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Oscar 2022, la sintesi della serata

A inizio serata Daniel Kaluuya, premio Oscar 2021 non protagonista per “Judas and the Black Messiah” di Shaka King, insieme a H.E.R. premio Oscar per la miglior canzone originale per lo stesso film, annunciano il premio alla migliore attrice non protagonista 2022 ma soprattutto, insieme, vestono i colori della bandiera ucraina.

Ariana De Bose riceve l’Oscar come migliore attrice non protagonista per il ruolo di Anita in “West Side Story” remake di Steven Spielberg del musical del 1961 diretto da Robert Wise e Jerome Robbins, dove a ricevere l’Oscar per lo stesso ruolo fu Rita Moreno, che in questo remake è fra i produttori e si ritaglia il piccolo ruolo di Valentina che volge al femminile il personaggio di Doc del musical originale.

Rita Moreno, 91 anni

A seguire “Dune” di Denis Villeneuve si aggiudica tre premi tecnici per l’impianto sonoro, la fotografia e gli effetti speciali.

Viene poi omaggiata la saga di 007 che compie 60 anni, essendo cominciata nel 1962 con “Agente 007 licenza di uccidere”, starring Sean Connery, e conclusa con la morte della spia più longeva iconica e redditizia dell’industria cinematografica nell’ultima interpretazione di Daniel Craig “No Time to Die”. In mezzo possiamo recuperare altre chicche come la parodia del 1967 “Casino Royale” che è anche il titolo del primo film con Daniel Craig, reboot della serie nel 2006. Ma c’è anche uno 007 apocrifo del 1983, o fuori serie, che per complesse azioni legali viene realizzato da una differente produzione, e per l’occasione viene riscritturato un già anziano Sean Connery da mandare in duello al botteghino con lo 007 ufficiale che all’epoca era Roger Moore, del quale abbiamo il primo 007 “Vivi e lascia morire” del 1973. E c’è la parentesi George Lazenby “Agente 007 al Servizio Segreto di sua Maestà” del 1969.

Viene poi premiato il miglior film di animazione, “Encanto”.

Mentre il miglior corto di animazione è “The Windshield Wiper”, sei anni di lavorazione, che è integralmente disponibile su Youtube, in lingua originale, con limitazioni per scene di sesso. La sinossi: all’interno di un bar, mentre fuma un intero pacchetto di sigarette, un uomo di mezza età fa a sé stesso e a noi pubblico una domanda ambiziosa: “Cos’è l’Amore?”. Troverà la risposta in una raccolta di scenette e situazioni animate ma talmente iperrealistiche da sembrare ridisegnate su un film dal vero; in realtà, come racconta l’autore Alberto Mielgo, lui parte da sopralluoghi reali in cui scatta delle fotografie che userà per dipingere i suoi scenari in 2D mentre i personaggi in movimento sono in 3D. Oltre ai dialoghi sceneggiati e riprodotti, sullo schermo compaiono molte scritte che riproducono voci fuori campo, maschili e femminili, che rispondono fuori copione a domande sull’amore. Poi spiega il titolo che in italiano è tergicristallo: “Il titolo è molto importante e molto significativo. Ogni volta che proviamo a definire l’amore, per lo più falliamo, perché è quasi indefinibile. Questo perché la definizione di amore si basa sulle relazioni e ogni relazione è diversa. Uso la metafora di un tergicristallo perché ogni goccia d’acqua crea un motivo su un parabrezza, quindi il tergicristallo pulisce le gocce e poi la pioggia crea uno schema completamente diverso. Non è mai lo stesso. Ogni modello di gocce è una relazione diversa. E questo si riflette anche nel ritmo del film, che è lo stesso di un tergicristallo. Mostra e pulisce e mostra e pulisce. Rivela un modello, ma il modello non viene mai spiegato. È un po’ come un codice che solo le coppie conoscono, ma in realtà nemmeno le coppie ne capiscono il modello.”

La sudcorena Youn Yuh-jung migliore attrice non protagonista lo scorso anno per “Minari” proclama il migliore non protagonista 2022 il non udente Troy Kotsur per il film “I segni del cuore” che è il remake del francese “La Famiglia Bélier” del 2014 diretto da Éric Lartigau, che aveva una marcia in più perché gli interpreti dei ruoli dei genitori sordomuti della protagonista sono due attori normodotati talmente bravi da sembrare realmente sordomuti. Va ricordato che Troy Kotsur è il secondo attore sordomuto premiato con l’Oscar dopo Marlee Matlin che lo vinse nel 1987 per “Figli di un Dio Minore” di Randa Haines e che qui è la madre della protagonista normodotata che vuole fare la cantante. Dispiace che l’attore ringrazi la regista e sceneggiatrice Sian Heder per aver messo insieme, col suo film, il mondo dei non udenti con quello degli udenti, dimenticando clamorosamente che la sceneggiatura originale è francese.

Segue l’Oscar al miglior film internazionale che vedeva schierato il nostro “E’ stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino già Oscar nel 2014 con “La grande bellezza” e che è andato al giapponese “Drive my car” di Ryūsuke Hamaguchi che aveva vinto anche il Prix du Scénario a Cannes.

E’ poi il momento di Mila Kunis, che, essendo ucraina di nascita e statunitense d’adozione, era molto atteso il suo intervento come presentatrice di una delle migliori canzoni originali candidate; non delude le aspettative mantenendosi nella traccia obbligatoria della serata e parla, senza fare nomi di luoghi e persone, di eventi totali, forza e dignità, devastazione, resilienza, forza, lotta, buio inimmaginabile; poi presenta il brano “Somehow you do” di Diane Warren eseguita da Reba McEntire per il film “Quattro buone giornate” che Mila Kunis interpreta con Glenn Close.

Dopodiché compare il cartello: “We’d like to have a moment of silence to show our support for the people of Ukraine currently facing invasion, conflict and prejudice within their own borders. While film is an important avenue for us to express our humanity in times of conflict, the reality is millions of families in Ukraine need food, medical care, clean water, and emergency services. And we – collectively as a global community – can do more. We ask to support Ukraine in any way you are able. #standwithukraine”. Il ventilato intervento del presidente Volodymyr Zelens’kyj non c’è stato.

Lupita Nyong’o – l’attrice keniota premiata al suo debutto cinematografico come migliore non protagonista in “12 anni schiavo” del 2013 di Steve McQueen, regista nero inglese omonimo del bianco divo hollywoodiano – entra sul palco accompagnata da Ruth Carter, prima costumista nera a vincere l’Oscar per “Black Panther” del 2018 diretto dal nero Ryan Coogler (un momento di orgoglio nero, dunque); presentano i candidati migliori costumisti, and the Oscar goes to Jenny Beavan per “Crudelia” di Craig Gillespie con Emma Stone, film targato Disney che rinverdisce il mito della cattiva di “La carica dei 101” mettendola al centro di una storia tutta sua dove i dalmata sono solo comprimari, ispirato al mitico cartone animato del 1961 che nel 1996 è stato rifatto in live action, regia di Stephen Herek, in cui una strepitosa Glenn Close ha dato vita al personaggio.

Segue l’ispanico John Leguizamo che dà vita a un suo momento di orgoglio latino raccontando che nel 1928 come modello per la statuetta dell’Oscar è stato preso l’ispanico Emilio Fernandez, e conclude col doppio senso che è “come avere un 30 centimetri di messicano nelle tue mani che si chiama Oscar”; presenta la seconda canzone originale in gara, “Dos Oruguitas” di Lin-Manuel Miranda.

A introdurre i candidati alla miglior sceneggiatura originale arriva il terzetto dei protagonisti del film “Juno” del 2007 diretto da Jason Reitman che vinse proprio in questa categoria con la sceneggiatura di Diablo Cody; il terzetto è formato da J. K. Simmons, Jennifer Garner e Elliot Page che all’epoca del film era ancora anagraficamente donna col nome di Ellen Page. Si aggiudica la statuetta Kenneth Branagh che ha scritto e diretto il semi-autobiografico “Belfast”, primo Oscar dopo ben otto nomination nella sua carriera di attore e regista.

Il cantante Shawn Mendes e la performer (cantante, attrice comica, conduttrice tv, regista) Tracee Ellis Ross (figlia di Diana Ross) con un ardito décolleté, sono chiamati a presentare la migliore sceneggiatura non originale, ovvero tratta da preesistente opera; e vince la Sian Heder (al suo secondo film) che ha riscritto il film francese sulla famiglia di sordomuti e che nel suo discorso di ringraziamento non dice una parola sull’opera originale a cui si è ispirata.

Jason Momoa, nel cast di “Dune”, accetta a nome del compositore Hans Zimmer, che non poteva essere presente alla serata, il premio per la miglior colonna sonora originale.

Subito a seguire Rami Malek, che era il cattivo dell’ultimo 007, presenta la canzone scritta per il film e candidata fra le migliori canzoni originali, “No Time to Die” di Billie Eilish e Finneas O’Connell che a dispetto dei nomi sono sorella e fratello, che più avanti nella serata verrà proclamata vincitrice nella cinquina presentata da Jake Gillenhaal e Zoe Kravitz.

A presentare i candidati per il miglior montaggio è una voce femminile fuori campo mentre scorrono le clip dei cinque film, e vince ancora “Dune” col montaggio di Joe Walker, assiduo collaboratore del regista, Denis Villeneuve, per il quale aveva montato “Arrival” ricevendo una candidatura, e di un altro regista col cui film era stato precedentemente nominato, Steve McQueen, “12 anni schiavo”.

Per annunciare il miglior documentario arriva sul palco il comico Chris Rock che com’è prassi fa un po’ di battute, prima prendendo di mira la coppia Javier Bardem – Penelope Cruz entrambi nominati nelle rispettive sezioni da protagonisti, poi passando a Will Smith e sua moglie Jada Pinkett che notoriamente soffre di alopecia e infatti sfoggia un look testa rasata, e il comico fa un’infelice battuta: non vede l’ora di vederla nel remake di “Soldato Jane”, film in cui Demi Moore sfoggiava il look testa rasata; Jade ha alzato gli occhi al cielo, mentre il comico si commenta da solo dicendosi che la battuta non era male; ma Will Smith si alza dalla platea e sale in palcoscenico a dargli un pugno in faccia, proprio come si fa nei film, e Chris Rock continua a sorridere commentando “Wow! Will Smith mi ha appena dato un bel pugno!” mentre Smith, tornando a sedere gli grida: “Togliti il nome di mia moglie dalla tua cazzo di bocca!” Gelo in sala.

Si prosegue con la presentazione dei documentari candidati e la nomina del vincitore: “Summer of Soul (…Or, When the Revolution Could Not Be Televised)” regia del musicista Questlove.

Il rapper Sean Diddy Combs, noto anche come Puffy Daddy, viene sul palco per ricordare il 50esimo anniversario di “Il Padrino” ma non può fare a meno di parlare, da artista nero, di quello che è appena successo fra altri due artisti neri, e si auspica che nel retropalco tutto verrà chiarito perché si è tutti una grande famiglia. Poi dopo sequenze dei film della seria compaiono insieme sul palco Francis Ford Coppola (83 anni) Robert De Niro (79) e Al Pacino (82) ed è subito standing ovation.

Arriva il sempre commovente momento In Memoriam col tappeto canoro dei The Samples Choir, e Tyler Perry apre la sequenza omaggiando Sidney Poitier; segue l’intervento di Bill Murray per ricordare il regista Ivan Reitman; conclude Jamie Lee Curtis che omaggia Betty White; fra gli altri nomi più noti scomparsi nell’ultimo anno: la nostra Lina Wertmuller, il recentissimo William Hurt, il francese Jean-Paul Belmondo; e poi il musicista Mikis Theodorakis, e i registi Peter Bogdanovich, Richard Donner, Jean-Marc Vallée, e gli attori Ned Beatty, Charles Grodin, Michael K. Williams, Sally Kellerman, Dean Stockwell.

Ancora un’altra statuetta a “Dune” che si aggiudica anche la migliore scenografia di Patrice Vermette e Zsuzsanna Sipos, piazzandosi con 6 Oscar su 10 nomination al primo posto fra i premiati.

Kevin Costner presenta i candidati alla miglior regia che va a Jane Campion per “Il potere del cane” che con 12 nomination era in testa e si aggiudica solo quest’importante premio.

A 28 anni da “Pulp Fiction” di Quentin Tarantino, arriva sul palco il terzetto formato da Uma Thurman, John Travolta e Samuel L. Jackson – altra standing ovation – per nominare il miglior attore protagonista, che è Will Smith per “Una Famiglia Vincente – King Richard” dove interpreta il padre delle tenniste Serena e Venus Williams. E Will Smith si aggiudica il premio tornando sul palco dove prima era salito a difendere l’onore di sua moglie, ora commosso fino alle lacrime. Dice che è “stato chiamato in questa vita ad amare le persone e a proteggere le persone”. Protegge la memoria di Richard Williams che ha interpretato, la collega Aunjanue Ellis che interpreta sua moglie e le ragazze che interpretano le figlie. E poi cita il beduino interpretato da Anthony Quinn in “Lawrence d’Arabia”: “Io sono un fiume per la mia gente”, consapevole di essere uno degli attori più potenti di Hollywood, nominato dalla rivista Newsweek il più nel 2007. Poi, parlando di lavoro mischia finzione e la realtà e fa un riferimento velato a quanto successo parlando di persone che non portano rispetto, e cita Denzel Washington che gli ha detto: “Nel tuo momento più alto è proprio quello il momento in cui il diavolo viene a tirarti per la manica” e alla fine chiede scusa all’Accademy e a tutti i colleghi fra lunghe pause e lacrime copiose che dicono molto più delle parole, e alla fine ringrazia con una battuta: “Spero che mi invitino di nuovo su questo palco!”

Nel retropalco Will Smith incontra e abbraccia Sir Anthony Hopkins che sta andando a premiare la migliore attrice. Nel frattempo viene premiato il miglior trucco per “Gli occhi di Tammy Faye” di Michael Showalter. Vengono anche annunciati gli Oscar alla carriera: Samuel L. Jackson, Liv Ullmann e Elaine May, e contrariamente agli anni precedenti non vengono premiati in palcoscenico ma solo inquadrati nel salottino in cui sono relegati e senza la possibilità di dire una sola parola. Triste.

L’ingresso di Anthony Hopkins suscita un’altra standing ovation, e comincia dicendo: “Will Smith ha già detto tutto”; poi dopo avere speso belle parole per le attrici della cinquina annuncia la vincitrice Jessica Chastain. Segue Lady Gaga, protagonista del discusso “House of Gucci” per il quale si aspettava una candidatura non arrivata, che sale sul palco a nominare il miglior film 2022 che a sorpresa è l’outsider “I Segni del Cuore” a riprova che quando ci sono disabilità e buoni sentimenti l’Academy non si tira mai indietro, e fra i ben dieci film in concorso ce n’erano di titoli certamente migliori. In ogni caso molta bella roba da vedere, avendone la possibilità.

Il cinema in libreria: “CIAK, donne e uomini dello spettacolo nell’età dell’oro”

Ricevo in omaggio dall’autore questo libro, prezioso per chi ama il cinema e non vorrebbe mai smettere di saperne sempre di più. Una serie di ritratti – ma non solo ritratti, quanto piuttosto curiosità, pettegolezzi, retroscena – dei divi italiani dell’epoca d’oro della nostra cinematografia, che nella prefazione parte da una data specifica e subito ci prende nel vortice:
“Stresa, 28 settembre dell’anno di grazia 1947: sullo sfondo di una semplice scenografia intonata a un sobrio chiaroscuro, sfilano in passerella le giovani fanciulle in fiore partecipanti al concorso di Miss Italia che esibiscono la loro sfavillante bellezza agghindata da sorrisi più o meno d’ordinanza.
Ciascuna di esse, ingenua o maliziosa, sognante o pragmatica che sia, rappresenta una regione, se stessa e un modo diverso di essere bella. Vince, quasi a sorpresa, una ragazza d’incantevole espressività: la flessuosa milanese Lucia Borloni (diventata poi Bosè), commessa della rinomata pasticceria Galli dove bazzicava il regista Luchino Visconti che, sofisticato cultore dell’estetica, l’aveva già puntata. Al secondo posto si classifica, anche e soprattutto in virtù della beltà dei suoi occhi ridenti e fuggitivi, la passionale calabrese Gianna Maria Canale. Sul podio sale anche Luigia (Gina) Lollobrigida, una ventenne molto determinata a dispetto dell’apparenza. Damigelle d’onore della storica e indimenticabile manifestazione sono: Palmira Omiccioli (Eleonora Rossi Drago) che con la sua elegante figura diventerà sinonimo di signora dal fascino sofisticato, e la conturbante Silvana Mangano, una donna dotata di un’inquietante avvenenza rivelatasi poi dolente e misteriosa.”
E più avanti l’autore inanella una serie impressionante di aggettivi, sorprendentemente tutti calzanti, per continuare a descrivere il “variegato ventaglio di straordinarie, raffinate ed eleganti presenze femminili che soddisfano tutti i gusti: aggressive e mediterranee, esotiche e stravaganti, rassicuranti e morbide, volubili e delicate, intriganti e misteriose, appariscenti e provocanti, raffinate ed eleganti, incantevoli e leggere, scarmigliate e ironiche, modelle colorate e semplici visi acqua e sapone.”
Come non si può non restare avvinti da questo appassionato e appassionante inizio di narrativa cinematografica? che non dimentica l’universo maschile a cominciare dai cosiddetti quattro colonnelli della commedia italiana: Sordi, Gassman, Manfredi, Tognazzi, passando per Totò, Vittorio De Sica e Marcello Mastroianni fino ai più contemporanei Benigni, Troisi e Verdone: una bibbia da tenere sul comodino.

Il libro è in vendita su https://www.amazon.it/CIAK-uomini-spettacolo-nellet%C3%A0-delloro/dp/B08LPKM3RS e bisogna sapere che l’autore sta lavorando al secondo volume che ci racconterà le star internazionali. Se poi volete farvi o fare il regalo di una copia con dedica autografa dall’autore, che potete trovare su Facebook, lui sarà sempre felice di dialogare con voi.

Lucia Bosè, Miss Italia 1947

David di Donatello 2021 a modo mio

David di Donatello 2021 vincitori: chi ha vinto la 66esima edizione. I premi

L’anno scorso, in piena pandemia, Carlo Conti ha presentato l’evento tutto solo in studio con gli interventi in collegamento; un anno dopo, quando tutti abbiamo (si spera…) imparato a convivere col virus e le limitazioni che comporta, e avviata la campagna di tamponi e vaccinazioni, la serata si svolge nuovamente in presenza e, come la notte degli Oscar, anche in collegamento da luoghi diversi: un limite che è stato interpretato come momento creativo per re-impaginare l’evento, così come chiunque di noi deve imparare a re-immaginare la propria vita. Show must go on, ora come non mai. Le produzioni cine-televisive, dopo un primo momento di sbandamento, si sono adattate all’andamento, e mettendo in campo tutte quelle misure di prevenzione che noi nella vita civile non sempre siamo in grado di assecondare e/o rispettare, hanno ripreso a produrre.

Un fotogramma dalla serie tv “Grey’s Anatomy”

Le serie tv, le medical drama in testa, e tutte le altre che agiscono nel presente narrativo, hanno inserito la pandemia nel loro racconto, svolgendo un compito non facile, raccontare il presente all’interno di un mondo immaginario, e insieme abituare noi spettatori, molti dei quali sempre refrattari, a una narrazione in cui mascherine e distanza sociale fanno ormai parte della quotidianità.

Laura Pausini canta sul palcoscenico vuoto del Teatro dell’Opera di Roma

Per questo 66° David di Donatello sono stati allestiti due set in collegamento fra loro. Quello principale con la conduzione della serata dallo studio 5 Rai oggi intitolato a Fabrizio Frizzi scomparso nel 2018; il set secondario è il Teatro dell’Opera di Roma dai cui palchi si affacciano i candidati ai premi secondari, i cosiddetti premi tecnici, e via via delle belle hostess porgono la statuetta al vincitore di turno. Ma il teatro diventa set principale quando nel corso della serata quando un’orchestra sinfonica debitamente distanziata sul palcoscenico, condotta da Andrea Morricone, esegue brani del padre Ennio. E da qui comincia la trasmissione, con un monologo autobiografico e insieme auto celebrativo di Laura Pausini che si concluderà con l’esecuzione della canzone “Io sì” dal film di Edoardo Ponti con sua madre Sofia Loren “la vita davanti a sé”, canzone già candidata all’Oscar e ovviamente super favorita in questa serata.

Ma sorpresona il premio è andato a Checco Zalone, al secolo Luca Medici, per la canzone “Immigrato” dal suo film “Tolo Tolo” che ha anche vinto il premio David dello Spettatore. Non è ufficiale ma insistenti voci di corridoio rinforzate da anni e anni di conferme dicono che un film campione di incassi non si può lasciare a bocca asciutta, a prescindere dalla reale qualità del prodotto; e che in ogni caso l’assegnazione di premi come questo David di Donatello o i Nastri d’Argento tengono sempre in conto il successo al botteghino nonché di dinamiche e di equilibri tutti interni all’industria cinematografica che a noi spettatori non è dato sapere. Checco Zalone era anche candidato come Regista Esordiente dato che i suoi quattro precedenti film, altrettanto campioni al botteghino, erano stati diretti da Gennaro Nunziante. C’è però da dire che Luca Medici è un professionista con seri studi alle spalle, e come musicista ha suonato con diversi jazzisti pugliesi oltre a essere compositore del nuovo inno della squadra di calcio del Bari. Qualcosa mi dice che ha solo cominciato: era in collegamento da casa e esordisce con “Se lo sapevo venivo. – per poi continuare, fingendo di chiamare moglie e figli – I miei dormono, non gliene frega niente se vinco. – E ancora: – Mi sono preparato poche parole: “La solita cricca di sinistra che premia i soliti…” no questo era il foglietto se perdevo. Grazie all’accademia per il riconoscimento meritocratico… – Ma chissà come il suo tentativo di fare dell’ironia politicamente scorretta va a finire in un audio pesantemente disturbato che rende il resto del suo intervento incomprensibile: censura Rai?

L’altro favorito perché già candidato all’Oscar era il documentario “Notturno” del già premiato Gianfranco Rosi che con i suoi due precedenti lavori ha vinto nel 2013 con “Sacro GRA” il Leone d’Oro a Venezia, come miglior film nonostante si trattasse di un documentario, e poi nel 2016 ha vinto l’Orso d’Oro al Festival di Berlino con “Fuocoammare”. Ma anche questo pronostico non è stato rispettato e il premio è andato a “Mi chiamo Francesco Totti” di Alex Infascelli, e anche qui le riserve sono d’obbligo a causa della popolarità del personaggio che è stato anche omaggiato dalla miniserie Sky “Speravo de morì prima” dove il capitano d’a Roma è interpretato da Pietro Castellitto.

Pietro Castellitto, doppiamente figlio d’arte di Sergio Castellitto e della scrittrice Margaret Mazzantini, vince nella categoria Regista Esordiente con il film “I predatori” che ha anche scritto e interpretato, la cui sceneggiatura aveva già vinto a Venezia il Premio Orizzonti e che era candidata anche a questo David insieme al musicista e al produttore. Il giovanotto, oggi trentenne, ha ovviamente respirato cinema e letteratura sin dalla culla. Il padre, quand’era lui era adolescente, lo aveva diretto in tre film ma il ragazzo ha faticato a farsi apprezzare come attore e questo, a suo dire, gli ha dato la giusta spinta verso la scrittura cinematografica, facendolo crescere artisticamente, autonomamente; oggi è considerato un astro nascente. Ha concluso il suo intervento di ringraziamento con un veloce e auto ironico: “N’abbraccio a mamma, ‘n bacio a papà”. Gli altri candidati nella categoria erano, oltre al già citato Checco Zalone, Alice Filippi con “Sul più bello”, Ginevra Elkann con “Magari” e Mauro Mancini con l’intenso “Non odiare” molto applaudito a Venezia e che ha fruttato il Premio Pasinetti al protagonista Alessandro Gassmann.

In memoriam: Ennio Fantastichini e Mattia Torre

E visto che abbiamo parlato di sceneggiature i premi Sceneggiatura Originale e Non Originale, ovvero tratta da preesistente opera letteraria, sono andati al prematuramente scomparso Mattia Torre, 47 anni, per “Figli” diretto da Giuseppe Bonito e interpretato da Paola Cortellesi e Valerio Mastandrea candidati nelle categorie Migliori Protagonisti e rimasti a bocca asciutta; ha ritirato il premio la figlia Emma con un bellissimo discorso, lucido e intelligente, assai commovente per la platea che ha risposto con una standing ovation. Il premio Miglior Sceneggiatura Non Originale è andato al film “Lontano lontano” regia e interpretazione di Gianni Di Gregorio da un suo scritto nel cassetto; Di Gregorio era già stato premiato col David di Donatello come Miglior Regista Esordiente nel 2009 alla non più tenera età di 59 anni con “Pranzo di ferragosto”. “Lontano lontano” è anche l’ultima interpretazione di Ennio Fantastichini, scomparso nel 2018 a 63 anni.

Lino Musella

Guardando trasversalmente le candidature salta subito all’occhio la doppietta di Alba Rohrwacher, ormai una garanzia dei casting, protagonista in “Lacci” di Daniele Luchetti e non protagonista in “Magari” di Ginevra Elkann, e stavolta non vincerà niente. Con ben tre presenze come non protagonista è Lino Musella, candidato per “Favolacce” dei Fratelli D’Innocenzo ma presente anche in “Lasciami andare” di Stefano Mordini, e con una partecipazione più pregnante e significativa in “Lei mi parla ancora” di Pupi Avati dove interpreta, con grande adesione e sensibilità, Renato Pozzetto da giovane.

Elio Germano - Wikipedia

Con tre presenze ma tutte da protagonista si piazza al primo posto Elio Germano con “Favolacce” e “L’incredibile storia dell’Isola delle Rose” di Sydney Sibilia e soprattutto “Volevo nascondermi” di Giorgio Diritti dove interpretando il pittore Antonio Ligabue – sotto abbondante trucco prostetico – vince il premio come Migliore Attore Protagonista in una cinquina composta anche dal già citato Valerio Mastandrea per “Figli”, Kim Rossi Stuart per “Cosa sarà” di Francesco Bruni, l’ottantenne Renato Pozzetto recuperato in chiave drammatica da Pupi Avati in “Lei mi parla ancora”, Pierfrancesco Favino che interpreta – anche lui con abbondante trucco prostetico – Bettino Craxi in “Hammamet” di Gianni Amelio, film che vince il premio tecnico per il Miglior Trucco.

“Volevo nascondermi” è il film della serata. Oltre al premio per il protagonista riceve anche i riconoscimenti come Miglior Film fra gli altri che erano: Hammamet”, “Favolacce” che vince solo il Miglior Montaggio, “Miss Marx” di Susanna Nicchiarelli che vince i premi Miglior Produttore, Migliori Costumi e Miglior Compositore, piazzandosi con 3 premi. Chiude la lista dei Migliori Film in competizione “Le sorelle Macaluso” di Emma Dante che è l’unico film della cinquina a non ricevere nessun premio; è film che ho amato molto, per certi versi sperimentale, geniale visionario ed emozionante, ma che secondo il mio personalissimo parere sconta nell’ambiente cinematografico del volemose bene la ruvidezza dell’autrice che non brilla di immediata simpatia. Oltre a Migliore Attore e Miglior Film “Volevo nascondermi” vince anche per la Regia, la Fotografia, la Scenografia, le Acconciature e il Suono, portando a casa 7 statuette. I premi agli attori non protagonisti sono andati all’astro in ascesa Matilda De Angelis e l’assente ingiustificato anche in video conferenza Fabrizio Bentivoglio, entrambi per “L’incredibile storia dell’Isola delle Rose”, film che vincendo anche i Migliori Effetti Visivi si piazza a quota 3 premi con “Miss Marx”.

Fra le tante chiacchiere della serata vale la pena riportare l’ironico intervento di Valerio Mastandrea che, dovendo presentare la cinquina delle scenografie, ha scherzato sul fatto che tanta gente fa confusione fra i termini sceneggiatura e scenografia: “Molto spesso mi è capitato di sentirmi dire: “Ho visto un film bellissimo, dei dialoghi straordinari, chi l’ha scritta la scenografia?” Purtroppo è un errore molto comune e io stesso posso aggiungere per esperienza diretta che scenografia viene anche confusa con coreografia. Ppi Pierfrancesco Favino, introducendo il premio al Miglior Documentario ricorda che tutti i più grandi autori del cinema italiano sono stati registi di documentari: Rossellini, Antonioni, Petri, Comencini, Zurlini, Olmi, Pontecorvo, Visconti, Risi… perché l’occhio di un autore di allena sulla realtà. E poi cità Fritz Lang: “Se volete fare un film non acquistate un auto, prendete la metro, l’autobus o camminate, osservate da vicino alle persone che vi circondano”.

Collegata da Sofia dove si trova per lavoro, Monica Bellucci riceve il David Speciale, riconoscimento per il quale molti sui social stanno storcendo il naso dato che onestamente non si può dire che di lei che sia una brava attrice ma solo una bellissima donna che ha saputo costruirsi un’invidiabile carriera. Questa la motivazione: “Una carriera stellare e tuttavia saggia che parte da Città di Castello e dalla nostra commedia e si lascia valorizzare da grandi autori come Francis Ford Coppola e Giuseppe Tornatore diventando subito internazionale, con in più la devozione del cinema francese dalla sua parte ma senza perdere di vista il lavoro creativo e la comunità artistica. Carismatica, cosmopolita e insieme profondamente italiana”. Nulla da eccepire. Altro David Speciale a Diego Abatantuono che solo nella seconda parte della vita si è dato al cinema di qualità grazie alle opportunità che ha avuto prima da Pupi Avati col dittico “Regalo di Natale” e “La rivincita di Natale”, e poi da Gabriele Salvatores. Questa la motivazione: “Un grandissimo protagonista del nostro panorama artistico con una carriera sorprendente, protagonista poliedrico e amatissimo, passato attraverso film cult come “I fichissimi” o “Eccezziunale veramente” per poi incontrare autori come Luigi Comencini, Giuseppe Bertolucci, Carlo Mazzacurati, Ettore Scola e, specialmente, Pupi Avati e Gabriele Salvatores, con il quale ha intrapreso un vero e proprio sodalizio che lo ha portato fino all’Oscar con “Mediterraneo”. Infine Enrico Brignano entra sul palco a conferire un altro David Speciale e simbolico alla memoria di Luigi Proietti e a seguire Carlo Conti ricorda gli scomparsi dell’anno: Franca Valeri, Ennio Morricone, Michel Piccoli, Gianrico Tedeschi, Marco Vicario, Daria Nicolodi, Peppino Rotunno, Claudio Sorrentino, Enrico Vaime, Ezio Bosso e tanti altri.

David di Donatello 2021: Sophia Loren miglior attrice protagonista, Zalone  batte Pausini – Tutti i vincitori | DavideMaggio.it

Grande momento la premiazione di Sofia Loren che a 87 anni ha vinto, e trepidato come una debuttante, come Migliore Attrice Protagonista diretta dal figlio Edoardo Ponti in “La vita davanti a sé”, e omaggiata con una standing ovation. Giacché ancora la vedo e la rivedo in tv nel fulgore dei suoi anni migliori, mi si è stretto il cuore vederla muoversi a fatica, sorretta dal figlio, commossa e piegata dagli anni, che ha cominciato la lettura del suo discorso scritto su un foglietto mormorando nel suo napoletano un “Madonna mia… aiutateme!” sfuggito dal cuore: “E’ difficile credere che la prima volta che ho ricevuto un David sia stato più di 60 anni fa… (in realtà sono esattamente 60: nel 1961 ricevette il David di Donatello per “La Ciociara” di Vittorio De Sica, che le valse anche l’Oscar; probabilmente ha messo nel conto anche la Targa d’Oro vinta nel 1959 per “Orchidea Nera” film americano con Anthony Quinn diretto da Martin Ritt che le fruttò anche la Coppa Volpi a Venezia) …Ma stasera sembra di nuovo la prima voltama l’emozione è la stessa e anche di più, e la gioia è la stessa… – Ansima, respira a fatica, fa delle lunghe pause: ringrazia la produzione, Netflix, la squadra, cita il bambino protagonista Ibrahima Gueye: Un attore di grandissimo talento che in questo film è davvero magico. E infine ringrazio il mio regista Edoardo – che se possibile è ancora più commosso della madre – Il suo cuore e la sua sensibilità hanno dato vita a questo film e al mio personaggio… per questo io anche a mio figlio sono molto grata perché è un uomo meraviglioso e ha fatto un film veramente molto bello. – Poi, smettendo di leggere: – Forse sarà il mio ultimo film, questo non lo so, ma dopo tanti film ho ancora voglia di farne uno sempre bello, con una storia meravigliosa, perché io senza il cinema non posso vivere. – E dopo l’abbraccio del figlio che le consegna il premio scherza: Non posso prendere il premio sennò cado, io e il premio!”

Le altre candidate nelle stessa categoria, oltre alle già citate Paola Cortellesi per “Figli” e Alba Rohrwacher per “Lacci”, erano Micaela Ramazzotti per “Gli anni più belli” di Gabriele Muccino e Vittoria Puccini per “18 regali” regia di Francesco Amato, film premiato con il David Giovani assegnato da una giuria nazionale di studenti degli ultimi due anni di corso delle scuole secondarie di 2° grado.

David di Donatello 2021, il look di Sofia Loren | DiLei

Subito a seguire la premiazione dell’87enne Sofia arriva l’88enne Sandra Milo per ricevere il David alla Carriera e si mostra subito più in forma dell’antica rivale (senza dimenticare l’altra regina in campo, Gina Lollobrigida che ricevette il David alla Carriera nel 2016): eh sì, perché stessa età, stesso periodo di attività e medesime taglie da maggiorata nel cinema italiano degli anni ’50, ma mentre Sofia andava per Oscar, Nastri d’Argento e David di Donatello a gogo, Sandra, detta Sandrocchia da Federico Fellini ha in bacheca solo due Nastri d’Argento come Non Protagonista per “8 1/2” e “Giulietta degli spiriti” del Fellini di cui dichiarò durante una punta di “Porta a porta” del 2009 di esserne stata amante per ben 17 anni. Sempre bamboleggiando con la sua vocina in falsetto conclude il suo breve ilare discorso con un “Non è mai troppo tardi per ricevere un premio! Grazieee!”

Miglior Film Straniero “1917”, altro film che ho molto amato e fresco di tre Oscar tecnici: Fotografia, Effetti Speciali e Sonoro. Riconoscimenti speciali le Targhe David 2021 appositamente pensate come espressione di riconoscenza ai professionisti sanitari Silvia AngelettiIvanna Legkar e Stefano Marongiu per l’importante contributo alla ripresa in sicurezza delle attività delle produzioni cinematografiche e audiovisive a Roma e in Italia durante la crisi Covid-19. Delle targhe che, come ha ribadito la presidente e direttore artistico dei David di Donatello Piera Detassis nell’intervento istituzionale e conclusivo, ci si augura di non dover consegnare mai più; più avanti fa un riferimento del tipo parlo a chi mi capisce ma che noi spettatori comuni non comprendiamo: “Il David è la casa del cinema, è la casa di tutti quelli che fanno cinema, e anche se c’è qualcuno che a volte scappa di casa poi noi siamo pronti ad accoglierlo a braccia aperte…” Con chi ce l’aveva? chi, è scappato, e perché?

Dicono le cronache che il colpevole è Gabriele Muccino che è ha abbandonato il suo posto in giuria quando ha appreso che il suo film “Gli anni più belli” non sarebbe stato inserito nelle cinquine dei migliori film e migliori registi. Sono rimaste le candidature al David Giovani, a Micaela Ramazzotti come migliore protagonista e a Claudio Baglioni per la canzone originale e come visto nessun premio è andato assegnato. Muccino ha scritto: “Sono uscito dalla giuria dei David di Donatello. Non mi riconosco nei criteri di selezione che da anni contraddistinguono quello che era un tempo il premio più ambito dopo dopo l’Oscar. Non mi presenterò più nelle categorie di Miglior Regia e Miglior Sceneggiatura, in futuro.” Buon pro gli faccia, personalmente non sono mai riuscito a vedere un suo film e anche armato di buona volontà al massimo dopo un quarto d’ora mi annoio, anzi peggio, mi innervosisco: li trovo insopportabilmente zuccherosi e troppo volutamente strappalacrime, insinceri e costruiti a tavolino. Un po’ come quei bambini che piangono guardandosi allo specchio, dove si vedono così belli fra le lacrime da voler piangere ancora per un po’.

I film presi in considerazione sono tutti quelli usciti dal 1° gennaio 2020 al 28 febbraio 2021, che in piena pandemia non hanno potuto godere di una distribuzione appropriata e molti sono già in chiaro in tv, dove possiamo trovarli sia a pagamento che in chiaro. Per consultare in modo ordinato tutte le candidature e i vincitori:


https://www.daviddidonatello.it/