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Marx può aspettare

Il titolo fa subito pensare a un tema strettamente politico ma in realtà le tre parole furono fra le ultime che Camillo, gemello di Marco Bellocchio, rivolse al suo più noto fratello che già all’epoca, il 1968, era stato consacrato regista emergente con due importanti premi: Nastro d’Argento per il miglior soggetto e Vela d’Argento al Festival di Locarno per la sua opera prima “I pugni in tasca” e il Leone d’Argento a Venezia per la regia del suo secondo lungometraggio “La Cina è vicina”.

I gemelli eterozigoti Camillo e Marco

Marco e Camillo sono gli ultimi nati, nel 1939, in una benestante famiglia della provincia vicentina, da padre avvocato prematuramente scomparso per un cancro, parola terrificante e impronunciabile al tempo, detta un brutto male perché il male assoluto non ha nome, e madre rigorosamente casalinga ed estremamente religiosa. Prima di loro si contano il primogenito Paolo di cui si è persa la memoria, e di cui nel film si accenna, perché affetto da disturbi mentali e inghiottito nel sistema sanitario reclusivo dei tempi: un argomento con cui il regista si confronterà, pur senza toccare la sua storia familiare, nel film documentario del 1975 “Matti da slegare” firmato insieme a Silvano Agosti, Sandro Petraglia e Stefano Rulli. Gli altri fratelli sono lo scrittore e critico letterario Piergiorgio, fondatore dei “Quaderni Piacentini”, morto 91enne nell’aprile di quest’anno; Alberto, poeta e all’occasione anche attore per il fratello, e il già scomparso Tonino che contribuì con 50 milioni di lire all’opera prima di Marco; le sorelle sono Mariuccia e Letizia, quest’ultima non udente ma che riesce a comunicare attraverso un parlare distorto che nel film è sottotitolato ma che dopo un po’ diventa familiare e comprensibile.

I fratelli Bellocchio: Piergiorgio, Letizia, Alberto, Maria Luisa detta Mariuccia e Marco.

L’iniziale intento del film è quello di raccontare la famiglia e con un pranzo di famiglia si apre, ma subito diventa l’indagine sul suicidio di Camillo, un dramma che pesa sulla coscienza del gemello superstite che convive coi suoi sensi di colpa: “Di fatto non ho capito niente di una tragedia che stava per avvenire. Allora ti dici: è la mia miseria sentimentale, umana. In qualche modo ho tradito mio fratello gemello. Mi prendo questa responsabilità”. Un’indagine che l’autore conduce quasi come un giallo che emoziona montando le varie interviste – confessioni, ragionamenti, confronti – in un crescendo di rivelazioni: la tragedia familiare dei Bellocchio si fa pura cinematografia in un racconto che non ha nulla da invidiare ai racconti di invenzione; e ricordiamo che nei suoi film di invenzione narrativa, Marco Bellocchio ci ha messo sempre un’emozione personale nel raccontare le sue famiglie borderline, e frammenti di quei suoi film cadenzano questo racconto personale, insieme a spezzoni di filmini familiari a dimostrazione dell’agiatezza della famiglia: erano tempi in cui normalmente non ci si poteva permettere neanche una macchinetta fotografica, figuriamoci una cinepresa; e oltre a coinvolgere fratelli e sorelle, Marco ragiona e si confessa coi propri figli Pier Giorgio ed Elena, che sin da bambini sono stati avviati alla recitazione; e intervista la vedova di Tonino, Pia Bareggi, e Giovanna Capra sorella superstite di Angela che fu fidanzata di Camillo, e Padre Virgilio Fantuzzi che racconta un suo interessante punto di vista sull’autore Marco Bellocchio: i suoi film sono come le stazioni di una di quelle vie crucis dipinte a quadri lungo il perimetro di tante chiese, e sono come tante confessioni per le quali lui è pronto a dargli l’assoluzione. Nel raccontare la storia e le storie, il più affabulatore è il fratello Alberto che su Camillo ha due sole tragiche e illuminanti parole: “funzionava male”; c’è poi la sorda Letizia che parla molto più della normodotata Mariuccia, entrambe ferventi cattoliche che piuttosto che al suicidio preferiscono ancora pensare a un incidente, a un dramma incomprensibile e ineluttabile, mentre Piergiorgio è quello che filosofeggia di più; la rivelazione più lucida sui fatti viene proprio da uno sguardo più esterno e distaccato, quello della sorella della fidanzata.

Il dramma di Camillo era quello di essere una persona comune, ordinaria, in una famiglia di intellettuali dentro la quale non trovava la sua collocazione, e nascondeva dietro un’esteriorità di allegra leggerezza il lacerante dramma di un ragazzo, o giovane uomo, in cerca di identità, e al gemello regista che nel 1968 era impegnato culturalmente nelle rivoluzioni sociali di sinistra, contrappose il suo incompreso dramma esistenziale con un laconico “Marx può aspettare” sottintendendo che lui aveva altro da dire. Ma nessuno era pronto ad ascoltarlo.

Un film molto bello, emozionante, che può riuscire a coinvolgere anche coloro che al sentire la parola documentario storcono il naso, e assolutamente comprensibile anche per coloro che non sono fan della cinematografia di Marco Bellocchio, o che solo occasionalmente hanno apprezzato qualcuno dei suoi film. Film dell’anno ai Nastri d’Argento e Ciak d’Oro postumo alla miglior colonna sonora di Ezio Bosso, scomparso 48enne nel 2020 a causa di un cancro recidivo, e al montaggio di Francesca Calvelli, compagna di vita di Bellocchio. Disponibile sulla piattaforma Sky.