per sempre e nell’immaginario collettivo, alla creatura che ha creato, come da un padre a un figlio: così l’utopia doppiamente immaginaria, quella dell’autrice del romanzo e nel romanzo quella del creatore, è diventata realtà.

L’inizio del quinto capitolo del manoscritto di Mary Shelley: “It was on a dreary night of November that I beheld my man completed…

Il mito racconta che tutto ebbe inizio in una notte buia e tempestosa. Di fatto, come ricorda Mary Shelley “Fu un’estate piovosa e poco clemente, la pioggia incessante ci costrinse spesso in casa per giornate intere.” Difatti quel 1816 fu “l’anno senza estate” detto anche “l’anno della povertà” poiché l’anomalia climatica distrusse i raccolti in Europa e in tutto il continente nord americano. Oggi si ritiene che ciò fu dovuto alla potente e duratura eruzione vulcanica del Tambora in Indonesia, fenomeno che aggravò la cosiddetta “piccola era glaciale”, un raffreddamento generale del pianeta che dal medioevo si protrasse fino a metà ‘800.

Così quell’estate in Svizzera nevicò. Ma costrinse in casa chi? Lei è Mary Wollstonecraft Godwin, figlia di una femminista morta di parto nel darla alla luce e di un politico assai progressista che già nel 1793 vedeva nell’istituto del matrimonio una forma di repressivo monopolio da parte di un uomo su una donna: molto avanti! La ragazza, cresciuta in quel clima assai liberale e dalle idee progressiste, a 16 anni dichiarò il suo amore al poeta Percy Shelley che frequentava la loro casa in quanto pupillo di suo padre; Shelley, che era un soggetto assai fascinoso e dal sentire profondo era però, secondo gli standard dell’epoca, alquanto instabile psichicamente economicamente e socialmente e, cosa non meno importante, era anche sposato con prole; ma si sa che l’amore non conosce ostacoli e quando anche il di lei padre si oppose all’unione accantonando per amore della figlia le sue belle idee anticonvenzionali, la novella coppia fuggì all’estero per poi fare ritorno in patria quando finirono i soldi. Lei restò incinta ma perse la bambina, lui continuava a scrivere poemi e per sua fortuna gli morì il nonno lasciandogli una cospicua eredità.

Di nuovo con le tasche piene, la coppia andò in vacanza di qua e di là, mise al mondo il secondogenito, e arriviamo al dunque: nel maggio del 1816 partirono per Ginevra insieme a Claire, la sorellastra di lei, per raggiungere l’amico poeta George Gordon Byron noto come Lord Byron, che aveva messo incinta Claire: l’intento della doppia coppia era quello di pianificare il da farsi riguardo il futuro neonato, dato che si trattava, come Mary e Percy, di un’altra coppia non sposata. E fu in quel periodo che lei cominciò a farsi chiamare Mary Shelley. Il terzetto aveva preso in affitto una casa nei pressi di quella Villa Diodati dove risiedeva Byron che aveva come ospite l’amico, anche segretario e medico personale, John William Polidori, un brillante medico londinese di padre italiano (a sua volta segretario di Vittorio Alfieri) che si era laureato con una tesi sul sonnambulismo. “Ma fu un’estate piovosa e poco clemente, la pioggia incessante ci costrinse spesso in casa per giornate intere.” scriverà Mary, e il clima influirà sull’andamento della vacanza e la creazione di un paio di capolavori gotici dell’orrore.

I cinque personaggi come li racconta Ken Russell nel film “Gothic” del 1986

Erano cinque giovani che oggi definiremmo non più che ragazzi. il più grande era Byron con i suoi 28 anni, seguiva Percy Shelley con 24 anni, Polidori ne aveva 21 e si era laureato a 19, Mary ne aveva 19 e Claire 18; ma era anche un’epoca in cui nel Regno Unito l’aspettativa media di vita era intorno ai 40 anni, più che nel resto dell’Europa dove si moriva mediamente intorno ai 35 anni. L’eccentrico quintetto che si era composto passava le oziose giornate e le interminabili serate discettando di argomenti altrettanto eccentrici: Polidori, in particolare, raccontò degli esperimenti condotti il secolo prima da Erasmus Darwin, nonno del più famoso evoluzionista Charles, il quale aveva affermato di essere riuscito a rianimare la materia morta tramite il galvanismo: un procedimento che aveva preso il nome dall’anatomista Luigi Galvani, il quale aveva sperimentato come scosse di corrente elettrica facessero contrarre dei muscoli morti: ma da quello a pensare di potere ridare la vita è tutto un altro discorso; di fatto Galvani rimane noto perché scoprì l’elettricità biologica negli esseri viventi, quella che verrà definita nei secoli a seguire elettrobiologia. La sera poi, davanti al fuoco del caminetto in villa, l’allegra brigata si divertiva a raccontarsi storie di fantasmi – chi di noi non l’ha fatto a quell’età? – e fu a quel punto che Byron propose un gioco che era anche una sfida: ognuno avrebbe dovuto scrivere una storia di fantasmi. Il regista Ken Russell ha raccontato quella serata nel suo film “Gothic”.

Ovviamente quella sera furono solo creati degli abbozzi, presero forma idee e spunti di storie da sviluppare in seguito, e solo due di loro portarono a compimento l’opera: Mary Shelley creò “Frankenstein, ovvero il moderno Prometeo” pubblicato anonimo nel 1818. Come poi scrisse, era stata impressionata e ispirata dai racconti sul galvanismo: “Vedevo – a occhi chiusi ma con una percezione mentale acuta – il pallido studioso di arti profane inginocchiato accanto alla “cosa” che aveva messo insieme. Vedevo l’orrenda sagoma di un uomo sdraiato, e poi, all’entrata in funzione di qualche potente macchinario, lo vedevo mostrare segni di vita e muoversi di un movimento impacciato, quasi vitale. Una cosa terrificante, perché terrificante sarebbe stato il risultato di un qualsiasi tentativo umano di imitare lo stupendo meccanismo del Creatore del mondo.” L’altro grande personaggio fu creato da Polidori, e il suo racconto breve “Il vampiro” fu pubblicato su una rivista nel 1819 ma erroneamente attribuito a Byron che smentì tempestivamente, ma data la notorietà letteraria del poeta a fronte dell’incognito nome di Polidori, l’errore di attribuzione prese consistenza, tanto che perfino Goethe affermò che si trattava di uno dei migliori lavori del poeta. Polidori ha scritto “Il vampiro” ispirandosi proprio alla figura di Byron, e partendo da un di lui scritto incompiuto che conosceremo come “La sepoltura – un frammento”: è il primo vampiro della letteratura inglese e online è possibile trovare e scaricare il PDF in lingua originale. Il più iconico Dracula verrà creato da Bram Stoker sul finire di quell’Ottocento.

Le critiche al Frankenstein furono subito sfavorevoli perché il romanzo non veicolava nessuna condotta morale; ovviamente si speculò sull’identità del misterioso autore di quella “orribile storia movimentata” che di fatto sarà un best seller a dispetto dei critici e della morale, e quando nella seconda edizione viene rivelato il nome dell’autrice gli ex detrattori scriveranno: “Per un uomo era eccellente ma per una donna è straordinario”. Mary Shelley, con il Dottor Frankenstein e la sua Creatura ha creato due personaggi mitici portatori di diverse istanze culturali: la paura che all’epoca si aveva della tecnologia, ma anche la solitudine e la diversità dell’individuo, il mito della creazione, la sperimentazione spinta ai limiti della morale e dunque la bioetica, la ribellione al proprio destino, il senso di responsabilità che il creatore dovrebbe avere verso la sua creatura, e il concetto – traslato da Rousseau – dell’innata innocenza che viene corrotta dalla società: e tutto questo a soli 19 anni. Le 19enni di qualche decennio fa scrivevano robetta come “Volevo i pantaloni” subito film omonimo, e “Cento colpi di spazzola” subito messo in film col titolo di “Melissa P.” che era lo pseudonimo dell’autrice. Le 19 di oggi scrivono solo sui social e raccontano per video e immagini le loro esistenze fatte di riflessi collettivi. Con le dovute eccezioni.

Meno di un secolo dopo, nel 1910, la nascente industria cinematografica, nello specifico la Edison Studios dell’imprenditore Thomas Edison, anche inventore della lampada a incandescenza, la lampadina, utilizzò il soggetto per farne un cortometraggio girato in tre giorni. Creduto perso, se ne ritrovò una copia alla fine degli anni ’70 che, benché deteriorata, era ed è ancora visibile come nella pubblicazione YouTube qui sotto.

Venti anni dopo ancora, con l’avvento del sonoro l’industria cinematografica andò incontro a una colossale rivoluzione. Il fondatore della Universal Studio, l’immigrato tedesco Carl Laemmle, nonostante la sua iniziale ritrosia volle dare credito al figlio, Carl Laemmle jr. appassionato di storie horror, e nel 1931 produsse “Dracula” diretto da Tod Browning con il romeno Bela Lugosi nel ruolo del romeno Dracula; il film fu un grande successo e Carl jr. ebbe carta bianca per i suoi successivi progetti, creando di fatto quelli che verranno definiti “I mostri della Universal”. Seguì immediatamente, lo stesso anno, questo “Frankenstein” per la cui sceneggiatura gli autori si ispirarono sia al romanzo originale che a un paio di diversi adattamenti teatrali.

Padiglione espressionista di Bruno Taut all’esposizione di Colonia del 1914

Oggi diciamo che il film appartiene alla corrente espressionista, un movimento artistico che si propagò prima in Europa a partire dalla Germania, come reazione all’imperante naturalismo e all’impressionismo in ambito pittorico e artistico in genere: lo sguardo oggettivo che guarda la natura e la realtà e le ripropone così come sono, viene rivolto verso l’interno dell’animo del creatore che così guarda ed esprime la realtà in soggettiva, esprimendo il suo punto personale di vista, espressionista appunto. In questo modo l’espressionismo, attraverso “gli occhi dell’anima” produce una ribellione della vita spirituale contro quella materiale. L’espressionismo si manifestò nelle arti figurative, in architettura, in musica, in letteratura e di seguito nel teatro dove la corrente si espresse soprattutto nello stile recitativo degli attori che ricorsero alla ricerca di effetti vocali e di gestualità innaturali per creare dei personaggi mistici e simbolici; anche la scenografia ebbe un importante ruolo nell’espressionismo teatrale, cercando di trasportare lo spettatore dalla concretezza della realtà all’interno della visione dell’autore. Dal teatro al cinema il passo è breve.

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Esempio di scenografia espressionista tedesca ridisegnata oggi da Jeronimo Sochaczewski
Scorcio scenografico dal film “Frankenstein”

La scenografia del film, firmata da Charles Hall, è in realtà creata in stretta collaborazione col regista, James Whale, che era anche un esperto scenografo e insieme crearono la fantastica torre al cui interno si colloca il laboratorio del dottor F., un’ambientazione gotica piena di angoli e ombre; il laboratorio, in particolare, venne creato da Kenneth Strickfaden, che da semplice elettricista divenne poi scenografo e creatore di effetti speciali, che per l’occasione riuscì addirittura ad assicurarsi una bobina di Tesla, un trasformatore in grado di creare fulmini, costruita dallo stesso Nikola Tesla; e tutti gli impianti di quel laboratorio furono riutilizzati come elementi di scenografia fino a tutti gli anni ’70; anche le scenografia esterna ed interna del mulino di legno che va a fuoco nel finale, in stile con la visione gotica-espressionista, fu molto impegnativa, così che poi si risparmiò sullo scenografia della camera di Elizabeth, la fidanzata del dottore, per la quale fu riutilizzato un vecchio fondale dipinto.

La prima locandina creata preventivamente con il nome di Bela Lugosi

Per il cast fu subito riconfermato Bela Logosi, protagonista dell’immediato precedente “Dracula”, per il ruolo del dottor Frankenstein, ma il regista Robert Florey pensava che il talento e la fama di Lugosi sarebbero stati meglio al servizio della Creatura; i produttori, indecisi, ordinarono che fosse girata una bobina di pellicola come provino, mentre venivano contattati Bette Davis e Leslie Howard per i ruoli della fidanzata e dell’amico. Ma il mostro sviluppato nella sceneggiatura non diceva una parola e Bela Lugosi si rifiutò di interpretare quel ruolo muto, pesantemente coperto di trucco e che, a suo parere, non era altro che un oggetto di scena: lui si reputava troppo affascinante e famoso per quel ruolo. A essere onesti, quel ruolo, per come è stato effettivamente realizzato, sarebbe stato un grosso passo indietro per uno che aveva spopolato, anche in teatro prima che al cinema, come Dracula. Dopo che la star romena lasciò il film, il regista fu licenziato dalla produzione perché la sua visione della Creatura era quella di un mostro programmato per uccidere senza nessun approfondimento psicologico.

Bela Lugosi e Boris Karloff posano come amici, finti

Carl Laemmle jr. in sostituzione scritturò il regista inglese James Whale che stimava molto, tanto da lasciargli carta bianca. Whale, con la sua nuova visione della storia, si liberò anche delle ipotesi Bette Davis e Leslie Howard e rifece il cast da zero. Per cominciare invertì i nomi di battesimo di Viktor Frankenstein e del suo amico Henry Moritz, perché Henry sarebbe stato più banalmente in linea con la cultura popolare americana. Per il nuovo ruolo di Henry Frankenstein volle il connazionale Colin Clive che aveva già diretto in patria; per il ruolo di Elizabeth scelse un’altra attrice con la quale aveva già lavorato, Mae Clarke. Il compagno del regista, per il ruolo della Creatura, suggerì il nome di un altro inglese, William Henry Pratt che col nome d’arte Boris Karloff aveva cominciato a recitare nel Nuovo Mondo, dove rimasto orfano si era trasferito; aveva già lavorato in una ottantina di film muti e l’anno prima si era fatto notare con uno dei primi film sonori, “Codice penale” di Howard Hawks. Karloff, che a differenza di Lugosi considerava la recitazione un lavoro e non una missione artistica, accettò il ruolo muto e il resto è storia. Oggi il suo nome, insieme a quello del rivale Bela Lugosi, e dei successivi Peter Cushing, Christopher Lee e Vincent Price, viene ricordato fra i grandi interpreti del cinema horror. Da lì in poi la carriera di Bela Lugosi, purtroppo anche a causa del suo forte accento, fu tutta in declino e dovette accontentarsi di ruoli di supporto da caratterista, con paghe assai più contenute rispetto agli ingaggi che riusciva ad avere Karloff; come beffa del destino recitò nel secondo sequel di Frankenstein dopo “La moglie di Frankenstein” in cui la Creatura aveva finalmente parlato; in “Il figlio di Frankenstein”, con un Lugosi appannato perché già stanco del personaggio che, colpito da un fulmine ha perso di nuovo l’uso della parola, Lugosi dà spessore al personaggio di Ygor, deus-ex-machina del racconto che fu scritto appositamente per lui; questo non lo salvò dal declino e finì col recitare in alcune parodie, finendo con l’interpretare il mostro nel brutto film “Frankenstein contro l’Uomo Lupo”.

Il regista posa accanto alla Creatura che si fuma una sigaretta

Alla prima uscita del film, la Universal aggiunse un prologo recitato da Edward Van Sloan che nel film interpreta l’anziano dottor Waldman, il mentore di Henry Frankenstein, e che era stato Van Helsing in “Dracula”; il prologo era una sorta di “avvertenze al pubblico” nel timore che il film risultasse troppo forte. Qui di seguito il testo in italiano del prologo e a seguire il video originale.

“Buonasera. Il signor Carl Laemmle ritiene che non sia opportuno presentare questo film senza due parole di avvertimento: stiamo per raccontarvi la storia di Frankenstein, un eminente scienziato che cercò di creare un uomo a sua immagine e somiglianza, senza temere il giudizio divino. È una delle storie più strane che siano mai state narrate, tratta dei due grandi misteri della creazione: la vita e la morte. Penso che vi emozionerà, forse vi colpirà, potrebbe anche inorridirvi! Se pensate che non sia il caso di sottoporre a una simile tensione i vostri nervi, allora sarà meglio che voi… be’, vi abbiamo avvertito!”

In effetti dopo la prima uscita un paio di scene furono tagliate perché il pubblico si era impressionato ai primi piani delle iniezioni fatte al mostro, fu anche terrorizzato dai primi piani del mostro quando l’assistente gobbo Fritz (interpretato da Dwight Frye, anch’egli nel cast di “Dracula”) lo tormenta con la torcia, e soprattutto restò sconvolto quando la Creatura getta la bambina in acqua. Riguardo a quella scena, Karloff tentò di far cambiare la sceneggiatura perché non voleva eseguire quell’azione che riteneva troppo violenta: secondo lui il mostro doveva solo mostrare la sua innocenza giocando con la bambina senza farle del male, ma il regista gli spiegò: “Fa tutto parte del rituale. Deve accadere per spiegare la tragedia del mostro” e alla fine Karloff si convinse. Ma poiché al primo ciak la bambina era rimasta a galla, il regista le chiese di ripetere la scena e la piccola accettò a patto che lui le regalasse una dozzina di uova sode, patto che il regista mantenne. La bambina Marlyn Harris recitò per alcuni anni come attrice bambina e da adulta fece la doppiatrice.

Lo storico del cinema Rudy Behlmer ha recentemente scritto: “Nel 1931, molte delle cose mostrate e dei temi trattati nel film erano nuovi e insoliti per il pubblico. Erano argomenti mai affrontati prima d’allora, o cose a cui la gente inconsciamente non voleva pensare. C’è il tonfo della terra che cade sulla cassa da morto. Cose mai apparse sullo schermo. Il giustiziato che tirano giù dalla forca, cadaveri, rianimazioni. Tutto questo è difficile da capire oggi, per via degli eccessi a cui ci sottopongono da decenni, ma nel 1931 fu una cosa che fece scalpore.” Anche la frase del dottor Frankenstein “Oh, nel nome di Dio! Ora so cosa significa essere Dio!” creò molti problemi tra diversi gruppi religiosi e fu rapidamente censurata, coperta da un tuono.

Integro o censurato il film fu un clamoroso successo registrando un incasso lordo di circa 13 milioni di dollari dell’epoca, e considerato dai critici uno dei migliori del 1931, nonché in seguito uno dei più grandi film di tutti i tempi. A tutt’oggi la parodia più celebre rimane “Frankenstein Junior” di Mel Brooks del 1974, mentre i remake non si contano, il più blasonato dei quali è il film del 1994 “Frankenstein di Mary Shelley” che già nel titolo riconduce la storia al romanzo originale; diretto da Kenneth Branagh anche interprete del dottor Frankenstein con Robert De Niro nel ruolo della Creatura e Helena Bonham Carter nel ruolo di Elizabeth.

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