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E per la prima volta sullo schermo… Shirley MacLaine

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Shirley, che deve il suo nome in omaggio alla diva bambina Shirley Temple, da bambina era un maschiaccio, giocava nella squadra maschile di baseball e, iscritta a danza, interpretava ruoli maschili, sia a causa della sua altezza sopra la media delle sue coetanee sia per per la mancanza di ballerini; poi studia recitazione e protagonista di un musical viene notata da un produttore e messa sotto contratto con la Paramount, con la quale debutta, ventenne, in questo eccentrico film dell’eccentrico regista inglese naturalizzato americano Alfred Hitchcock.

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Nelle immagini due famose inquadrature del film: il cadavere trovato dal bambino all’inizio del film e poi lo stesso a cui un barbone ha sottratto le scarpe, con quei coloratissimi calzini tipicamente inglesi.

E’ il 1955. Il titolo italiano, come raramente accade, è più accattivante dell’originale “The trouble with Harry” dove l’Harry che crea il problema è il cadavere che viene ritrovato appena fuori il tranquillo villaggio di Highwater nel montagnoso Vermont. Sappiamo dal titolo che sono tutti innocenti ma ognuno della piccola comunità si ritiene colpevole della morte di Harry, con motivazioni e circostanze diverse: è un giallo all’incontrario che sovverte le regole narrative alla Agatha Christie, dove in genere in un piccolo gruppo di persone si indagano motivazioni e circostanze diverse per trovare il/la/i colpevole/i. E non a caso il giallo, comico e grottesco, da cui è tratta la sceneggiatura, è di un inglese, che l’inglese Hitchcock si era divertito a leggere. Forte dei successi dei thriller “La finestra sul cortile” e “Caccia al ladro” il regista volle rischiare facendo un film pesantemente intriso di homour inglese, che gli americani scrivono humor, e che non capirono, facendone un fiasco; andò meglio nel vecchio continente più incline a comprendere l’umorismo britannico. Il film, col suo coloratissimo VistaVision, gli splendidi scorci montani, la piccola comunità fatta di bislacche personalità, e infarcito di battute tipo “Da vivo era uguale, solo che era in verticale”, oppure “La morte di vostro padre è stata dolorosa? – E’ stato maciullato da un trebbiatrice.” col suo umorismo nero oggi sembra più un film per ragazzi e rimane comunque una piacevole serata tv.

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Il cast, non avendo protagonisti assoluti ed essendo un film corale, non schiera grandi star ed è affidato a solidi caratteristi: John Forsythe, che deve la sua notorietà ai televisivi “Charlie’s Angels” dove era Charlie, e “Dynasty” dove è stato Blake Carrington, ha lavorato di nuovo con Hitchcock in “Topaz”. L’ottantenne inglese Edmund Gwenn era invece una vecchia conoscenza del regista, col quale aveva lavorato sin dal 1931. Di gran classe la caratterista di lungo corso Mildred Natwick, candidata all’Oscar nel 1968 per “A piedi nudi nel parco” dove era la madre di Jane Fonda; importante il suo ultimo ruolo, Madame de Rosemont in “Le Relazioni pericolose”, 1988.

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In questo quartetto spicca la bellezza insolita della debuttante Shirley MacLaine: è l’epoca delle grandi dive tormentate o mangiauomini, da Ava Gardner a Joan Crawford, da Laureen Bacall a Rita Hayworth; delle comedians eleganti alla Grace Kelly, Audrey Hepburn, Katharine Hepburn (che devono lo stesso cognome a una lontanissima parentela: erano cugine al 19° grado e non si conobbero mai prima di diventare famose); era anche l’epoca dell’irrequieta Elizabeth Taylor e della fragile Marilyn Monroe, e delle dive italiane approdate in America come Sophia Loren e Anna Magnani. Shirley, che come cognome adattò quello materno, MacLean, in questo suo debutto porta una zazzeretta corta, quasi maschile, niente onde o boccoli o chiome fluenti e avvolgenti delle dive in voga; del suo talento si può dire poco, il personaggio non richiede grandi doti, ma lo dimostrerà negli anni accumulando un Oscar (“Voglia di tenerezza” 1984), 4 Golden Globe, 2 Bafta, un Emmy, 2 Coppe Volpi a Venezia e 2 Orsi d’Argento a Berlino. Scarse le notizie sulla sua vita privata, senza pettegolezzi e scandali, né uscite pubbliche o impegni filantropici. Si sa che è la sorella maggiore, di tre anni, di un altro divo, Warren Beatty, che come cognome adottò il paterno Beaty raddoppiando la T; non hanno mai lavorato insieme e, quando di recente, sono stati sollecitati sull’argomento, lui si è espresso con un possibilista e mondano “Non è una cattiva idea!” mentre lei è stata più specifica e diretta: “Oh, non credo che saremmo una bella accoppiata!”, e anche io, viste le carriere dei due, non riesco a immaginarli insieme in un film, e in che genere di film. Ce ne faremo una ragione.

Però vale la pena fare una carrellata di attori e attrici che hanno recitato in famiglia. Ryan O’Neal con la figlia Tatum, che ha vinto l’Oscar, in “Paper Moon”, 1973. Henry Fonda con la figlia Jane in “Sul lago dorato”, 1981. Martin Sheen e il figlio Charlie in “Wall Street”, 1987. Nel 1997 in “Good Will Hunting” si riuniscono i fratelli Casey e Ben Affleck. Fratello e sorella Gillenhaal, Jake e Maggie, recitano in “Donnie Darko”, 2001. Sempre nel 2001 Angelina Jolie è col padre Jon Voight in “Lara Croft: Tomb Raider”. Anno pieno il 2001 per le riunioni familiari: i fratelli Wilson, Owen e Luke, in “I Tenenbaum”. Gwineth Paltrow recita con la madre Blythe Danner in “Sylvia” nel 2003. Bruce Willis è con la figlia Rumer nel 2005 in “Hostage”. Will Smith col figlio Jaden in “La ricerca della felicità”, 2006. Donald Sutherland fa da spalla al figlio Kiefer in “Il fuoco della giustizia”, 2015. Meryl Streep con la figlia Mamie Gummer sono addirittura a quota tre film: “Affari di cuore” 1986, “Un amore senza tempo”, 2007, dove la figlia interpreta sua madre da giovane, e “Dove eravamo rimasti”, 2015.